Iggy Pop, il colpo di coda dell'Iguana
Un disco nuovo a 75 anni per Iggy Pop. Unica concessione alla dittatura del tempo: Stop allo stage-diving...
Dalla calza della Befana è sbucato fuori Every Loser: diciannovesimo album da solista per Iggy Pop, distante quattro anni dal meditabondo Free, ma affine piuttosto al precedente Post Pop Depression (2016), che all’epoca si diceva dovesse segnarne il ritiro dalle scene.
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Ad affiancarlo nell’impresa sono stati alcuni esponenti del gotha “alternativo” statunitense, tra cui Stone Gossard dei Pearl Jam e tre quarti dei Jane’s Addiction, oltre allo scomparso Taylor Hawkins, batterista dei Foo Fighters, che – ironia della sorte – nel 2013 aveva vestito i suoi panni nel film CBGB, mentre l’immagine di copertina è firmata da Raymond Pettibon, illustratore affermato nel medesimo ambito.
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Operazione d’alto bordo, insomma, da parte di chi – presentandola – si è definito con sfrontatezza e a dispetto della veneranda età: “Il tizio a torso nudo che fa rock”.
Un sommario check up rivela che la voce è in condizione smagliante, arrochita dall’usura ma ancora feroce, lo sguardo rimane affilato e l’orecchio riesce a sopportare tuttora brusche sonorità a volume sostenuto. Valga a dimostrarlo “Frenzy”, che apre la sequenza con una schitarrata alla Stooges genere “Search and Destroy” e ostenta aggressività carica di testosterone: “Ho un cazzo e due palle, cioè più di voi tutti, la mia mente andrebbe in tilt se patissi le punzecchiature”, recita senza troppe perifrasi l’incipit.
Identica ricetta musicale, riff tipo “TV Eye” e martellare di piano alla “I Wanna Be Your Dog”, dà forma più avanti a “Modern Day Rip Off”, quando in seguito l’eloquente “Neo Punk” è una scheggia hardcore indirizzata verso certi epigoni farlocchi: “Sono un neo punk modello Gucci, bello e sexy”. Ce n’è anche per i “leoni da tastiera”, in “Comments”, che su pulsare di basso e incalzare di batteria da manuale della new wave dispensa inizialmente consigli (“Liquida le tue azioni di Zuckerberg e scappa”) e dopo – svelando l’origine del titolo attribuito al disco – filosofeggia: “Ogni perdente ha bisogno di un po’ di gioia”.
Se questi episodi possono dare la sensazione che James Newell Osterberg Jr. sia diventato la cover band del se stesso di mezzo secolo fa, altrove il registro si allinea viceversa all’anagrafe: “Morning Show” è una ballata introspettiva che suona come un blues della Quarta Età.
Ha tono confidenziale pure “Strung Out Johnny”, dove l’Iguana torna al topos della tossicodipendenza: “La prima volta ti fai con un amico, la seconda su un letto, dalla terza non ti basta mai, poi la tua vita s’incasina”.
E un analogo impulso autobiografico informa “New Atlantis”, peana dedicato a Miami, sua dimora dal 1995 (“Da qualche parte a sud dell’Alabama e a nord di Cuba sta una bella puttana di città, accetta ogni donazione e attrae un flusso infinito di estimatori, spacciatori e assassini colombiani, truffatori americani e teppisti slavi”), che contiene però un nocciolo apocalittico: “La Terra è pronta a esplodere in un olocausto di vuoto imperiale”.
Evocazione inquietante che fa il paio con quella descritta fra gli spigoli del massiccio rock di “All the Way Down”: “Entrano pipistrelli dalla finestra, cammelli passano attraverso gli aghi, serpenti salgono dalle scale, strani gas al posto del respiro, schiuma, gomma, seni di Hollywood, vita che sa di morte”. Un ultimo guizzo ribelle anima l’epilogo: “Fanculo il Regime” è lo slogan che scuote “The Regency”.
Niente male per un 75enne, pronto ora ad avventurarsi in tournée – dalla primavera oltreoceano e con l’estate in Europa – accompagnato dai Losers, ossia Duff McKagan (Guns N’ Roses), Chad Smith (Red Hot Chili Peppers), Josh Klinghoffer (ex di quel gruppo) e Andrew Watt (produttore insignito di Grammy Award nel 2021), già implicati nella realizzazione di Every Loser: una formazione appena rodata in anteprima televisiva nello show di Jimmy Kimmel.
Unica concessione alla dittatura del tempo: “Stop allo stage-diving”, ha annunciato. Bontà sua…