Il peccato poco originale di Jehnny Beth
L’esordio da solista di Jehnny Beth delle Savages, To Love Is to Live è tanto ambizioso quanto ingenuo
Diva alternativa dal profilo statuario, come testimonia l’immagine effigiata in copertina, Camille Berthomier, in arte Jehnny Beth, francese emigrata in gioventù oltremanica in cerca di stimoli e opportunità insieme al compagno Nicolas Congé, alias Johnny Hostile, tuttora al suo fianco, ha compiuto il grande passo: esordire cioè da solista dopo essersi affermata quale voce e punto focale delle Savages, band londinese assai quotata ma divenuta per lei “una prigione per la creatività”.
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Jehnny Beth ha dato così sfogo al proprio estro esuberante ed eclettico: musica a parte, vanta trascorsi da attrice cinematografica e ultimamente conduce su Arte lo show televisivo Echoes, mentre in estate pubblicherà Crimes Against the Love Manifesto, antologia di racconti erotici. Al centro dei suoi pensieri sta il sesso, inteso come strumento di emancipazione dai precetti religiosi che le erano stati impartiti nel contesto familiare: «Un modo meraviglioso per mettersi alla prova», ha dichiarato in una recente intervista a “The Guardian”. Ecco allora le prime parole pronunciate in “I Am”, ouverture dal pathos esistenzialista: “Sono nuda tutto il tempo, sto bruciando dentro”. Affronta quindi il tema dell’innocenza: “E ovviamente c’è la colpa, perché sono stata cresciuta cattolica”, confessa a cuore aperto.
Logico che si debba confrontare perciò con il peccato. L’ombroso e suggestivo pop di “We Will Sin Together” descrive una storia da maudits: “Ragazzini per sempre, un bacio e un delitto (…) Siamo dannati, senza bisogno di salvezza”.
La temperatura sale poi in “The Rooms”, ambientato in atmosfera decadente da club per scambisti (“Entro dentro stanze in cui l’amore è libero e selvaggio, le donne si offrono, gli uomini aspettano e osservano”), e in “Flower”, che trasuda torbida sensualità disegnando il ritratto di una spogliarellista: “Grida e sussurra, le sue ossa sono fatte di rabbia”.
Infine rivela sé stessa e le proprie aspirazioni in “Heroine”: “Tutto ciò che voglio è fare buon uso del mio corpo fantastico (…) Tutto ciò che voglio è sentirmi venire nel modo che piace a me e solo io posso fare (…) Tutto ciò che voglio è essere un’eroina”.
In questo episodio le è complice, anche nella scrittura, Romy Madley Croft degli xx: fra i partner chiamati ad assecondarla nella circostanza, con menzione dovuta per produttori di fama quali Atticus Ross e Flood.
In senso squisitamente musicale, To Love Is to Live è un’opera animata dai contrasti: alla diafana delicatezza di “French Countryside”, quadretto idilliaco della madeleine suscitata dal ritorno in patria (“Allargherò le mie braccia per raccogliere le gocce di pioggia”), si oppone la brutalità hardcore di scuola Savages espressa da “I’m the Man”, con la protagonista in panni maschili(sti) a proclamare: “Non c’è puttana in città che non sappia quanto può essere duro il mio cazzo”.
In autunno quel brano è stato incaricato di aprire la strada all’album, affiorando tra le sequenze della quinta stagione di Peaky Blinders, popolare serie targata BBC in cui recita l’attore irlandese Cillian Murphy, al quale spetta qui il compito d’interpretare una poesia dell’autrice: “A Place Above”. Dicono i versi conclusivi: “C’è un posto lassù dove mi piace andare con la mente, è un posto da cui osservo gli altri e le loro piccolezze, dove so come vedere”. Illuminante? Ingenuo, semmai. Dettaglio che denuncia un’imperfetta corrispondenza fra entità delle ambizioni e consistenza dell’ispirazione. Peccato.