Il ritorno degli Arab Strap
As Days Get Dark è il primo album dopo 16 anni per gli scozzesi Arab Strap
Scrivevamo giusto un paio di settimane fa dei Mogwai – frattanto saliti per la prima volta in vetta all’hit parade britannica – ed ecco riaffacciarsi all’attualità gli Arab Strap: band legate fra loro da un robusto filo di Scozia. I primi dichiaravano tempo fa di aver intrapreso l’avventura artistica sollecitati dall’esempio dei secondi e ne pubblicano ora il nuovo album – settimo della serie – con la propria etichetta discografica.
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Originari di Falkirk, cittadina equidistante da Glasgow ed Edimburgo, Aidan Moffat e Malcolm Middleton avevano interrotto l’attività nel 2006, dopo essere diventati fenomeno di culto nel circuito indipendente durante l’ultimo quinquennio del Novecento, salvo tornare insieme nel 2016 per concerti.
Da lì è venuto l’impulso a realizzare un altro disco, a 16 anni dal precedente The Last Romance. Il titolo, As Days Get Dark, ne annuncia l’umore: «Parla di disperazione e oscurità, ma in maniera divertente», ha detto Moffat. Quale fosse l’intenzione lo spiegano – senza andare troppo per il sottile – le prime parole pronunciate: “Non me ne frega un cazzo del passato”.
Posto in apertura, “The Turning of Our Bones” definisce gli standard dell’opera mostrando caratteri tipici (gli arpeggi della chitarra di Middleton e la voce monologante del socio) e non (un accento ritmico più marcato e una maggiore varietà negli arrangiamenti, in questo caso rappresentata dagli archi, altrove – in “Kebabylon” e “Sleeper” – da sassofoni in libertà).
Allo stesso modo, la poetica dei testi rimane fedele a un’attitudine autobiografica, espressa con la solita schiettezza spudorata (già il nome, del resto, allude a un sex toy), manifestando tuttavia i segni della maturità di chi ha superato largamente la soglia dei 40 anni. Fra le righe del brano citato si coglie persino uno sguardo filosofico sulla natura umana: “Siamo fatti di carbonio, acqua, luce stellare, ossigeno e sogni”. Segue – in “Another Clockwork Day” – uno scorcio desolante eppure tenero sul consumo di pornografia online, mentre il successivo “Compersion Pt. 1” ritrae un quadretto amoroso in chiaroscuro: “La mia Polyanna adora la poesia, pensa che il mio paradiso sia l’inferno, io mi faccio sotto con un limerick, lei ribatte con una villanella”.
Sul piano musicale si alternano episodi a un passo dal folk – esemplare “Sleeper”, con Moffat che declama versi emulando Leonard Cohen – ad altri di evidente estrazione post punk, tipo “Here Come Comus!”, in cui viene evocata addirittura l’inquietante figura dionisiaca della mitologia greca, metafora di una notte brava.
E ancora a proposito di eccessi ed ebbrezze, si fa notare l’andamento tragicomico di “I Was Once a Weak Man”, dove il protagonista – “Travolta in punta di piedi, un Michael Jackson sgradevole”, quando piroetta in pista – rientrando a casa si giustifica così: “Beh, Mick Jagger lo fa ed è più vecchio di me”. Punteggiato da personaggi simili e sostenuto da un impianto sonoro ombroso ma gradevole, As Days Get Dark onora la reputazione degli Arab Strap e la consolida.