Destroyer: la labirintite di Dan Bejar

In Labyrinthitis, nuovo album di Destroyer, fanno capolino Tintoretto e la fontana di Trevi

Destroyer Labyrinthitis
Disco
pop
Destroyer
Labyrinthitis
Bella Union
2022

Intitolare un disco alla labirintite, patologia dell’orecchio che può essere invalidante, nuocendo all’equilibrio, suona per un musicista vagamente sarcastico: non è sorprendente che l’abbia fatto Dan Bejar, canadese alla soglia dei 50 anni, gravitante nell’orbita dei New Pornographers e intestatario con lo pseudonimo Destroyer di ben 13 album, questo incluso.

Personaggio dall’indole eccentrica, Destroyer ha seguito in carriera un cammino zigzagante, fedele al precetto di “ricominciare ogni volta da zero” espresso in un’intervista qualche anno fa. In verità, Labyrinthitis si allinea al mutamento di rotta impresso nel 2011 con Kaputt, il suo lavoro finora più quotato: la direzione rimane orientata cioè a una rimasticatura di certi canoni pop derivati in Gran Bretagna dalla risacca post punk, in particolare dai New Order (“Per me sono come i Rolling Stones”, ha dichiarato l’interessato).

– Leggi anche: Il Distruttore gentile

Su quella falsariga Bejar applica una scrittura in bilico fra humour autoironico (“Beh, la band non ha bisogno di un cantante, la band ha bisogno di una mano”, intona qui durante “It Takes a Thief”) e fluttuazioni esistenzialiste. Da quest’ultimo punto di vista, ecco l’episodio iniziale, “It’s in Your Heart Now”, il cui testo recita: “Vuoi andare a casa, vuoi sapere la strada, e quando, e poi perché”. Gli fa eco più in là “Eat the Wine, Drink the Bread”: “Non so dove sto andando, qui dentro è un manicomio, là fuori è una follia”, canta con nonchalance su un dinamico groove funk.

In precedenza, con accento glam da dandy spaesato, aveva sentenziato in “Suffer”: “Non importa quando, non importa dove, soffrirai”. Nel medesimo pezzo incappiamo inoltre in “un annegamento immotivato nella fontana di Trevi”, mentre nel deforme spoken word che caratterizza la seconda parte di “June” lo ascoltiamo affermare: “Ovunque vada Roma, tutti la vogliono”.

Il riferimento di maggiore peso specifico all’Italia è tuttavia condensato nel titolo del brano posto al centro della sequenza, “Tintoretto, It’s For You”, nel quale spicca altresì “un forfait in extremis all’Ultima Cena”.

Assistito da un parterre di strumentisti coordinati dal produttore di fiducia John Collins (New Pornographers anch’egli), Destroyer ha creato un mosaico musicale al tempo stesso affascinante e complesso, zeppo com’è di sottigliezze e doppi sensi, combattuto fra la tentazione del sarcasmo e il richiamo della malinconia.

Contrasto che sembra trovare soluzione all’epilogo nella tautologica “The Last Song”, ballata intimista dall’inopinato arrangiamento acustico: “Ti alzi in piedi, liberi la testa dai lacci, non fai quel che le notizie dicono in un giorno qualsiasi, fingi di dire ‘Ciao’, fingi di dire ‘Addio’, rivolgi la testa al cielo e dici: ‘Wow! Guarda il sole’”. E così, alla fine, uno si lascia conquistare dalle canzoni pop esposte con garbo distratto ed eleganza preterintenzionale in Labyrinthitis, simile negli effetti – se non nella forma – alle imprese del nostro beniamino Helado Negro.

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