Autunno caldissimo per la musica italiana, con una quantità di uscite meritevoli tale da dover spezzare la nostra usuale rassegna in due tronconi. (E parliamo chiaramente di nomi non troppo popolari, poiché i big, se è il caso, li trattiamo in separata sede.) Iniziamo quindi con una carrellata soggettiva di artisti che possono essere ascritti alla nicchia degli sperimentatori, ovvero di quelli che fanno musica di ricerca, musica che voglia in qualche modo staccarsi dagli schemi più riconoscibili del pop di facile ascolto.
Per cominciare, recuperiamo l’ultima uscita (datata di fine agosto) della formidabile etichetta 19’40” (ne abbiamo parlato qui) fondata nel 2016 da musicisti e operatori culturali dalla chiara reputazione quali Sebastiano De Gennaro, Enrico Gabrielli e Francesco Fusaro, nacque con l’intenzione di favorire (citiamo dal manifesto) «un approccio trasversale e non gerarchico alla musica classica, elettronica, contemporanea e incidentale». Uscite a cadenza quadrimestrale, vendita essenzialmente per abbonamento, e un catalogo tanto eterogeneo quanto suggestivo, che finora ha incorporato riletture di Stravinskij o di Mussorgskij, dischi a tema per videogames o serie TV, escursioni fantascientifiche o cinematografiche, il tutto all’insegna della libertà espressiva più sfrenata.
La pubblicazione più recente si intitola Call For Scores, e benché sia ufficialmente assegnata agli Esecutori di Metallo su Carta, che di fatto la suonano interamente, riflette le proposte di 14 diversi compositori (tra i quali alcuni stranieri), selezionati tra oltre 100. La sfida era proporre un brano di musica contemporanea con una durata sensibilmente vicina a 194 secondi, più o meno quella di una canzone pop. Risultato eclettico e a tratti stupefacente: se è inutile citare le composizioni più apprezzabili (sono nomi che vi diranno poco, se non siete del mestiere), vi basti sapere che il cd è un affastellamento di sorprese e di meraviglie assortite, in cui non appare mai la sensazione di avere a che fare con compositori appartenenti all’accademia – al contrario questa musica ha sempre una freschezza invidiabile, malgrado la sua relativa complessità.
Insomma, se volete farvi un regalo per il prossimo Natale, un abbonamento a 19’40” potrebbe essere un’ottima idea; tra l’altro, potreste beneficiare dell’ultima uscita speciale della label, La favola della realtà, di Federico Campagna e Francesco Fusaro, un reading musical-filosofico a metà tra il radiodramma e la fiaba sonora, che esce in edizione limitata su musicassetta (!).
Viene dal mondo dell’accademia anche Daniele Ledda (tra le sue mille attività c’è anche quella di docente di musica elettronica al Conservatorio di Cagliari), ma Clavius è in realtà il suo esordio da solista. L’idea per questo album nasce dalla progettazione di strumenti creati appositamente allo scopo: il piano e altre tastiere vengono "ristrutturati" con l’aggiunta di percussioni e trigger elettronici, creando così una fusione inedita tra analogico e digitale, che trascende il concetto di pianoforte preparato di John Cage. Più delle composizioni originali del disco, il nocciolo di Clavius si espleta nelle cover qui presenti, “Teardrop” dei Massive Attack e “Music For Airports” di Brian Eno, due passaporti per atmosfere surreali, impalpabili, eppure così ricche di fascino magnetico.
Fa invece più che altro riferimento al mondo del jazz Beppe Scardino, personaggio eclettico che ha pubblicato tre dischi a proprio nome e poi collaborato con mille altri gruppi, dai Calibro 35 a Diodato, dagli Zen Circus a Daniele Silvestri; attualmente è membro di C’mon Tigre, Dinamitri Jazz Folklore e L’Orchestrino.
Ora pubblica con il nuovo alias TYTO un disco intitolato 未来 MIRAI, che rivela un’influenza importante dalla cultura giapponese – in realtà solo uno dei tanti ingredienti dell’album, che incorpora stili diversi in un amalgama originale e collidente: synth pop versus chitarre melliflue, beat electro in opposizione a new wave romantica, e così via. Scardino nasce come sassofonista, ma il suo strumento appare una volta sola, mentre per il resto in questo disco succede di tutto. Neanche mezz’ora di durata ma un freestyle eccezionale.
Tra le varie collaborazioni di TYTO c’è anche Gianluca Petrella, trombonista jazz attivo sulla scena da una ventina d’anni e anch’egli con una lista di collaborazioni da cento pagine. Ora Gianluca presenta Universal Language, primo album della sua nuova band Cosmic Renaissance (e Scardino ospite in un brano), un disco che mette in comunicazione il jazz con la club culture – un mix certamente non inedito, ma fatto con estrema convinzione ed efficacia; ne sa d’altronde qualcosa chi ha visto il gruppo esibirsi in giro per l’Italia lo scorso ottobre.
L’energia dirompente del live non può essere riprodotta in studio, ma l’ascolto del disco rivela tuttavia altre seducenti sfumature: le emozioni dello spiritual jazz si riversano sui ritmi sincopati debitori tanto all’hip hop quanto all’afrobeat; in più di un’occasione il mood è molto simile a quello dei 4 Hero dell’epoca post drum’n’bass, quando erano il faro della scena broken beat della West London di inizio millennio.
Restiamo in ambito jazz vs. elettronica e veniamo all’ultima prova di Giorgio Li Calzi, che pubblica in collaborazione con il musicista tedesco Frank Bretschneider. Zero Mambo è un EP di 4 pezzi di glitch-jazz veramente interessante, in cui la tromba di Li Calzi, dal suono opportunamente filtrato, si muove tra ritmiche spezzatissime, atmosfere fluide e mutevoli, disturbi digitali, distorsioni progettate chirurgicamente. Si potrebbe pensare a qualcosa di già sentito, ma l’esito è veramente notevolissimo, e costituisce un nuovo tassello nell’articolata discografia di Li Calzi, nonché una conferma del suo mirabile eclettismo.
Concludiamo con un disco che a prima vista potrebbe essere inserito un po’ forzosamente nella categoria degli Sperimentatori: The Sun Is A Violent Place di Dagger Moth, che altro non è che il moniker usato da Sara Ardizzoni per le sue prove soliste (questa è la terza).
È vero che qui predomina la forma canzone, una sorta di cantautorato cold wave cantato in inglese dalle melodie ben definite; ma è altrettanto vero che il lavoro di ricerca sui suoni (e non solo sulla chitarra, strumento che Sara padroneggia alla perfezione) è ricercatissimo, e si spinge fino a livelli di incredibile sofisticazione. Non è certo un caso, d’altra parte, che Ardizzoni – una delle musiciste più "intense" d'Italia – sia chiamata periodicamente a suonare nella Fire! Orchestra di Mats Gustafsson (oltre che nelle più note collaborazioni con Cesare Basile e Massimo Volume).