Suonare a Damasco sotto le bombe

Un reportage dalla Chiesa di S. Antonio a Damasco, dove l'Orchestra nazionale siriana ha suonato, nonostante tutto, per il Terra Sancta Organ Festival

Terra Sancta Organ Festival
Il pubblico del concerto del Terra Sancta Organ Festival nella Chiesa di S. Antonio, a Damasco
Articolo
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Questo articolo di Fra Riccardo Ceriani, sovrintendente del Terra Sancta Organ Festival – organizzato dalla Custodia di Terra Santa e che propone "musica dalle Chiese del Medio Oriente e del Levante" – risale a qualche settimana fa, prima dell'ennesima escalation del conflitto siriano. Dopo la data a Damasco, il festival è in questi giorni a Cipro.

A Damasco, mentre i ribelli asserragliati nel quartiere di Ghouta sparavano razzi e colpi di mortaio sui loro vicini dei quartieri di Jaramana, Bab Touma, Duela e Tabbaleh (più o meno tutti a circa 5 chilometri da Ghouta) e l’esercito di Assad continuava le operazioni per riprendere sotto il proprio controllo tutta la zona, il 19 marzo la gente è accorsa nella chiesa francescana di Sant’Antonio (quartiere di Salhieh, vicino al parlamento, 10 chilometri da Ghouta) per assistere ad un concerto per organo e orchestra: l'Orchestra Sinfonica Nazionale Siriana diretta da Missak Baghboudarian con all’organo il russo Alexey Schmitov. 

Terra Sancta Organ Festival

Pensando alle immagini e alle notizie che circolano in questi giorni su Damasco, l’evento appare perlomeno straniante: non più la polvere, la distruzione, la disperazione di persone colpite dal dramma della guerra, ma la composta ritualità e la dignitosa partecipazione richieste da un concerto di musica classica, espressione della civiltà occidentale. Inoltre ci si aspetterebbe di trovare strade deserte, mentre invece le persone affollavano i souq e i ristoranti eranopieni. «In effetti questa era la situazione fino a un paio di settimane fa – racconta Naim Zabita, ingegnere e direttore della corale della Parrocchia di S. Antonio – quando i colpi di mortaio cadevano con maggior regolarità anche sul nostro quartiere. Ma la gente è stanca di vivere con addosso questa continua tensione e, non appena ci sentiamo un attimo più sicuri, vogliamo immediatamente riprendere le nostre attività, le nostre frequentazioni abituali. Anzi, lo facciamo con maggiore intensità, come per confortarci l’un l’altro: e così, se c’è una mostra o un concerto, si va». 

Il concerto in questione fa parte del Terra Sancta Organ Festival, organizzato dalla Custodia di Terra Santa, unico festival internazionale attivo in Siria a guerra in corso, al quale collaboro in quanto sovrintendente. I concerti programmati erano cinque, ma quattro sono stati rimandati, perché dovevano tenersi in zone che in quelperiodoeranocostantemente sotto il tiro dei mortai. È stata una scelta giusta: la chiesa dei Melkti di Tabbaleh è stata colpita qualche ora prima dell’inizio del concerto. 

«Ci si domanda anche se non sia inopportuno, o perlomeno azzardato, organizzare un festival durante la guerra: rispondo che sono i musicisti siriani che ce lo chiedono».

I cristiani qui si lamentano che la stampa internazionale sia tutta focalizzata a raccontare il dramma di Ghouta, ignorando che proprio da Ghouta piovono i missili che colpiscono le chiese e le scuole (a loro dire, appositamente), nei quartieri dove vive la maggior parte dei cristiani (ma non solo), facendo ugualmente morti, feriti e distruzioni. Una dimenticanza di cui non sarebbe esente nemmeno il papa, si rammarica una signora, riferendosi alle parole pronunciate dopo l’Angelus del 26 febbraio scorso. 

Ci si domanda anche se non sia inopportuno, o perlomeno azzardato, organizzare un festival durante la guerra: rispondo che sono i musicisti siriani che ce lo chiedono, e che per noi si tratta di un segno di solidarietà verso di loro e verso tutti quelli che a causa dell’embargo si sono trovati con poco lavoro o l’hanno perso, mentre nel frattempo aumentava il costo della vita. 

I Frati Minori francescani sono in Siria da ottocento anni, e attualmente la maggioranza dei frati è siriana, perciò sappiamo ciò che è opportuno. Ovviamente siamo in prima linea nelle emergenze, ma anche oltre le emergenze, perché il filo della speranza è spesso intrecciato a ciò che è inutile o che sembra tale, come la spiritualità, la musica, l’arte, la cultura, lo sport, i momenti di festa, che portano la pace anche dove la pace non c’è.

Tutte le persone che avvicino in chiesa prima e dopo il concerto, sia musulmani che cristiani, riprendono questi concetti, ovvero quanto sia importante per loro, soprattutto in questi momenti tragici, vivere esperienze di socialità e di bellezza. 

Il concerto alla Chiesa di S. Antonio

La sintesi finale la dà uno spettatore speciale, il nunzio apostolico in Siria cardinal Mario Zenari: «Siamo costantemente sotto il tiro dei mortai e il rumore dei cacciabombardieri e prendere una boccata di aria fresca con un concerto così bello, così gradito, ci ha fatto veramente respirare con tutta l’anima, con tutto lo spirito. La gente ha bisogno di ritrovare questi valori, valori culturali, valori spirituali, che uniscono tutti quanti».

«Tre giorni dopo il concerto, nei pressi della stessa chiesa di S. Antonio sono ricominciati i bombardamenti, con razzi e colpi di mortaio, che hanno colpito l’ingresso della parrocchia».

Il concerto, di grande impatto emotivo e sonoro, con la poderosa sinfonia di Guilmant per organo e orchestra come ultimo brano, è stato eseguito dall’Orchestra Sinfonica Nazionale Siriana diretta da Missak Baghboudarian con il russo Alexey Schmitov all’organo. Viene da pensare che non poteva essere che un russo ad accettare di suonare a Damasco, vista la presenza dell’esercito russo accanto a quello di Assad: 
«E invece non è così», spiega il maestro Missak. «L’anno scorso l’organista era italiano, il prossimo sarà croato. Schmitov ha insegnato a Damasco dal 2000 al 2005, per noi si è trattato di ritrovare un amico».

Chiesa di S. Antonio, Damasco

Già, la musica che per sua natura riunisce nell’armonia persone di culture, tradizioni, confessioni religiose diverse. Ma ciò vale anche in tempo di guerra? «In questi anni di guerra – continua Missak – l’orchestra ha continuato il proprio lavoro, anche nei periodi più difficili, come in questi giorni. Sia perché è il nostro lavoro, sia perché la gente ce lo chiedeva e i concerti erano frequentatissimi. Abbiamo così capito che la musica riveste nella vita sociale e culturale di un popolo un’importanza più grande di quella che di solito le si riconosce. E la prova è rappresentata da questa serata: se centinaia di persone si assumono dei rischi per andare ad un concerto – che per altro sarebbe di nicchia anche in Europa –, non lo faranno senza una forte motivazione».

Per una sera e per alcuni il suono di timpani, organo, trombe e grancasse si è sovrapposto a quello delle bombe, fino a nasconderle. Un’illusione che però – dicono – aiuta. Tre giorni dopo, nei pressi della stessa chiesa di S. Antonio sono ricominciati i bombardamenti, con razzi e colpi di mortaio, che hanno colpito l’ingresso della parrocchia. 

Le bombe dopo il concerto, sull'ingresso della parrocchia

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