Quelli che fanno un viaggetto di qualche giorno e al ritorno vi spiegano tutto del paese che hanno visitato, come se fossero gli unici ad esserci stati... Cercando di non seguire le loro orme, proverò qui a dare alcune notizie e a raccontare alcune impressioni – limitandomi strettamente all’ambito musicale – su Città del Messico, che con i suoi oltre 20 milioni di abitanti è una delle più grandi metropoli del mondo.
Per molti italiani il Messico rientra nella categoria dei “paesi esotici”, quindi per loro la musica messicana si limita a fenomeni folcloristici come i mariachi. E sicuramente si stupirebbero se gli si dicesse che Città del Messico ha altrettante orchestre sinfoniche di Berlino, Vienna o Parigi. Per l’esattezza sono quattro (più quella dell’Opera, più quelle giovanili, più quelle semistabili) e ognuna svolge la sua regolare stagione sinfonica con cadenza settimanale, di norma replicando ogni concerto due volte.
Il concerto più interessante che mi è capitato di ascoltare nelle mie due settimane a Città del Messico è quello dell’OFUNAM, l’Orquesta Filarmonica de l’Universidad Nacional Autonoma de Mexico. La sede di quest’università è piuttosto periferica, in una vasta area verde dove sono disseminati i suoi edifici, progettati dai migliori architetti messicani, ma non solo: proprio per i suoi valori architettonici, è stata dichiarata Patrimonio culturale dell’umanità dall’Unesco. Un intero settore di questo complesso è dedicato alle arti performative, con varie sale per il teatro, il balletto e il cinema, una sala per la musica da camera e una per i concerti sinfonici, la Sala Nezahualcóyotl, il cui interno, che può accogliere oltre duemiladuecento ascoltatori, è straordinariamente simile a quello della Sala Santa Cecilia del Parco della Musica di Roma, che è stata costruita venticinque anni dopo. L’acustica delle sala messicana è però migliore, se non altro per le dimensioni relativamente più contenute.
Ho potuto ascoltare l’OFUNAM in un programma di musiche del Novecento e contemporanee, che hanno richiamato un pubblico piuttosto numeroso, come difficilmente sarebbe avvenuto in Italia. Evidentemente l’OFUNAM ha saputo coltivarsi un pubblico attento e curioso, che sa apprezzare programmi simili a questo e talvolta ancor più moderni, che si alternano a concerti più tradizionali, come i cicli sinfonici di Mendelssohn e Brahms realizzati in questo autunno-inverno. Il concerto cui mi riferisco iniziava con Canto funebre, composto da Stravinskij per la morte di Rimsky-Kosakov nel 1908 e solo recentemente ritrovato; proseguiva con la prima assoluta di Misa de Requiem di Mario Lavista, stimato compositore messicano settantacinquenne, al quale l’università ha commissionato questo brano per ricordare la strage degli studenti in Plaza de las Tres Culturas, avvenuta cinquant’anni fa; si concludeva con la rara Tragédie de Salomé di Florent Schmitt, nella versione per grande orchestra del 1911, dedicata a Stravinskij.
Non è questo il luogo per soffermarsi su questi tre brani praticamente sconosciuti, ognuno dei quali meritava assolutamente, per ragioni diverse, di essere ascoltato. Qui importa soprattutto sottolineare la qualità veramente ottima dell’OFUNAM. Mi sarei aspettato che avesse le caratteristiche tipiche delle orchestre latine, invece ricorda piuttosto le orchestre Usa: precisa, limpida, scattante, con un suono brillante ma mai troppo sgargiante, grazie a un attento controllo delle dinamiche e a un eccellente coordinamento tra le varie sezioni. L’intesa col direttore era ottima, anche perché Ronald Zollman è stato direttore musicale dell’OFUNAM dal 1994 al 2002. Questo sessantottenne belga, pur senza essere un divo della bacchetta, è un direttore di buon livello, serio e affidabile, come garantisce anche la sua importante carriera internazionale, che l’ha portato sul podio di prestigiose orchestre in Europa, America e Asia (ma mai in Italia, a quel che mi risulta).
A rischio di apparire sciovinista, dirò che mi sono sentito piuttosto orgoglioso quando ho saputo che il direttore musicale di quest’ottima orchestra è un italiano, Massimo Quarta, che da noi è noto soprattutto come violinista (è l’unico italiano ad aver vinto il Concorso “Paganini” di Genova dopo Salvatore Accardo) ma che da qualche tempo preferisce la bacchetta all’archetto. Sembra che a Città del Messico stia lavorando benissimo, se è vero che, come mi è stato detto, l’OFUNAM da quando c’è lui è molto migliorata.
Nella stessa sala dell’OFUNAM suona anche l’Orquesta Sinfonica de Minería che conserva il nome della sua sede originaria, cioè il Palacio de Minería, uno dei principali edifici del centro storico. Purtroppo, dato il periodo prenatalizio, nei giorni del mio viaggio a Città del Messico quest’orchestra aveva in programma soltanto un concerto di musiche natalizie, semplici e popolari, destinate evidentemente a un pubblico giovanissimo: sicuramente una bella iniziativa, che non dava però modo di rendersi conto delle reali potenzialità di un’orchestra che negli ultimi anni si è distinta per l’esecuzione di musiche particolarmente complesse, difficili e grandiose, come l’integrale delle Sinfonie di Mahler e i Gurre-Lieder di Schoenberg, sotto la direzione di Carlos Miguel Prieto, suo direttore titolare. Proprio in questi giorni Prieto è stato nominato “Conductor of the Year” per il 2019 da Musical America, andando così ad aggiungere il suo nome in un palmarés che include Gianandrea Noseda, Marin Alsop, Jaap van Zweden, Michael Tilson Thomas e Valery Gergiev. Poco prima, con un cd dedicato a Rachmaninov, lo stesso Prieto aveva vinto anche una delle sezioni del premio Opus Klassik, il più importante premio discografico tedesco, recentemente istituito per sostituire il premio Echo (chiuso dopo lo scandalo che l’ha travolto per aver premiato due rapper accusati di scrivere testi antisemiti, omofobi e contro le donne).
Cito questi riconoscimenti internazionali, perché Anche Prieto – come Zollman – è pressoché sconosciuto in Italia, e ciò può dare l’errata impressione che il Messico sia alla periferia della musica: invece forse i provinciali siamo noi, se nessuna delle nostre istituzioni musicali si è accorta di questo direttore messicano.
Si può avere l’errata impressione che il Messico sia alla periferia della musica: invece forse i provinciali siamo noi.
Prieto è il direttore titolare anche dell’Orquesta Sinfonica Nacional: pure per quel che riguarda quest’orchestra, forse la più prestigiosa del Messico, non sono stato fortunato, perché aveva in programma un concerto dedicato interamente a Nino Rota. Dato che le quattro orchestre sinfoniche concentrano la loro attività nei fine settimana, sovrapponendosi così l’una all’altra, ho dovuto scegliere e mi è sembrato più interessante il concerto dell’Orquesta Filarmonica de la Ciudad de Mexico, che suona nella Sala Silvestre Revueltas: situata nell’immensa periferia di Città del Messico, questa sala rivela la volontà di portare la musica anche in un contesto più semplice e popolare del sontuoso Palacio de Bellas Artes, dove suona la Sinfonica Nacional, e dell’università. Non per questo l’orchestra è di second’ordine, sebbene in occasione del concerto da me ascoltato non sia stata impeccabile. Proprio all’attacco del primo brano, la rara suite sinfonica dell’opera La notte di Natale di Rimsky-Korsakov, uno dei quattro corni prendeva infatti una sonora stecca, ma sono incidenti che capitano ovunque, mentre poi tutto è filato liscio e la raffinata e certamente non facile orchestrazione di Rimsky-Korsakov è stata ben valorizzata, in particolare dagli ottimi strumentini. Completava il concerto un’ampia suite dallo Schiaccianoci, in un’esecuzione colorata e trascinante, sebbene il giovane statunitense Philip Mann (chiamato a sostituire il direttore inizialmente previsto) dirigesse con una gestualità ampia, che sembrava limitarsi a spronare genericamente l’orchestra, senza dare indicazioni molto precise sugli attacchi e sulle sfumature espressive.
Sorvolando sui complessi di minori dimensioni, come l’ensemble di musica contemporanea e il gruppo di musica antica dell’Universidad Nacional, concludiamo questo panorama musicale messicano con la Compañia Nacional de Opera, che ha una propria orchestra (la quinta di Città del Messico) e dà i suoi spettacoli nel Palacio de Bellas Artes, un edificio enorme che include varie sale per la musica e anche musei. Nei giorni del mio viaggio era in programma – dopo un’edizione delle Nozze di Figaro che mi dicono ottima – El murciélago cioè Il pipistrello, insomma Die Fledermaus. Era cantato in tedesco e recitato in spagnolo, con una scelta comprensibile, perché da una parte rispettava la musica di Johann Strauss jr e dall’altra permetteva al pubblico di seguire agevolmente la vicenda: però questo passaggio continuo da una lingua all’altra creava una situazione un po’ surreale, di cui la regia ha approfittato per inserire alcune divertenti battute.
Il regista Luis Miguel Lombana, con la collaborazione dello scenografo Jesús Hernández e della costumista Jerildy Bosch, ha realizzato uno spettacolo molto gradevole, fondamentalmente tradizionale ma ravvivato da alcune idee originali, che nel complesso valorizzava benissimo l’atmosfera spumeggiante, leggera e inebriante di quest’operetta. Sul podio stava il direttore titolare del teatro, il serbo Srba Dinic, che dimostrava una buona dimestichezza con l’operetta viennese, restituendone sia lo charme che il robusto umorismo. I cantanti, tutti messicani, si sarebbe detto che fossero abituati più al repertorio italiano che all’operetta viennese, ma nel complesso onoravano adeguatamente il loro impegno. Guadalupe Paz era la migliore, nelle vesti del Principe Orlofsky, ma anche Marcela Chacon (Rosalinde) e José Adán Pérez (Eisenstein) si sono fatti apprezzare, sia per la qualità del canto che per la disinvoltura scenica. Enrique Guzmán (Afred) invece non riusciva a dimenticare del tutto il modello vocale del tenore lirico italiano e la regia ha sottolineato con garbata ironia questa sua propensione, inserendo nelle sue parti recitate alcune frasi di opere di Verdi e Puccini. In definitiva si è trattato di una realizzazione molto centrata e godibile di questo capolavoro dell’operetta, che il pubblico ha gradito moltissimo.
Certamente il Messico ha i suoi problemi, ma lì la cultura non è considerata una fastidiosa eredità lasciataci da una vecchia zia, un peso, una seccatura, come qui in Italia.
E ora una rapida considerazione finale. L’impressione è che il Messico dia molta importanza alla cultura e all’arte. Negli ultimi anni sono stati costruiti diversi musei e sale da concerto, esemplari sia per il contenitore (ci si è rivolti ai migliori architetti messicani e stranieri) che per il contenuto. E non solo a Città del Messico: in un’escursione a Puebla ho potuto visitare un nuovo meraviglioso museo progettato da Toyo Ito e ho saputo che nella città è stata appena fondata una nuova orchestra sinfonica. Certamente il Messico ha i suoi problemi, ma lì la cultura non è considerata una fastidiosa eredità lasciataci da una vecchia zia, un peso, una seccatura, come qui in Italia.
Vorrei concludere raccontando di un manifesto che ho visto a Città del Messico, non per le strade – a dire la verità -–ma in luoghi dedicati alla cultura, come librerie e musei; era sotto forma di decalogo e i primi due “comandamenti” erano: “ 1) non ti piace leggere? 2) non vai mai a un museo, a un teatro, a un concerto?” e concludeva: “allora sei un problema per il Messico!”.
In Italia un manifesto così non l’ho visto mai.