Il ritorno degli Arab Strap

As Days Get Dark è il primo album dopo 16 anni per gli scozzesi Arab Strap

Arab Strap (foto di Paul Savage)
Arab Strap (foto di Paul Savage)
Disco
pop
Arab Strap
As Days Get Dark
Rock Action
2021

Scrivevamo giusto un paio di settimane fa dei Mogwai – frattanto saliti per la prima volta in vetta all’hit parade britannica – ed ecco riaffacciarsi all’attualità gli Arab Strap: band legate fra loro da un robusto filo di Scozia. I primi dichiaravano tempo fa di aver intrapreso l’avventura artistica sollecitati dall’esempio dei secondi e ne pubblicano ora il nuovo album – settimo della serie – con la propria etichetta discografica.

– Leggi anche: Un distillato di Mogwai

Originari di Falkirk, cittadina equidistante da Glasgow ed Edimburgo, Aidan Moffat e Malcolm Middleton avevano interrotto l’attività nel 2006, dopo essere diventati fenomeno di culto nel circuito indipendente durante l’ultimo quinquennio del Novecento, salvo tornare insieme nel 2016 per concerti.

Da lì è venuto l’impulso a realizzare un altro disco, a 16 anni dal precedente The Last Romance. Il titolo, As Days Get Dark, ne annuncia l’umore: «Parla di disperazione e oscurità, ma in maniera divertente», ha detto Moffat. Quale fosse l’intenzione lo spiegano – senza andare troppo per il sottile – le prime parole pronunciate: “Non me ne frega un cazzo del passato”.

Posto in apertura, “The Turning of Our Bones” definisce gli standard dell’opera mostrando caratteri tipici (gli arpeggi della chitarra di Middleton e la voce monologante del socio) e non (un accento ritmico più marcato e una maggiore varietà negli arrangiamenti, in questo caso rappresentata dagli archi, altrove – in “Kebabylon” e “Sleeper” – da sassofoni in libertà).

Allo stesso modo, la poetica dei testi rimane fedele a un’attitudine autobiografica, espressa con la solita schiettezza spudorata (già il nome, del resto, allude a un sex toy), manifestando tuttavia i segni della maturità di chi ha superato largamente la soglia dei 40 anni. Fra le righe del brano citato si coglie persino uno sguardo filosofico sulla natura umana: “Siamo fatti di carbonio, acqua, luce stellare, ossigeno e sogni”. Segue – in “Another Clockwork Day” – uno scorcio desolante eppure tenero sul consumo di pornografia online, mentre il successivo “Compersion Pt. 1” ritrae un quadretto amoroso in chiaroscuro: “La mia Polyanna adora la poesia, pensa che il mio paradiso sia l’inferno, io mi faccio sotto con un limerick, lei ribatte con una villanella”.

Sul piano musicale si alternano episodi a un passo dal folk – esemplare “Sleeper”, con Moffat che declama versi emulando Leonard Cohen – ad altri di evidente estrazione post punk, tipo “Here Come Comus!”, in cui viene evocata addirittura l’inquietante figura dionisiaca della mitologia greca, metafora di una notte brava.

E ancora a proposito di eccessi ed ebbrezze, si fa notare l’andamento tragicomico di “I Was Once a Weak Man”, dove il protagonista – “Travolta in punta di piedi, un Michael Jackson sgradevole”, quando piroetta in pista – rientrando a casa si giustifica così: “Beh, Mick Jagger lo fa ed è più vecchio di me”. Punteggiato da personaggi simili e sostenuto da un impianto sonoro ombroso ma gradevole, As Days Get Dark onora la reputazione degli Arab Strap e la consolida.

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