Fito Páez per liberare la città
Il ventiquattresimo disco di Fito Paez, La ciudad liberada
Ore 19 del 24 novembre 2017, Piazza San Martín a Rosario, Argentina: nella città dov’è nato 54 anni fa, Rodolfo “Fito” Páez ha presentato col suo gruppo tre canzoni dal suo nuovo disco, La ciudad liberada.
La ciudad liberada è il ventiquattresimo disco di Fito Paez. Sulla copertina, due foto di Nora Lezano “montano” la faccia di Páez sul corpo di Eugenia Kolodziej, un’idea grafica di Alejandro Ros che, in anticipo sui tempi di pubblicazione del lavoro, ha già creato il necessario scompiglio dalle parti delle reti sociali.
In una recente intervista per Culto, Fito Páez spiega ha spiegato il titolo del disco: «mi piace una frase del poeta argentino Néstor Perlongher che parla della città liberata. Mi ha colpito, è molto bella, mescola ribellione, selvaggismo, impertinenza, la libertà che si vive nei momenti in cui si libera la città. O quando torna la democrazia dopo le epoche di dittatura militare. Ma la città liberata siamo anche noi, con i nostri pregiudizi, che dobbiamo superare, se ne abbiamo modo. La nostra psiche e il nostro corpo. Viviamo in un mondo in piena rivoluzione, tante minoranze che prima stavano rinchiuse ora volano in giro per il mondo ed è qualcosa che fa bene a tutti. Ed è anche un album che delira, come quando arrivi in una città e trovi una cosa diversa in ogni quartiere».
Diciotto tracce, 70’ di musica, testimoniano il nuovo flusso creativo e compositivo, ennesimo patchwork di generi e arrangiamenti, occasione di Paez per re-incontrare numerosi ospiti insieme a un trio consolidato: Mariano Otero al basso, Gaston Baremberg alla batteria e Diego Olivero alle chitarre, co-arrangiatore e produttore del disco.
La ricchezza di idee e l’approccio eclettico sono evidenti fin dall’inizio, con tre canzoni che ci ricordano i tanti modi di leggere il rock: la scanzonata "Aleluya al sol"; i Beatles esorcizzati insieme alla penna di Pity Alvarez, con "Wo Wo Wo", melodia arrivata “in sogno”; mentre "Tu vida mi vida" rimanda al rapporto con Charly García, come già era successo tre anni fa in Rock and Roll Revolution (2014) – ma questo, dice Fito Páez «è un altro viaggio».
Allora, di fronte a una crisi profonda «Charly García fu il cervello occulto che mi guidò lungo tutto il progetto. O forse mi ha guidato quello che lui ha seminato in me. Il nuovo album è raffinatissimo e molto selvaggio». Sono tanti i modi di dire “fuori dalla crisi”, e l’immaginifico brano "Otra vez al sol" (Di nuovo al sole) è uno di questi.
"Islamabad" si apre con il cajon e le voci flamenco di Antonio e Juan Carmona e di Antonio Montoya: su melodie arabeggianti Fito Páez apre in francese e in inglese prima di ripetere in spagnolo “hai sentito parlare di…”, ritornello che percorre le contraddizioni del mondo odierno e la volontà di non farsi imporre la memoria storica da parte di chi lo colonizza.
Qui fa capolino per la prima volta “La ciudad liberada”, prima di dare il titolo a uno dei brani di spicco del disco, che non si tira indietro nel denunciare violenza e razzismo urbani. I ritmi si fanno incalzanti con "Soltá" e vengono portati da "Nuevo mundo" direttamente in discoteca, prima di accompagnare i mostri di "La mujer torso y el hombre de la cola de ameba" con i tasti del piano acustico. Fito Páez gioca con le parole e con il realismo magico ne "El secreto de su corazón"; critica l’autoritarismo con "El ataque de los gorilas", e trova un’elettronica scura e un piano incalzante per chiedere in "Navidad negra": "con tutta questa miseria, chi può essere felice?", si chiede.
Si torna a tastiere di altri tempi con "Chica mágica", una melodia delle sue per l’amore giapponese di "Los cerezos blancos", ai testi sovrabbondanti in "Plegaria", per chiudere in modo didascalico, fra l’allegro e il sarcastico, con "Se terminó", per poi aggiungere "5778", coda strumentale affidata a piano e tastiere e all’ultimo sussurro: “buenas noches, sueños felices”.