Il corpo ritrovato di Nyokabi Kariũki
La musicista kenyota esordisce con una meditazione in musica sul long Covid
Feeling Body è l’album d’esordio della venticinquenne musicista kenyota Nyokabi Kariũki, residente a New York e nel Maryland, preceduto nel febbraio dello scorso anno dall’EP peace places: kenyan memories (SA Recordings), segnalato da Bandcamp come uno dei migliori dischi dell’inverno 2022 e da The Guardian come Contemporary Album of the Month, con recensioni su Pitchfork, Resident Advisor e The New York Times.
Nel settembre 2022 Nyokabi ha presentato la "re-immaginazione" di questo EP al Gaudeamus Festival, esibendosi al fianco dell’acclamato Cello Octet Amsterdam, del percussionista e musicista elettronico Matt Evans e della vocalist Alev Lenz, con cui aveva già collaborato nel 2021 quando partecipò al Recompose contest, invitata a ricomporre una canzone estratta da 3, l’album di Alev Lenz nominato per il Grammy Award. L’artista keniota si distinse tra centinaia di altri partecipanti con “Fishermen (Sell your Dreams).”
Ce n’è abbastanza per approcciare questo nuovo lavoro con curiosità.
La musica personale di Kariũki riporta alla memoria la sua città natale, Nairobi, mentre era bloccata negli Stati Uniti durante il lockdown e questo nuovo album, più scuro rispetto al lavoro precedente, è immerso nella sua esperienza di long Covid, protrattasi per tutto il 2021.
«La musica che ho composto è una riflessione su come la malattia mi abbia spinto verso la conoscenza del corpo in cui vivo» ha spiegato, «vedendolo improvvisamente dall’interno verso l’esterno e non viceversa. Mentre componevo ho cercato di condividere le mie esperienze sia fisiche sia psicologiche di quel periodo di malattia, oltre alle riflessioni del periodo successivo – posso indicare gennaio 2022 come la fine del mio long COVID (anche se persistono ancora alcuni effetti postumi, comunque gestibili)».
«In questo disco combatto con questo periodo in cui diventai così consapevole del mio corpo, notando che anche nel periodo successivo la malattia lascia un trauma dentro di te, sia nelle parti fisiche in cui si è insediata sia nella mente».
A questo proposito ecco il video di The Black Dancing Body: Covid-Era del coreografo Austin Warren Coats, musicato da Nyokabi.
Il suo lavoro dello scorso anno impiegava segnali culturali sottili: linguaggi, ritmi e strumenti differenti, a fianco di audio estrapolati da registrazioni fatte col cellulare: «La musica africana è molto partecipativa, così vedo i miei field recording come compartecipi, il mio proprio linguaggio musicale. Nell’EP potete sentire le voci di mia madre, di mio padre e di mia nonna, hanno un ruolo centrale nell’economia dei vari pezzi». Il risultato è stato una delle pubblicazioni di spicco dell’anno, un’evocazione di casa e una meditazione sul dislocamento.
Feeling Body – sei brani per un tempo totale che supera di poco la mezz’ora – si apre e si chiude con cauto ottimismo, come ci svela Nyokabi: «Nel primo pezzo, “Subira”, prevedo di stare meglio e in quello finale, “Nazama”, lo confermo. La musica non è solo sul dolore e il peso che derivano dalla malattia ma soprattutto sull’apprezzamento del corpo e di come esso capisca la speranza e la sopportazione prima di quanto lo crediamo».
Il disco ha un sapore nostalgico come il precedente, ma si muove inseguendo nuove direzioni: il violino suonato da Yaz Lancaster, la tromba da Michael Denis Ó Callaghan e la tecnologia della sintesi vocale riempiono i seducenti mondi sonori che la musicista costruisce a partire dalla sua voce manipolata elettronicamente. Il suo stile può ricordare quello dell’altrettanto giovane artista canadese ma residente in Texas Claire Rousay quando impiega dettagli insignificanti per estrarre dalla vita di ogni giorno musica cesellata e rivelarne le sensazioni sottostanti.
Un’esplorazione vivida, che riesce nel compito di incanalare le filosofie tribali dei Kikuyu sul potere taumaturgico dell’acqua e, a volte, la sensazione spiacevole di sentirsi vulnerabile, arrivando a confessare, ridendo: «In uno dei pezzi mi soffio il naso».
L’acqua dicevamo, come già nel disco precedente, è uno degli elementi ricorrenti, sia in un lavandino – mentre Nyokabi tossisce e si lava le mani –, sia al livello di base di un fiume vicino al Mount Kenya, mentre scorre vivacemente.
Inevitabilmente negli ultimi anni ci siamo occupati spesso di album creati durante la pandemia, il più delle volte nati come reazioni immediate alla situazione surreale in cui stavamo vivendo; in questo caso invece ci troviamo tra le mani un disco che analizza gli effetti a catena di una destabilizzazione che dura anni e le differenze tra chi vive ancora nella pandemia a causa delle sue conseguenze e chi se l’è lasciata alle spalle.
La musica di Nyokabi – un magico patchwork di suoni di famiglia e di natura “catturati”, a fianco di strumentazione elettronica e meditazioni pianistiche: potete chiamarla indifferentemente musica classica contemporanea o elettronica sperimentale, a lei non interessa – cerca di rimediare ai danni fatti dal colonialismo, durante il quale la quasi totalità del pensiero e della filosofia alla base della musica africana fu cancellata. «Molto fu preso, così la mia musica sta cercando un modo per riprenderlo, per me stessa e per le altre persone del continente africano».
Nyokabi Kariũki, un nuovo tassello di quell’impressionante – per ricchezza e importanza – mosaico che è la diaspora africana.