Georgia Ann Muldrow, tra afrofuturismo e pop
Dopo tre anni di silenzio Overload segna il ritorno in grande stile di Georgia Ann Muldrow
Trentacinque anni e sedici dischi (alcuni col marito Dudley Perkins) tra il 2006 e il 2015: davvero una produzione imponente quella di Georgia Anne Muldrow, non c’è che dire. Capirete quindi che tre anni di silenzio abbiano rappresentato un’eternità per i suoi estimatori, abituati a uscite discografiche a raffica; bene, l’attesa è terminata, Overload è qui e rappresenta una virata verso sonorità più pop rispetto a quelle ispirate al jazz e all’hip hop a cui la Muldrow ci aveva abituati.
Il suo R’n’B non convenzionale, memore del catalogo di Sun Ra e di Baduizm, il capolavoro di Erykah Badu, e le sue capacità vocali hanno fatto avvicinare il nome di Georgia Anne Muldrow a quelli della già citata Badu, di Roberta Flack e di Nina Simone; tra i suoi estimatori si annoverano Mos Def, Ali Shaheed Muhammad di A Tribe Called Quest, Madlib, Robert Glasper, Bilal e Flying Lotus, che compare come produttore esecutivo, insieme al già citato Perkins e ad Aloe Blacc, di questo disco uscito per la sua etichetta Brainfeeder.
Se in alcuni episodi l’approccio futuristico e psichedelico di Flying Lotus è ben presente, in altri è predominante il tocco di Aloe Blacc, gran scrittore di canzoni pop il cui pauperismo orecchiabile aveva saturato le frequenze radio nel 2010 (“I Need a Dollar”). È lui che ha il compito di rendere meno spigolose le versioni finali delle canzoni della Muldrow, senza peraltro snaturarle; è vero, in alcuni episodi la voce sembra che abbia il freno a mano tirato, ma per fortuna in altri ha la libertà di lanciarsi in quelle acrobazie che ce l’hanno fatta amare nel corso degli anni.
Il brano che dà il titolo alla raccolta ha un tocco trap e un andamento nu-soul, è probabilmente quello più immediato della produzione della Muldrow; la formula funziona nuovamente con “Aerosol”, affidato alla produzione di Dutchman Moods che, giustamente, accende i riflettori sulla voce magnetica dell’artista, aggiungendo profondità con armonie vocali in secondo piano che ricordano i singoli strumenti di un’orchestra: ci si chiede solo perché abbiano deciso di far durare tale bellezza due miseri minuti.
C’è un altro grande coro in “Vital Transformation”, ma di nuovo la voce della Muldrow mi sembra un po’ troppo trattenuta, l’avrei preferita esplosiva come in “Runnin’”, la sua partecipazione a Negro Swan, l’album di Blood Orange uscito quest’anno; lo stesso problema è riscontrabile in “Play It Up” dove, su un beat trap, la sua voce sembra, con facile gioco di parole, intrappolata, come un uccellino dentro una gabbia: ciò non toglie che la canzone sia comunque uno dei vertici dell’album. “Blam”, la sua risposta alla brutalità della polizia, è costruita intorno a una linea di basso volutamente attorcigliata, come anche la deliziosa “You Can Always Count on Me”; mi piace il minimalismo di “Canadian Hillibilly”, dove la voce della Muldrow sembra uscire da una fitta nebbia.
Alla fine ancora una volta le canzoni, gli arrangiamenti e la produzione, passano in secondo piano di fronte alla personalità strabordante di Georgia Anne Muldrow, anche quando certi eccessi pop minacciano di prendere il sopravvento.
Questo disco non è fatto per ascolti veloci e nervosi col telecomando in mano: mentre scrivevo queste righe ho ascoltato Overload ben quattro volte (e per quattro volte sono rimasto a bocca aperta ascoltando “I.O.T.A. – Instrument Of The Ancestor”, il minuto di potentissimo orgoglio nero che ha il compito di introdurre il disco) e dopo ogni ascolto il mio giudizio è andato migliorando; ci vuole pazienza ma alla fine capirete che ne è valsa la pena.
«Prima che io diventi una schiava, sarò sepolta nella mia tomba».