Da oltre 25 anni Stefano Giust, da Pordenone, è il motore di Setola di Maiale, etichetta che documenta le musiche improvvisate italiane e del mondo. Agitatore della scena che in ogni modo (e tra tante difficoltà) resiste al conformismo dilagante e batterista instancabile e anti-retorico, Giust è un musicista con una visione. Abbiamo cercato di farcela raccontare qui.
Viaggi e visioni di Setola di maiale
Com'è nata l’etichetta, con quali prospettive?
«Setola di Maiale nasce nel 1993 con la volontà di offrire una ulteriore possibilità di pubblicazione per musicisti creativi e di ricerca, oltre all’esigenza di avere una “piattaforma” sulla quale veicolare i miei progetti e quelli dei musicisti con cui collaboravo in quegli anni, come si può evincere guardando alle prime uscite del catalogo».
Dal punto di vista economico e gestionale come funziona?
«In maniera molto semplice: con la cooperazione, con la condivisione degli sforzi economici da sostenere per la stampa e la promozione. Nei primi anni l’etichetta pubblicava solo cassette audio e riusciva a farsi carico dei costi, inclusi quelli della registrazione per chi avesse la necessità di incidere la propria musica (c’erano un tecnico audio – Paolo De Piaggi – e uno studio di registrazione economico ma ben organizzato che erano parte integrante dell’etichetta).
È diverso gestire un'etichetta da Berlino, da Pordenone, da Castelfranco, da Trezzano o da Bari? (i riferimenti sono rispettivamente alla Aut Records, a Boring Machines, a Wallace Records e a Music à la coque, altre etichette non allineate, tra jazz, elettronica e rock).
«Direi di no, prova ne è che i vari stampatori utilizzati dalle etichette non si trovano necessariamente vicini al territorio in cui si vive, ma possono trovarsi addirittura in altre nazioni rispetto a quella in cui ci si trova a vivere. Penso che oggi più che mai l’operatività prescinde dal luogo in cui si vive, semmai lavorare in una piccola città potrebbe suggerire un certo provincialismo che però viene abbattuto dalla cultura individuale e dalla propria rete di contatti».
«Oggi più che mai l’operatività prescinde dal luogo in cui si vive».
Vorrei la tua opinione sulle musiche "eterodosse" di oggi, in Italia e fuori: nomi, scene, locali, pubblico, differenze...
«Più che fare nomi vorrei concentrarmi sulle differenze. In ogni paese del mondo occidentalizzato c’è una scena musicale radicale (cioè non incline a compromessi artistici) ma spesso è soffocata a differenze di altre “scene” che godono di maggiori attenzioni, e questo per tutta una serie di ragioni, alcune delle quali comprensibili, altre molto meno. Per esempio, un musicista scandinavo ha più facilità a girare il mondo dei festival perché il proprio Stato lo aiuta economicamente per le trasferte (e non solo) e questo lo rende molto appetibile per gli organizzatori. Anche la gestione di una etichetta discografica con poche o nulle potenzialità commerciali può avvalersi, in molti casi, di sovvenzioni pubbliche. Paesi come l’Italia, la Repubblica Ceca, il Portogallo, la Spagna, la Polonia e così via non hanno certo l’esposizione del Regno Unito o degli Stati Uniti. C’è una grande disparità che si traduce per i musicisti dei paesi “di seconda classe” in minori occasioni concertistiche, con ciò che questo può comportare in termini di pratica, esperienza e sussistenza della propria attività».
«C’è una grande disparità che si traduce per i musicisti dei paesi “di seconda classe” in minori occasioni concertistiche, con ciò che questo può comportare in termini di pratica, esperienza e sussistenza della propria attività».
«Riguardo agli organizzatori, in Italia ci sono piccole associazioni che sono straordinarie perché riescono a fare, nel loro territorio, la differenza rispetto a un “mercato” concertistico che appare spesso a dir poco penoso, ripetitivo nei palinsesti e privo di qualsivoglia visione o coraggio. Però grazie ad Angelica, Dobialab, Hybrida, Area Sismica, Macao, Curva Minore, Raum, Invisible show, Centro d’Arte di Padova, Spazio O, Blutopia e altri piccoli locali o festival, possiamo ritenerci ancora fortunati. Io continuo a pensare che il pubblico debba e voglia esso stesso essere guidato, ma la stragrande maggioranza degli organizzatori guarda solamente ai numeri per calcolare l’esito delle proprie iniziative. Questo è esattamente il criterio opposto di Setola di Maiale, dove l’autoproduzione allargata permette di infischiarsene del mercato (in una certa misura) e fare esattamente le scelte che si desiderano».
«La stragrande maggioranza degli organizzatori guarda solamente ai numeri per calcolare l’esito delle proprie iniziative. Questo è esattamente il criterio opposto di Setola di Maiale».
«Mentre scrivo la regione Friuli Venezia-Giulia ha da poco tolto la sovvenzione alla Mitteleuropa Orchestra, perché, dicono, costava troppo. Oggi i soldi sono stampati o creati nei computer da istituti composti da privati cittadini che hanno la capacità di influenzare la vita delle nazioni, delle comunità e quindi dei singoli individui. È un discorso lungo e questa non è la sede per affrontarlo, ma certamente non possiamo fare analisi sulla salute delle realtà musicali senza osservare ciò che gli sta attorno. Se c’è una crisi, questa è dovuta a delle scelte ben precise, compiute a monte, eppure si legge in moltissimi commenti alla notizia (riportata da un noto quotidiano locale on-line), che “è giusto terminare la sovvenzione, perché anche questa orchestra deve mettersi sul mercato il quale deciderà se può o no lavorare”. Ecco, al mercato, a questo dio bisogna rimettersi».
«Comunque questa ondata al ribasso culturale non risparmia nessun paese: France Musique, la seguitissima radio pubblica francese dedicata alla musica, ha deciso di chiudere da giugno 2019 tutte le trasmissioni del suo palinsesto dedicate alla musica contemporanea, di ricerca, all’improvvisazione, alle musiche dal mondo. Perché!? E questo potrebbe accadere anche in Italia con Radio Rai Tre e alcuni dei suoi programmi come Battiti o Radio Tre Suite. C’è un attacco alla cultura, all’istruzione, alla conoscenza, al pluralismo, alla libertà di espressione. Lo “chiede” il neoliberismo, coadiuvato ovviamente dai suoi “sacerdoti”».
«C’è un attacco alla cultura, all’istruzione, alla conoscenza, al pluralismo, alla libertà di espressione. Lo “chiede” il neoliberismo, coadiuvato ovviamente dai suoi “sacerdoti”».
«Ciò nonostante non è un mistero che il nostro paese possa vantare moltissime personalità geniali in tutti i contesti della creazione intellettuale, ma purtroppo qualcosa impedisce che questi arrivino nei “salotti importanti”, vengono boicottati in qualche modo e questo accada oggi come in passato, seppure per ragioni o modi diversi: Giacinto Scelsi, nel suo Sogno 101, descrive la differenza, ai suoi tempi, tra la borghesia romana e quella parigina: da noi era un vanto non conoscere Schoenberg o Stravinsky, mentre per i parigini accerchiarsi di artisti e intellettuali era cosa ricercatissima, per i motivi che qui sappiamo bene. Oggi l’esterofilia degli italiani sarebbe sorprendente se non fosse che in una certa misura è parte di quel colonialismo culturale anglo-americano che compromette la crescita e lo sviluppo del nostro talento artistico (e non solo)».
«In generale, io sono davvero stanco di questo stato delle cose e penso che tutti coloro che agiscono per mezzo di una associazione o ente o etichetta, abbiano la responsabilità di non contribuire a queste logiche che declassano la vita sociale degli individui e la loro crescita culturale».
Pubblicate in un supporto che sta vivendo il suo momento più buio nella sua storia, il CD. Come mai? Te lo chiedo da fan del cd.
«Premetto che Setola di Maiale pubblica soprattutto in CDr. Le ragioni della crisi sono di ampio respiro come accennavo prima. L’analfabetismo funzionale riguarda una fetta impressionante della popolazione e questo significa qualcosa in termini di fruizione. Comprare dischi, libri, andare a teatro… Come si fa quando la vita costa così? Quando salari, stipendi e onorari sono ridotti all’osso? Come si fa a vendere dischi quando in rete c’è così tanto da ascoltare gratuitamente? Come si fa quando manca la voglia di cultura? Può un mp3 scaldare tanto come avere tra le mani un disco con la sua copertina? “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”: che bellissime parole, che bellissimo incoraggiamento! Ma facendo terra bruciata intorno ai promotori culturali, cosa rimarrà? Vendere anche pochi dischi in più potrebbe fare la differenza per una etichetta (o una casa editrice o simile), ma sembra che in pochi capiscano che non comprando mai nulla da queste realtà indipendenti ci ritroveremo presto ad ascoltare solo professionisti allineati paraculi o dilettanti della domenica (senza nulla togliere ai dilettanti, ben inteso)».
Come ti immagini il futuro dell'etichetta?
«Dell’etichetta? Mah, ti dirò come mi immagino il futuro in generale: privo di libertà, privo di cultura, privo di idee, privo di immaginazione, distopico… C’è già tutto nel nostro presente. Le cose andranno peggio, molto peggio di adesso. Già ora le cose più interessanti e stimolanti si trovano underground. Non c’è futuro perché il futuro appartiene ai giovani ai quali lo negano con una scuola che fa rabbrividire e un mondo del lavoro che… lasciamo perdere! Dove non c’è educazione per le masse c’è barbarie».
Etichette che senti complici, sorelle?
«Sono tante e nessuna in particolare».
Ultime uscite, dischi di cui sei particolarmente orgoglioso?
«Naturalmente le ultime produzioni sono come l’ultimo amore. Ce ne sono molte e tutte mi entusiasmano enormemente, ma su tutti i due dischi del compositore Philip Corner e del mio ensemble Setoladimaiale Unit con Evan Parker, registrato al Festival di Angelica di Bologna nel 2018, il cd del virtuoso di armonica Davide Rinella che è il primo disco mai pubblicato in cui un armonicista si avventura nella libera improvvisazione radicale e sperimentale; il disco That Is Not So che mi vede in trio con Patrizia Oliva e Roberto Del Piano, e ancora gli album con Stephen Haynes, Damon Smith, Jeff Platz, Georg Wolf, Jörg Fischer, Dirk Marwedel, Santi Costanzo, Blaise Siwula, Alberto N. A. Turra, Eugenio Sanna e Tristan Honsinger».
Cosa non ti piace nella musica di oggi, cosa ti esalta?
«Personalmente non sopporto il tecnicismo scolastico fine a se stesso e i cliché che predominano gran parte della musica prodotta oggi. In particolare non amo la musica semplice e scontata, quella che suggerisce conformismo e consenso al mondo in cui viviamo, acritica, quella musica svuotata di contenuti a vantaggio (si fa per dire) di un arrivismo personale rivolto al solo successo economico e delle cronache».
«È sufficiente leggere la Società dello Spettacolo di Guy Debord per capire il perché del successo delle cover band».
«L’essere umano si trova in una bruttissima caverna dove ridisegnare qualcosa di nuovo – per davvero – è assai difficile, vista l’enorme portata del passato. Se la personalità viene espropriata, se l’originalità o almeno la bontà di una ricerca viene snobbata non ci rimangono che le figure retoriche dei bei tempi andati, quella dei grandi morti, nel jazz, rock, nella classica più o meno contemporanea. È sufficiente leggere la Società dello Spettacolo di Guy Debord per capire il perché del successo delle cover band».