Garbarek e Hilliard Ensemble, la meraviglia continua

Esce per ECM un live da Bellinzona del 2014, con Jan Garbarek e l'Hilliard Ensemble al loro meglio

Garbarek - Hilliard Ensemble
Foto di Silvia Lelli
Disco
oltre
Jan Garbarek / The Hilliard Ensemble
Remember Me, My Dear (Live in Bellinzona/2014)
ECM
2019

Proprio come accadeva venticinque anni fa nell’indimenticabile Officium di Jan Garbarek con l'Hilliard Ensemble, la sacralità di questa musica del raccoglimento, figlia della conviviale e intelligente interazione, frutto del coraggioso, estatico e armonioso accostamento tra linguaggi musicali differenti, nel tempo e nello spazio, non risiede più tanto nel testo liturgico (o figuriamoci nel contesto), come già stava cominciando timidamente a prefigurarsi all’epoca delle prime forme di polifonia medioevale, ma (oltre che nella bellezza delle melodie e delle armonie, esempio di una musica che si accingeva ad allontanarsi dalla mera funzione officiante), nel modo in cui i suoni interagiscono con lo spazio e le sue distanze, ieraticamente valorizzati dal suo contemplativo vuoto risonante, in una continua alternanza di luci e ombre, suoni diafani e riecheggianti silenzi. 

Al tempo della prima polifonia sacra le voci cominciarono lentamente a prendere vita (stiamo parlando di un processo plurisecolare), a differenziarsi dal solenne enunciato di quella principale, gradualmente distinguendosi anche dal punto di vista testuale, ed esprimendo una sempre più accentuata vivacità ritmica o meglio metrica (ovviamente invisa alle gerarchie ecclesiastiche, affezionate a una forma di canto più piana, uniforme e distesa), che a partire dalla seconda metà del XII secolo, grazie ai compositori della Scuola di Notre-Dame (Magister Leoninus e Magister Perotinus), comincerà per la prima volta a essere annotata (a ogni neuma, la quantità di note previste per ciascuna sillaba, corrisponderà un valore, ovverosia una durata). 

Notazione che in tutto lo sviluppo della musica antica, proprio perché non completamente codificata, come poi invece avverrà in epoca temperamentale, lascerà sempre ampi margini di discrezionalità all’interpretazione e al gusto di ciascun musicista o cantore nella fase di abbellimento delle linee melodiche e della costruzione armonica dei gruppi accordali di note. 

Ed è forse questo uno dei maggiori punti di contatto con il linguaggio jazzistico e con la sua più o meno accentuata e imprevedibile (nel senso che quantomeno prevalentemente non scritta) “estemporaneità” (si ascolti qui l’audace, sostanzialmente swingante, avvincente restituzione dell’"Alleluia Nativitas" del Maestro Perotino). 

Un linguaggio jazzistico qui poeticamente rappresentato e veicolato, proprio come accadeva venticinque anni fa, dal traslucido e come ultraterreno riverberante sax soprano di Jan Garbarek (che allora per la verità aveva utilizzato anche il tenore), quintessenza del diafano e contemplativo jazz nordico o in gioventù della sua altrettanto caratteristica glaciale energia bollente. 

Un Garbarek che in questo documento live da Bellinzona, datato già 2014, “contrappunta” alla perfezione – con le sue saettanti, stranianti e al contempo orientanti note lunghe che risuonano, a rievocare opportunamente un antico prosodiare monastico, e in una sorta di continua, rischiarante (proprio nel senso semantico del termine), munifica interferenza sonora – le sofisticate, avvolgenti e delicate armonie vocali dell’Hilliard Ensemble. Da quasi mezzo secolo specializzato nell’esecuzione di musica antica, l'Hilliard da oltre vent’anni è stabilmente composto dai tenori Steven Harrold e Rogers Covey-Crump, dal controtenore e fondatore David James e dal baritono Gordon Jones

Un contrasto luminoso, quello di Garbarek, che pur “minando” le certezze della preordinata composizione riesce al contempo a irradiarne e valorizzarne tutta la forza comunicativa, riuscendo a tenersi lontano dal rischio di una sovrapposizione intrusiva. 

Quartetto britannico che dal canto proprio, come del resto sua abitudine, si cimenta nell’occasione non solo con un ampio repertorio sacro medioevale (Perotino, Hildegarda di Bingen, Guillaume Le Rouge, Antoine Brumel, più una serie di svariati anonimi), ma anche con brani e soluzioni armoniche di estrazione più contemporanea, quando non originale, come nel caso della musica liturgica dell’armeno Padre Komitas (1869-1935), del russo Nikolay Kedrov (1871-1940), o di un valoroso minimalista della composizione sacra come l’estone coevo Arvo Pärt.

Una meraviglia.

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