I Pink Floyd sul mandolino
Il trio Mandol'in progress rilegge per intero Dark Side of the Moon
Anche la musica popular è entrata in una sua forma di “classicità”. I grandi gruppi e solisti di progressive, rock blues o rivolti verso la psichedelia e le note folk in genere sono considerati, né più né meno, maestri nel senso letterale del termine. A volte ingombranti e incombenti, sempre decisivi. Qualche anno fa un bravo critico descrisse i nostri tempi “popular” come quelli della retromania: prova e riprova, va sempre a finire che si cita qualcuno di grande e grosso che ha messo i mattoni principali del grande edificio rock. Però, a compensare il lieve alito di malinconia che ragionamenti del genere possono indurre, c'è un mantra positivo da ripetersi: come in ogni campo dell'arte, il “classico” è ciò che, concepito in un passato recente o lontano non smette di porre domande al presente, e di dare indicazioni per il futuro. Se dovessimo indicare tanti dischi popular “classici” quante sono le dita di una mano, uno sarebbe senza tema di smentita The Dark Side of the Moon.
Potete adorare i Pink Floyd, evitarli come il virus Ebola, sbeffeggiarli come modernariato buono a tutte le evenienze, ma quel disco continua a essere un mistero imprendibile. Nessuno riesce a concepire un classico pensando che sarà un classico: loro ce la fecero. Avevano trent'anni o poco più, e in una manciata di canzoni debitamente straniate da rumori, echi, segni della vita quotidiana, voci fuori contesto che sembrano arrivare dall'etere, costruirono un affascinante affresco di una generazione che si interrogava sul tempo, sulla violenza, sulla morte delle creature fisiche, sulla bellezza.
Chi è passato per quegli anni non ce la fa proprio ad alzare le spalle, e tirar dritto. I Flaming Lips ne fecero una versione indie rock urticante, Warren Haynes ha riletto Dark Side col piglio robusto di un rocker del Sud dalle spalle larghe, i Mostly Autumn lo hanno reso “neo progressive”, la “nostra” Rita Marcotulli ne ha cavato onirica polpa jazzistica e succhi etnici. E adesso arriva la rilettura più inattesa e improbabile: Dark Side per mandola, mandolino e mandoloncello. Non sono tre principianti a caccia dell'originalità a tutti i costi: sono gente di Conservatorio. Mauro Squillante, Gaio Ariani e Valerio Fusillo – alias Mandol'in Progress.
The Dark Side of the Moon è qui riproposto dall'inizio alla fine, nell'identica sequenza del vinile originale, da "Speak to Me" a "Eclipse". I tre fanno tutto con plettri, corde, e una serie di accorgimenti tecnici, sfruttando ogni risorsa dei loro legni che restituisce anche i passaggi più rumoristici. Si resta piacevolmente esterrefatti.
“There is no (just one) Dark Side of the Moon, Really”, si potrebbe dire parafrasando la vocina finale del capolavoro floydiano...