I Dirtmusic sognano sul Bosforo
Il progetto transculturale Dirtmusic, di Chris Eckman e Hugo Race, fa tappa nell’Istanbul dei Baba Zula
Un disco in sintonia con i tempi che corrono. Non solo ispirato alle migrazioni, ma esso stesso frutto del nomadismo. Un percorso contro corrente, quello imboccato anni fa dallo statunitense Chris Eckman (membro fondatore dei Walkabouts, longeva band indipendente di Seattle) insieme all’australiano Hugo Race (già nei Bad Seeds di Nick Cave).
Partecipando nel 2008 al Festival au Désert di Essakane, in Mali, entrarono in contatto con gli artisti del posto, fra cui i Tamikrest, reclutati poi per realizzare nel 2010 l’album BKO. E su lunghezze d’onda analoghe, al crocevia cioè tra folklore occidentale e blues del Sahara, si sono allineati i seguenti Troubles (2013) e Lion City (2014). In Bu Bir Ruya – testualmente: “Questo è un sogno” – muta il contesto geografico, non l’attitudine: sede delle operazioni è stato lo studio di registrazione creato dentro un vecchio garage, nella parte settentrionale di Istanbul, da Murat Ertel, figura leggendaria nel sottobosco musicale turco, essendo principale forza motrice dei Baba Zula (quanto quel gruppo sia rilevante è spiegato nel documentario di Fatih Akin Crossing the Bridge).
Oltre a contribuire alla produzione, Ertel ha maneggiato il saz elettrificato e coinvolto altri protagonisti della scena locale, dal percussionista Ümit Adakale alla cantante – una Björk del Bosforo, a detta di The Guardian – Gaye Su Akyol, assoluta protagonista nell’ipnotico “Love Is a Foreign Country”. La combinazione fra questi elementi dà forma a un suono fieramente meticcio, come dimostra fin dal principio “Bi De Sen Söyle”: numero di rock psichedelico sospinto da ritmiche tribali e irretito dall’eco nordafricana di voci femminili.
E poco dopo, sugli arabeschi disegnati dalle chitarre in “Go the Distance”, il tambureggiare della darabouka, unito a una pulsazione elettronica, imprime al pezzo cadenze prossime alla house. Poiché, afferma un verso di “Border Crossing”: “Non capite che il mondo sta diventando piccolo?”.
Pervasa dall’inquietudine dello Zeigeist – Race ha dichiarato: “Abbiamo tratto ispirazione dall’atmosfera di Istanbul, nella generale disaffezione per i media di stato e nell’incertezza dell’immediato futuro” – e tuttavia determinata a non lasciarsene sopraffare, Bu Bir Ruya è un’opera dall’evidente intenzione politica, che ne moltiplica – anziché smorzarla – l’immediatezza comunicativa.