Il ritorno di Ariel Pink

Il cantautore californiano omaggia Bobby Jameson, un genio musicale incompreso degli anni Sessanta

Ariel Pink, recensione Dedicated to Bobby Jameson
Disco
pop
Ariel Pink
Dedicated to Bobby Jameson
Mexican Summer
2017

Non vi sarete mica persi nel marasma delle uscite discografiche il nuovo album di Ariel Marcus Rosenberg in arte Ariel Pink? Pubblicato a fine estate, conferma in pieno la bravura di questo cantautore californiano diventato negli anni Zero una star eccentrica della scena indie USA grazie a pezzi stralunati e bizzarri, registrati in casa a bassissima fedeltà, e soprattutto a The Doldrums, un album riproposto nel 2004 dalla Paw Tracks degli Animal Collective.

Nel 2009 è arrivato il contratto con la leggendaria 4AD londinese con cui sono usciti tre album all’insegna del genio e della sregolatezza, in particolare l’ultimo, pom pom (2014), un vero ottovolante di generi musicali, colorato, immaginifico e kitsch.

Cambiata etichetta (la Mexican Summer è una piccola label di Brooklyn) e aumentato il suo disincanto nei riguardi del mondo della musica, il trentanovenne Marcus Ariel Pink Rosenberg ha trovato una forte affinità con Bobby Jameson, autore negli anni Sessanta di musica ora celebrata ma allora passata inosservata (in particolare, l’album Songs Of Protest And Anti Protest, uscito nel 1965 col nome di Chris Lucey). Collaboratore di personaggi del calibro di Frank Zappa, opening act dei Beach Boys e apprezzato persino dai Rolling Stones, fu nominato da un certo punto in poi più per i suoi guai (droga, alcool e vari tentativi di suicidio) che per la sua arte. Dimenticato da tutti o quasi e creduto morto dai più, riapparve con un blog e alcuni video su YouTube, poco prima della morte per aneurisma nel 2015, contribuendo a creare un seguito di culto attorno a lui.

A questo personaggio fuori degli schemi, una sorta di genio incompreso e sfortunato, è ispirato appunto Dedicated to Bobby Jameson, anche se certo non si può dire che Ariel Pink abbia mai sofferto nella realtà la disattenzione di cui fu vittima il suo eroe tragico. La raccolta contiene 14 pezzi in bilico tra psichedelia vintage, pop elettronico anni Ottanta ("Santa’s In the Closet" assomiglia a "Der Kommissar" di Falco) e vecchio rock radiofonico. I testi sono come al solito pazzerelli, ma il tono generale è più malinconico del solito, forse perché, come ha detto Ariel Pink in un’intervista, sente di aver perso l’innocenza con cui in passato creava la sua musica. Brani come "Dedicated to Bobby Jameson", "Bubblegum Dreams" (che sembra scritto da Brian Wilson) e il quasi krautrock "Time To Live" basterebbero a rendere quest’album uno dei nostri preferiti del 2017.

 

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