Ettore Castagna, narratore di storie
Ἐρημὶα / Eremìa è il nuovo disco di Ettore Castagna
Sapiens è tale perché, come ci ha ben raccontato Jonathan Gottschall in L’istinto di narrare, o Edoardo Boncinelli in Noi siamo cultura, possiamo lanciare la sfida delle generazioni che si succedono con un'unica strategia di sopravvivenza: la trasmissione del sapere attraverso il racconto. Che sia una sera “a veglia” in una stalla in un mondo contadino che non c’è più, o un raffinato manuale di programmazione elettronica consultato on line, le persone apprendono ascoltando (leggendo, studiando) storie, le metabolizzano e le usano per vivere.
Per avere strumenti di sopravvivenza. Le storie sono anche fatte di musica, e ogni volta che qualcuno in un angolo del pianeta ne sfiora una porzione racconta la sua parte di storia complessiva, costruendo il grande racconto di tutti.
Queste considerazioni sono spuntate fuori quasi naturalmente ascoltando il notevole Ἐρημὶα / Eremìa nuovo disco lungamente atteso da Ettore Castagna. Musicista, ricercatore, etnomusicologo, scrittore, antropologo: uno di quei casi esemplari e rari di proficua ridondanza creativa e intellettuale che non è mai fragile bolla narcisistica, ma, semplicemente bisogno di espressione a tutto campo, l’“istinto di narrare” di cui sopra.
Eremìa è un punto di snodo fondamentale per Castagna, nel suo quinto decennio di attività: perché col passare del tempo e della riflessione sul proprio fare musica quello che era in origine un progetto solistico (e solitario...) di racconto per parole e musica, di canzoni, semplificando al massimo, è diventato uno snodo palpitante di grumi creativi che vanno a riguardare il suo e nostro rapporto con le “tradizioni”: che significa poi, il Mediterraneo, lo scrivere echeggiando modi popolari, storici e contemporanei, riscoprendo la potenza della parola la possibilità di tenere assieme passato e futuro, sul kairos, il crinale difficile dove per un attimo è l’equilibrio qualitativo e perfetto delle forze.
Castagna canta in calabrese, in greco, in arabo. Maneggia corde percussioni e fiati antichi e moderni, ad esempio la lira calabrese e la chitarra battente, alterna puro turgore armonico degli strumenti acustici a ben meditata elettricità. A volte – si ascolti il brano che intitola – si affacciano i fantasmi nobili di un folk rock ormai storicizzato: suona come un brano “anglo calabrese” di un visionario incrocio tra Sud d’Italia e Inghilterra che fu dei Pentangle. Ovunque, spira il vento di una poesia acre e intensa, e il progetto in “solitudine” del titolo è diventato un maestoso affollarsi di amici, “fratelli musicisti”, come dice lui, una ventina in totale, da Nando Citarella ad Abdallah Ajerrar, da Paolo Modugno a Yiannis Panatiotopoulos. Una “solitudine” sonante, e molto affollata di voci.