Grace Cummings, folk e melodramma
Il secondo album dell’artista australiana Grace Cummings nel segno di Dylan e Townes Van Zandt
Australiana di Melbourne, Grace Cummings è attrice di teatro e cantautrice. In quest’ultima veste pubblica in questi giorni il proprio secondo album, che segue a poco più di due anni di distanza Refuge Cove, realizzato per l’indipendente locale Flightless, i cui titolari si convinsero a finanziarlo avendola ammirata destreggiarsi con “It’s All Over Now, Baby Blue” in un video domestico.
Allude ora a Dylan un verso di “Raglan”, invece: “Sto qui a guardare il disco che gira, di nuovo Highway 61”.
È una quieta ballata a tinte fosche nella quale si riverbera l’eco del folk irlandese che il padre ascoltava in casa: «Mi piace perché conduce a luoghi oscuri e drammatici», ha spiegato l’interessata. Altrove il tono è meno grave, ad esempio nell’essenziale “Two Little Birds” e in “Always New Days Always”, aggraziato madrigale in aperto contrasto con il precedente “Heaven”, incipit dell’opera dove l’accento blues stentoreo e arrochito della voce – affine a certe interpretazioni di Diamanda Galás o PJ Harvey – esibisce un’intensità melò.
Il testo della canzone evoca simbologie religiose, “Ho appena scoperto il paradiso” e “Ave Maria”, salvo concludere poi: “Vedi la mela appesa all’albero, svanisce mentre la raggiungi, non c’è nessun Dio”. “Per me parlare di Dio o di Maria madre è un modo di definire qualcosa di bello che non capisco, qualcosa che non fa parte del mondo in cui viviamo”, ha chiarito lei a scanso di equivoci.
Analogamente va interpretata dunque l’immagine simbolica intorno alla quale gravita “Up in Flames”, dopo un inchino a Robert Frost, poeta prediletto da John Fitzgerald Kennedy: “Notre-Dame brucia, oggi la sua bellezza è in fiamme”, canta Cummings con potenza da gospel.
Altri elementi ricorrenti nella narrazione sono Re e Regine, oppure aquile e aquiloni, associati nell’elegiaco epilogo “Fly a Kite”, che sfocia in uno struggente assolo di Theremin. In Storm Queen la strumentazione è più articolata rispetto al debutto, ma comunque disadorna: oltre alla chitarra, si ascoltano il pianoforte (“Dreams), un violino (“Freak”) e il sassofono spettrale che aleggia nel brano da cui prende nome l’intero disco, introdotto da un appello a Townes Van Zandt, altro nume tutelare evidentemente.
L’approccio della protagonista alla scrittura e alla registrazione antepone la spontaneità alla ricercatezza: la maniera migliore per mettere in mostra un talento notevole, al tempo stesso ispido e amorevole.