Arca non si è perduto
Il monumentale nuovo album del produttore venezuelano Alejandro Ghersi, alias Arca
Dice Arca a proposito di questo lavoro: «Ecco la mia voce e le mie viscere: sentitevi liberi di giudicare. È come la corrida: state guardando della violenza emotiva per piacere». Serve saperlo, poiché nell’arco di 13 brani, in poco più di 43 minuti, Alejandro Ghersi si mette a nudo di fronte a noi senza pudore alcuno. È del resto personaggio amante della provocazione: tanto nei video che accompagnano la sua musica (diretti dal non meno controverso Jesse Kanda) quanto nelle esibizioni dal vivo (qui abbiamo raccontato quella a Club to Club dello scorso novembre).
Sarebbe tuttavia fuorviante pensare che questa politica dell’eccesso sia un escamotage per dissimulare eventuali debolezze creative. Al contrario, si tratta del complemento necessario alla comprensione di un progetto artistico audace e ambizioso. Nonostante debba compiere ancora 27 anni, il produttore di origine venezuelana, cresciuto a New York e ora residente a Londra, è protagonista già affermato nella scena del pop contemporaneo: lo provano le partnership con pesi massimi quali Kanye West, Frank Ocean e Björk.
Proprio quest’ultima, per ammissione dell’interessato, lo ha invogliato ad affrontare l’evoluzione espressiva culminata nel disco nuovo: terzo della serie e primo in cui Ghersi usa in misura rilevante e forma diretta la voce. Canta in falsetto, con slancio melò, usando sovente la madrelingua spagnola e conferendo in quella maniera un senso di acuta melancolía ad alcuni episodi: “Reverie”, “Desafío” e “Fugaces”, in particolare.
Intona così ciò che potremmo considerare Lieder avveniristici (lo struggente “Anoche”, ad esempio), rasentando a tratti l’utopia di una lirica prossima ventura (in “Saunter”). A rendere l’esperienza d’ascolto vieppiù disorientante sono gli arredi sonori: una sorta di musica cameristica in chiave digitale, ferita da interferenze e spigoli di ritmi spezzati. Pieno d’invenzioni mozzafiato – in “Whip” l’ingrediente principale è appunto il rumore sferzante di una frusta, simile all’effetto evocato da Scott Walker insieme ai Sunn O))) in “Brando” – e animato da sfacciata passionalità, l’album di Arca è opera che lascia ammutoliti. Un capolavoro gigantesco, a suo modo.