Filippo Gambetta, organetto senza confini
Maestrale del Filippo Gambetta Trio passa con virtuosa leggerezza dal chorinho brasiliano alle alessandrine e alle bourrée
Un buon musicista, che sappia muoversi sui crinali mobili e tutt’altro che privi d’insidie dove la musica vive di patrimoni sedimentati negli anni, ogni volta che ripropone una sequenza di note, un profilo melodico-ritmico che le persone avvertiranno immediatamente come “familiare”, è una figura che merita rispetto: così è con Filippo Gambetta.
È il senso profondo del suo operare, sapersi muovere in quel territorio che gli antropologi definiscono della “formulaicità”: un passo falso, ed esplode la cornice di riferimento di quelle note, non rendendole più comprensibili o utili al contesto specifico. Un altro tipo di passo falso, e quelle note suoneranno come stanche ripetizioni di quanto s’è ascoltato mille volte, e la cornice formulaica diventerà una galera con le sbarre pesanti.
Filippo Gambetta, con passo leggero ma anche una resiliente capacità di adattarsi a mille contesti diversi, nel corso degli anni ha imparato non solo a suonare con una grazia impalpabile e godibilissima il suo strumento, l’organetto diatonico, ma anche a scrivere brani che suonano immediatamente riconoscibili e sempre un po’ più in là di dove un malinteso concetto di “tradizione” vorrebbe confinarli.
È come se ci ricordasse ad ogni uscita che non esiste la musica di tradizione pura (Sapiens non è fatto per la purezza, ammesso che ne sia mai esistita una originaria!): esistono le musiche del pianeta, che sono patrimoni complessi e terre di confine. E di confini scavalcati, attraversati, di continui andirivieni in latitudini diverse è fatto Maestrale, registrato con il Filippo Gambetta Trio nato nell’estate del 2017, con il sanremese Sergio Caputo, polistrumentista, ma qui impegnato al violino (di cui è studioso, per quanto riguarda l’uso del piccolo cordofono in area mediterranea) e Carmelo Russo, chitarrista di formazione classica, a proprio agio sia con le note dal mondo della canzone d’autore, sia con quelle del bordo gaelico, con un bel focus, però, su flamenco e rumba.
In Maestrale troverete altro ancora, rispetto a forme e generi citati: ad esempio un delizioso chorinhno, il genere strumentale brasiliano e afroamericano tutto languore e virtuosismo pressoché coetaneo del primo jazz, mazurche e alessandrine, bourrée e brani che sfiorano molte altre temperature sonore calde, con l'eleganza tornita che aveva certa “new acoustic music” di un quarto di secolo fa, che ha lasciato un bel segno. Su tutto, è bello far notare come questo cd scorra con una sorta di gioiosa intensità, quasi senza stacco tra un brano e l’altro, a dispetto delle molti fonti a cui si abbevera: merito di una classe strumentale superiore, e di idee ben chiare.