Un allestimento immerso nel presente e prima opera del Novecento per Harnoncourt.

Musica dai ritmi incessanti e azione a non finire per un teatro musicale appassionante.

Una nuova produzione segnata da una catena di imprevisti e da tagli ingiustificati.

Splendide voci e una regia che allude a Vienna, città della prima esecuzione assoluta.

Un allestimento elegante, fantasioso e riuscito con un giovane e valido cast.

Una lunga e riuscita serata nel segno del teatro musicale di Händel.

Intrattenimento di qualità e un ottimo cast vocale, ma l’orchestra copre le voci.

Alcione di Marin Marais torna dopo un lunghissimo silenzio: 237 anni senza realizzazioni sceniche! La regia di Harnoncourt punta sull'azione continua. Più pacata, invece, la direzione musicale di Duftschmid, di fronte a un ensemble concentrato sulla resa sonora, sempre precisa e contenuta, e non sulla ricerca dell'effetto facile. Peccato per le voci: un ensemble decente, ma anonimo, privo di cantanti carismatici capaci di sedurre.

Grande successo per la nuova produzione del Theater an der Wien. La scelta del cast non lascia a desiderare. Superiore alla media la prestazione della Tamar. Lo stesso si può dire per la conduzione orchestrale di Luisi. Entrambi conciliano drammaticità e dettaglio in modo perfetto. Anche la regia di Fischer, nonostante un iniziale disappunto, convince nel saper tratteggiare lo sviluppo drammatico della vicenda con poche, ma efficaci, pennellate.

La versione cameristica dell'opera per la prima volta in forma scenica in Austria: è questa la possibilità per un gruppo di giovani cantanti di raccogliere i frutti del loro lavoro, svolto da qualche anno nelle piccole scene della capitale austriaca, e mostrare al pubblico la raggiunta maturità. Peccato che la regia, banale e di poca sostanza, non abbia saputo ricreare la dinamica tra sogno e suspence continuamente presente nella partitura.

Chi dal debutto di Prêtre sul podio del Concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker si aspettava una lettura "francese" dei celebri walzer di Strauß, Lanner e co., sarà rimasto forse deluso. L'interpretazione, invece, completamente immersa nel mondo viennese, con il tipico tre quarti trascinato e un peculiare contrapporsi di ductus marziale e gesto sinuoso, ha convinto per la raffinata ricerca timbrica e scelte di programma con molte rarità.

Con l'Orlando paladino, Harnoncourt e Warner portano sulla scena una rarità del repertorio operistico. La condotta musicale è nel segno della sensualità e della differenziazione. La regia è congeniale, e trasporta le follie e i mondi immaginari dell'Ariosto in una suggestiva dimensione viennese, ambientando il tutto tra il Prater (Luna park locale) e le teorie psicoanalitiche di Sigmund Freud. Ottimo il cast vocale.