Aksak Maboul, il ritorno
La band belga di culto torna su Crammed con Une aventure de VV (Songspiel)
Quando nel 2020 fu pubblicato Figures, il nuovo disco degli Aksak Maboul, in pochi si ricordavano la loro storia singolare. E all’ascolto dell’album, un disco di straordinaria freschezza e attualità, chi non li conosceva mai avrebbe potuto immaginare di avere a che fare con un gruppo nato oltre 40 anni prima.
E invece era proprio così. Siamo nel 1977, in Belgio. Un certo Marc Moulin, che milita in un gruppo che si chiama Placebo e suona un particolarissimo prog-funk, fonda una sua etichetta, la Kamikaze, e va in cerca di nuove band da pubblicare. Contatta quindi Marc Hollander, che ai tempi militava nei Cos, e gli chiede la sua disponibilità.
Questo coinvolge l’amico Vincent Kenis e nasce così il primo embrione degli Aksak Maboul, che incide quello stesso anno l’esordio, Onze danses pour combattre la migraine: un eclettico catalogo di canzoncine, ballate folk, bozzetti sperimentali e quant’altro, che in realtà ricorderanno in pochi.
È invece un culto assoluto il suo seguito, Un peu de l’âme des bandits (1980), che oltre a mostrare uno scarto impressionante rispetto al suo predecessore è un meraviglioso disco di sperimentalismo avant-prog, ancor oggi ricordato come uno dei capisaldi del Rock In Opposition.
A questo punto, invece di decollare, il gruppo subisce una battuta d’arresto; unisce le forze con i Tueurs de la lune de miel, altra band belga, capitanata dalla cantante Véronique Vincent, e con questa nuova line up incide un terzo disco, che però per vari motivi non vede la luce. Hollander si concentra sulla Crammed, gloriosa label dal lui fondata nell’81, e gli Aksak Maboul restano in stand-by per oltre 30 anni.
La sorpresa arriva nel 2014: Hollander recupera i nastri del famigerato terzo album e lo fa uscire su Crammed. Lo stile è una nuova mutazione (siamo dalle parti dell’electro pop in voga nei primi anni ’80) ma la qualità permane, al punto che, dopo un’ottima reazione di critica e pubblico, gli Aksak Maboul riprendono l’attività, prima con varie date live in Europa (per le quali hanno contribuito alla formazione membri decisamente più giovani, provenienti dagli Amatorski), e poi, per soddisfare le ansie creative della coppia Hollander/Vincent, con la pubblicazione del suddetto Figures, un ambizioso doppio cd che va sicuramente ricordato tra le migliori uscite del 2020: magicamente sospeso tra passato e futuro, suona come un disco degli Stereolab spruzzato di armonie canterburiane (la voce francese di Véronique Vincent, ora in pianta stabile nella band, contribuisce non poco all’effetto), un frullato di jazz-funk, psichedelia e istanze new wave.
Veramente una sintesi memorabile.
E ora, un nuovo tassello nella discografia arriva con Une aventure de VV (Songspiel). Se l’effetto sorpresa non può essere lo stesso di tre anni fa, la meraviglia non cambia. Questo disco estremizza ulteriormente il sound del precedente, arricchendolo con un uso più insistito dell’elettronica, con registri vocali che spaziano dal sussurro al contrasto tra voci maschili e femminili, con una dosatura oculata delle dissonanze, con una ricchezza ritmica ben dissimulata dalla melodia.
Sono pezzi semplici all’apparenza, ma che acquisiscono nuove sfumature a ogni ascolto e creano di volta in volta un affascinante spaesamento; per renderli ancora più stimolanti, il gruppo ha allestito un video apposito per ciascuno di essi (lo trovate senza problemi su YouTube). Compromesso ideale tra canzone e ricerca sperimentale, Une aventure de VV si candida a essere una delle pubblicazioni più intriganti dell’anno in ambito avant rock.