Il ruvido talento di Kara Jackson

Why Does the Earth Give Us People to Love è l’eccellente album d’esordio della giovane cantautrice statunitense

Kara JAckson
Disco
pop
Kara Jackson
Why Does the Earth Give Us People to Love
September Recordings
2023

Poeta laureata e cantautrice proveniente dall’hinterland di Chicago, la 23enne Kara Jackson ha tracciato sul proprio corpo in forma di tatuaggi la mappa dei suoi eterogenei ascendenti musicali: Joanna Newsom, Pete Seeger, Joan Baez, Daniel Johnston, Donna Summer e Paramore.

L’album Why Does the Earth Give Us People to Love, pubblicato in questi giorni, a quattro anni dall’EP d’esordio A Song for Every Chamber of the Heart, concomitante alla collezione di poesie Bloodstone Cowboy, ne rappresenta l’identità complessa e mette in mostra un talento nitido e già maturo.

Derivato dai provini registrati durante la pandemia nella cameretta dell’infanzia, è stato sviluppato grazie al contributo di altri artisti locali: l’immigrato giapponese Sen Morimoto, il pluristrumentista e produttore Nnamdï e Kaina, cantautrice anch’ella, responsabili di arrangiamenti inventivi che valorizzano le doti della protagonista.

Spunto originario del disco è il brano dal quale prende titolo: dolente madrigale per un’amica scomparsa precocemente. “Perché la Terra ci dà persone da amare e poi le trascina via, fuori dalla nostra portata?”, si chiede all’inizio, ponendo in conclusione una domanda retorica dal tono fatalista: “Attendiamo il nostro turno e basta, puoi chiamarlo vivere?”. Ciò non coincide affatto con la rassegnazione, tuttavia, visto che in “No Fun/Party”, avvolta nell‘atmosfera da folk cameristico creata da accordi sparsi di pianoforte, chitarra arpeggiata e contrappunto d’archi, afferma: “Voglio essere temibile come un drago danzante o un motore a vapore, una pistola carica, essere amata per la mia pericolosità e la voglia di distruggere, non è questo l’amore, volontà di distruggere?”.

Il mosaico narrativo dell’opera è costituito da frammenti del suo discorso amoroso: in “Therapy” parla ad esempio di “uomini che pensano che io sia la loro cazzo di madre”, concetto rafforzato – con voce da Nina Simone su canovaccio dal vago gusto jazz, fra carezze d’arpa e riverberi di sax soprano – in “Free” (“Non sono così materna, non ti bacerò sulla guancia, di sicuro sei il pupo di qualcuna, ma non il mio”, sfociando in un perentorio: “Non infastidirmi, non vedi che sono libera?”).

Ancora più eloquente è “Dickhead Blues”, dove aleggia lo spirito di Bessie Smith e sullo sfondo si scorgono glockenspiel e piano Wurlitzer: “Pensi che Cupido ti chiami e finisci come gomma da masticare sotto la scarpa di qualcuno”, considera a metà strada, ma l’epilogo suona confortante (“Non sono così inutile come pensavo una volta, sono una vera fuoriclasse, sono utile”).

Sovente la trama riecheggia un dialogo interiore (nell’aggraziata “Curtains” al quesito iniziale – “Sono degna di applausi?” – corrisponde la fierezza espressa nel ritornello: “So di essere giovane, ma non sono ingenua”) e traccia il profilo di una donna già adulta a dispetto dell’età: “Mi hai trovata a un banco dei pegni, ero usata ma come nuova, lucida come un tatuaggio, ma duratura come un palloncino colorato”, canta in “Pawnshop”, la ballata più classica del lotto, simile a una versione ruvida di Tracy Chapman.

Il pezzo forte della raccolta è però ”Rat”, epopea sinistra raccontata in terza persona: “Prendete la storia del Ratto, diretto a Ovest, aveva il cervello allucinato, l’ego nel petto, gli amici non gli avevano detto che gli sarebbe costato quasi la vita, a casa la sua donna intaglia un altro genere di bara, del tipo su cui lui s’inerpica e si chiude dentro”.

Trapela da quei versi la potenza del suo estro letterario, che associandosi a idee musicali mai banali infonde in Why Does the Earth Give Us People to Love qualità sorprendenti, testimoniate dal solenne inno alla sorellanza intonato in “Lily”.

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