I film sonori dei Girl Band
Dopo cinque anni, i punk dublinesi Girl Band pubblicano il secondo album per Rough Trade
Cinque anni fa i dublinesi Girl Band sembravano destinati a una carriera fulminante: una manciata di singoli, concerti esplosivi, un contratto con Rough Trade, l’album d’esordio Holding Hands with Jamie, successo di pubblico e di critica, e poi… il nulla. Un ruolo significativo in questo silenzio l’hanno giocato i disturbi mentali del cantante Dara Kiely che hanno costretto il gruppo a una pausa che sembrava non dover finire mai. E improvvisamente ecco “Shoulderblades”, con il suo ritmo sincopato dal sapore glam e la voce di Kiely che ricorda da vicino quella di Mark E. Smith dei Fall, il segnale che i Girl Band non solo esistono ancora ma stanno per tornare con un album di canzoni nuove.
Registrato durante il mese di novembre dello scorso anno in una residenza storica di Dublino, Ballintubbert House, «un po’ al di sopra rispetto a quello a cui siamo abituati» The Talkies, prodotto dal bassista Daniel Fox, è il tentativo di rendere in musica le atmosfere e la configurazione sui generis dell’edificio.
Partenza strana: il respiro di Kiely su un accordo in loop che ricorda il battito cardiaco, un minuto e quarantotto secondi che sfociano in “Going Norway”, con la voce declamante che si fonde con la chitarra di Alan Duggan in quello che prende la forma di un lamento.
La già citata “Shoulderblades” dipinge un orizzonte dissonante, screziato da un “shh” minaccioso e inquietante che si conficca nell’orecchio, sostenuto da chitarre noise.
Il pezzo “Aibohphobia” è contemporaneamente un palindromo e la paura che i palindromi scatenano, nel quale Kiely sputa fuori parole al contrario e anche i riff di chitarra sono suonati e registrati al contrario per poi essere sovrapposti agli stessi registrati nella sequenza corretta, il tutto ispirato da “Paul Revere” dei Beastie Boys e dalla famosa scena nella stanza rossa di Twin Peaks.
“Prefab Castle” è combustione controllata: Kiely sembra alle prese con una filastrocca srotolata su una base sinistra, poi arriva una chitarra che ci colpisce impietosamente da ogni lato e, per finire, il gruppo si ricorda di aver realizzato una cover in chiave noise di “Why They Hide Their Bodies Under My Garage?” del produttore minimalista Blawan ed ecco che il batterista Adam Faulkner fa entrare un improvviso beat techno, un minuto e mezzo di white noise.
Malgrado un paio di pezzi chiaramente riempitivi, l’album è notevole, confermando i Girl Band un gruppo in grado di generare una disintegrazione del suono che avvolge in maniera subdola fino a creare dipendenza.
Il compito di chiudere il disco spetta a “Ereignis” e ancora una volta compare il respiro di Kiely, anche se non più in primo piano, conferendo così un senso circolare a The Talkies: la visita alla Ballintubbert House è terminata, la porta si chiude, silenzio.
“E perché la morte è così viva?” – “Going Norway”