David Byrne, una brutta American Utopia

Il nuovo, atteso disco di David Byrne, American Utopia, è decisamente deludente

David Byrne, American Utopia
Foto di Jody Rogac
Disco
pop
David Byrne
American Utopia
Todomundo/Nonesuch
2018

A sei anni da Love This Giant, l’album in collaborazione con St. Vincent, David Byrne pubblica American Utopia, un disco che delude le nostre (per la verità poche) aspettative.

L’anno scorso abbiamo avuto l’American Dream di LCD Soundsystem, quest’anno è il turno dell’American Utopia di David Byrne, ma, mentre il primo è stato uno dei migliori dischi del 2017, il secondo rischia di essere uno dei peggiori del 2018, uno di quelli che non hai voglia di ascoltare una seconda volta.

E dire che per realizzare questo lavoro l’ex-“Mezzobusto” si è circondato di ben venticinque collaboratori (tutti uomini, neanche una donna, cosa di cui si è anche dovuto scusare con una dichiarazione ufficiale in seguito alle proteste): da Oneohtrix Point Never a Brian Eno, da Dev Hynes a Sampha, ma il risultato, lo ripeto, non convince.

American Utopia vorrebbe essere il ritratto dell’America odierna, riproponendo le classiche domande care a Byrne: “Chi siamo?”, “Chi vorremmo essere?”, “In cosa sbagliamo?”. Il problema è che in passato (mi riferisco alla seconda metà degli anni Settanta, e alla prima metà degli Ottanta, il periodo dei Talking Heads per intenderci) queste domande erano sorrette da creazioni musicali di altissimo livello, innovative, coinvolgenti. Non si tratta di essere dei vecchi nostalgici dei Talking Heads, quei tempi sono passati e non avrebbe neanche senso che ritornassero (se non in alcuni momenti del già citato American Dream, e mentre lo scrivo sul mio volto compare un sorriso furbetto…). Il problema è che questo lavoro, con poche eccezioni, è proprio brutto. Salvo “This Is That” per la produzione alt-R’n’B di Oneohtrix Point Never e il singolo che ha preceduto l’album, “Everybody’s Coming to My House”, anche se in parte rovinato dal registro vocale troppo alto impiegato da Byrne.

Tutto qui? Lo so, è poco, ma è davvero tutto qui. Come detto dallo stesso Byrne in alcune interviste, il titolo American Utopia non è ironico: lui è davvero convinto che la maggior parte dell’umanità possa passare da una cultura di stampo capitalistico ad una più progressista. Ho i miei dubbi ma una certezza almeno ce l’ho: questo disco non mi è piaciuto.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

pop

La prima da solista di Kim Deal

Nobody Loves You More è il primo album dell’icona femminile dell’indie rock statunitense

Alberto Campo
pop

L'album di famiglia di Laura Marling

Il nuovo disco della cantautrice inglese Laura Marling nasce dall’esperienza della maternità

Alberto Campo
pop

Godspeed You! Black Emperor: un requiem per Gaza

Il nuovo lavoro della band canadese è ispirato al dramma del popolo palestinese

Alberto Campo