Il ritorno dell'Orchestra Baobab
Torna per la World Circuit lo storico gruppo senegalese
Bella storia, quando dei veterani di una musica ben radicata ed assurta quasi ad un livello di “classicismo popolare” suonano come ventenni motivati e decisi a rivendicare uno spazio. Ne guadagnano le orecchie di chi ascolta, ne guadagna il cuore, che assieme possono mettere via scorte preziose per quell’ “inverno dello spirito” che Marguerite Yourcenar vedeva arrivare. L'Orchestra Baobab, con quel nome che agli smaliziati musicofili d'Occidente suona più o meno come un vezzo linguistico postmoderno dagli anni Settanta. Una vita fa. Nel loro Senegal hanno vissuto rivolgimenti e continui avvicendamenti. In musica: loro c'erano, quando nei club di Dakar i musicisti locali presero a suonare le loro vorticose, dolcissime scale pentatoniche avendo a mente anche l’onda di ritorno che arrivava dai dischi che arrivavano dai Caraibi, con l'implacabile placcaggio ritmico in cinque della clave cubana, e il velluto avvolgente e insidioso costruito da maestri del Son poi riscoperti (ormai tanti anni fa) da Ry Cooder e compagnia.
Da dieci anni l'Orchestra Baobab non si faceva viva con un disco in sala di registrazione. Torna per un'etichetta importante con un tributo sentito a Ndiouga Dieng, il vocalist scomparso lo scorso anno che, a sua volta, si trovò a dare il cambio alle sontuose corde vocali di Laye Mboub, nel 1974. Fanno una decisa, imperiosa comparsa da ospiti perfino Cheikh Lô, uno che di possenti impennate vocali se ne intende, e Thione Seck, che con i Baobab fu fino al 1979. Per la prima vota c'è anche una kora, nelle mani agili di Abdouleye Cissoko, e la chitarra spiritata di Yahya Fall, dalla Etoile of Dakar.
Si sarà compreso, a questo punto: è vero che una somma di ospiti eccellenti non sempre fa un disco eccellente, ma qui siamo ad un picco lo miracolo sonoro, con dieci tracce sinuose, avvolgenti e praticamente perfette, comunque le si vogliano giudicare. Un ponte di groove da una sponda all’altra dell'oceano, e qualcosa in più. Impossibile non muoversi, ascoltando questo beat che sembra mandare in frantumi ogni fissità. Bentornati. Nella speranza che non passino altre dieci anni per ascoltare il filo che lega il Senegal a Cuba.