I trent’anni compiuti da Les Talens Lyriques sembrano aver ringiovanito il suo fondatore e direttore Christophe Rousset, che è attivo più che mai e alle prese con svariati progetti concertistici e discografici. Le numerose incisioni apparse in questi ultimi mesi, per Aparte, Château de Versailles e Bru Zane, confermano questa impressione e abbracciano sia il repertorio clavicembalistico, uno dei punti di forza del musicista francese, che quello cameristico e operistico. Rousset, che parla perfettamente italiano, è uno specialista dell’interpretazione di Lully, e anche la pronuncia del nome del musicista prediletto da Luigi XIV lo rivela perché ogni tanto lo chiama con il suo cognome originario: Lulli.
Ha da poco diretto la sua tragédie lyrique del 1675, Thésée, al Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, dopo aver già rivelato a Bruxelles e a Vienna le qualità originali di un’opera meno conosciuta rispetto agli altri drammi musicali composti successivamente, ma fondamentale per la definizione del carattere specifico del teatro musicale francese, che è il punto di partenza di questa intervista.
Cosa rappresenta Thésée nel quadro generale dell’opera di Lully.
«Lully ha inventato il genere della tragédie lyrique, prima con Cadmus et Hermione e poi con Alceste che è un’opera eroica ma fra il tragico e il comico. Thésée è la sua terza opera, con un libretto più denso, e per la prima volta con una figura femminile tragica, quella di Medée, che poi sarà presente a lungo sulla scena con Cherubini. Questa è la figura più pregnante che avrebbe potuto dare il nome all’opera perché Thésée canta e appare poco nel suo svolgimento. È anche la prima volta che Luigi XIV ne fa un mezzo di propaganda, guarda il libretto e fa in modo che si parli della sua grandezza, del personaggio simbolo del monarca più importante dell’Europa. Si tratta di un’opera che è stata a lungo ripresa fino alla fine del Settecento ed è emblematica per quanto riguarda la figura del sovrano raffigurato come Thésée che torna vincitore dalla battaglia. Mi piace sempre dire che se guardiamo l’Europa musicale del 1670 c’è poco di paragonabile a Lully, il quale offre uno spettacolo totale, con scene, apparizioni di divinità, machinerie, cori, danze, con molti cantanti solisti e un’orchestra pletorica, anche perché aveva a disposizione dei mezzi illimitati. È una nuova forma di spettacolo molto più ambiziosa, che in quel momento va oltre tutto quello che c’era a Roma, Venezia, Vienna e in Germania».
Sia l’ouverture che la scrittura orchestrale sono piuttosto specifiche.
«L’overture è il modello classico, in due parti, una lenta puntata “alla francese” e l’altra in fugato, modello che sarà ripreso anche da Bach e Handel. La scrittura orchestrale è diversa da quella italiana ed è a cinque parti, una di violino, tre di viole di diversa taglia e una parte di basso continuo. Questo dà una ricchezza e qualcosa di molto profondo, ma non c’è il contrabbasso che arriverà più tardi. L’inizio è sorprendente perché c’è l’evocazione di una guerra e di un attacco alla città, con cori, trombe, timpani e sonorità nuove e inedite».
Il rapporto con l’autorità è fondamentale, visto che parliamo di propaganda. Lully con il suo librettista ha sempre cercato di lusingare il re, e dunque c’è un forte legame con il potere.
«Certamente. Il re ha letto e approvato il libretto e forse lo ha anche emendato. Quinault era chiaramente e veramente al servizio della musica. Lully lo teneva sotto controllo e gli faceva modificare ciò che non gli andava bene. Si dice che mettesse in musica i versi del poeta per i recitativi, mentre per le danze nella quali era prevista una parte cantata, al contrario creava prima la musica alla quale poi si dovevano adattare le parole del testo per assecondarla».
Lully come caratterizza i ruoli di questa sua terza tragédie lyrique.
«Medée è certamente molto importante per la sua caratura drammatica ed è un personaggio che manipola, e che dunque non ha soltanto espressioni di rabbia, sa anche lusingare la principessa per farla parlare e ottenere ciò che desidera. Poi c’è la figura di Thésée che è un haute-contre, cioè un tenore acuto che è interpretato da Mathias Vidal, uno specialista di questo repertorio. Non è un personaggio molto caratterizzato ma è l’innamorato di questa storia. Inoltre c’è la principessa Æglé interpretata da Deborah Cachet, che è un personaggio di grande sensibilità, vulnerabile e divisa tra il dovere e l’amore, paragonabile a quelli della tragedia classica di Corneille o Racine. Il re Egée, interpretato da Philippe Estèphe, padre di Thésée nonostante la differenza di età ne è innamorato. Nell’insieme c’è un bello spettro di emozioni e di affetti».
Dal punto di vista vocale non tutti i cantanti posso affrontare le partiture di Lully.
«È vero, è piuttosto difficile e la cosa veramente importante è l’espressione del francese e bisogna avere una comprensione profonda della lingua, perché le arie sono relativamente poche e ci sono molti recitativi. La declamazione del testo è fondamentale ed è molto particolare e poi ci sono gli abbellimenti, e certi aspetti idiomatici di questa musica che devono essere percepibili e non tutti i cantanti possono farlo».
Come si potrebbero definire questi aspetti idiomatici.
«Non saprei definirli esattamente, ma sono rappresentati dalla teatralità del testo che viene evidenziata. Si tratta di una musica abbastanza fragile e molto duttile, e io ho messo molto me stesso nella ricerca del dramma contenuto in quest’opera. Anche i francofoni non sempre cercano di capire a fondo la storia che vi è raccontata e devo spesso spiegare in quale situazione e contesto si trovano i suoi protagonisti. È un lavoro indispensabile per evitare che i recitativi risultino noiosi. La declamazione e la raffinatezza caratterizzano questa musica nella quale c’è un senso di grande nobiltà e poi l’affetto della tenerezza che è caratteristico di questo stile. La passione è sempre presente, ma è contenuta, mai come per esempio quella di Ottavia in Monteverdi…»
Come è stato possibile che un giovane fiorentino di origini umili salisse così in alto fino a diventare il deus ex machina della musica francese.
«È arrivato a diciassette anni abbandonando la sua italianità per adottare con molta abilità e ambizione una nuova individualità ed è diventato molto importante dominando la musica francese e ha bloccato gli altri, per così dire la concorrenza. È stato il sovrintendente della musica di Luigi XIV e con il suo grande talento ha regnato a lungo sulla scena musicale. Sicuramente era molto furbo e deve aver capito come sedurre la corte e il pubblico con la sua musica, e come commediante, cantante e ballerino di grande classe. Doveva essere molto divertente come persona e anche molto determinato nel voler ottenere tutti i benefici possibili derivati dal suo talento».
Quale opera è indispensabile per comprendere la grandezza di Lully.
«Direi che le due ultime opere, Roland e Armide sono forse le più compiute, e nelle quali Lully fa parlare di più l’orchestra, che è presente anche nei recitativi accompagnati. Forse si perde qualcosa della flessibilità di quelli accompagnati dal solo continuo, ma il gesto teatrale viene amplificato con l’orchestra che diventa un motore di emozioni. Ma ogni opera è un capolavoro perché trova sempre delle soluzioni diverse. Ci sono dei colpi di scena stravolgenti e sorprendenti che lasciano a bocca aperta e che certamente sono anche la chiave del suo successo, successo che si è sempre rinnovato».
I diversi dischi pubblicati negli ultimi mesi, sia come solista che con l’ensemble Les Talens Lyriques, sembrano sottolineare l’importante traguardo dei trenta anni di attività musicale.
«Per quanto riguarda il ciclo delle opere di Lully è qualcosa che desideravo compiere con una forte impronta, perché come dicevo prima, vista la loro duttilità possono risultare molto noiose o viceversa molto efficaci dal punto di vista teatrale. Volevo dimostrare che valeva e vale la pena mostrare tutto lo spettro della sua produzione. Ogni volta che eseguiamo una sua opera la incidiamo, e le ultime produzioni discografiche riguardano Acis et Galatée e Psyche, e tra poco sarà la volta di Thésée, e mi sembra che in totale siano già nove...».
Dunque intende continuare fino a racchiudere tutta la sua produzione operistica.
«Si certo. Ce ne sono ancora altre tre, e ci siamo quasi. In parte si tratta di opere quasi inedite e dunque è importante farne anche un disco».
Ma Lully è soltanto una piccola parte del suo lavoro.
«Ci sono diversi progetti originali come quello realizzato con il mezzosoprano Marina Viotti, dedicato al ritratto della figura di Pauline Viardot, cantante e compositrice dell’Ottocento e interpete di Rossini, Bellini, Donizetti e altri autori, con ouvertures e arie di Gluck, Berlioz, Halevy, Gounod, Saint-Saën; Massenet, Saint-Saens. Si tratta di un disco molto interessante e importante per noi e che ci ha permesso di fare una incursione in avanti, poiché con Les Talens Lyriques lavoriamo abitualmente sulla musica del Seicento e del Settecento. Per quanto riguarda la mia attività di clavicembalista mi è sembrato importante poter offrire una visione più ampia della musica di Couperin e anche con l’ensemble abbiamo pubblicato diversi dischi. Seguiamo sempre un percorso logico nelle scelte dei programmi e registrarli è praticamente una necessità. In questo senso ho scelto di tornare ad eseguire la musica di Pancrace Royer che è sorprendente per la sua qualità virtuosistica, selezionando le danze da quattro sue opere. Si tratta di una personalità musicale vicina a quella di Rameau, ma molto definita ed è musica poco conosciuta e bellissima».
Tra gli ultimi dischi c’è anche quello doppio dedicato al manoscritto che lei ha scoperto quasi per caso.
«Il manoscritto di Madame Théobon in effetti mi è stato segnalato da un collega che spesso fa delle ricerche su Internet e che mi ha detto di guardare una raccolta di musiche per clavicembalo che era considerata del Settecento, ma guardando le foto su ebay mi sono reso conto che si trattava invece di musica del Seicento. Mi è subito sembrato interessante e sono riuscito ad acquistarlo e si è rivelato importante come nuova fonte della musica cembalistica francese. Contiene sia composizioni conosciute che sono trascrizioni di musiche di Lully, ma anche di autori famosi come Chambonnières, d’Anglebert, e pezzi non conosciuti fra i quali i più interessanti sono preludi non misurati».
In questo manoscritto abbondano le trascrizioni da Lully.
«Si certamente, ma sono diverse da quelle famose di d’Anglebert, che presenta una sua personale visione della musica di Lully. In queste trascrizioni anonime c’è qualcosa di particolare. Un aspetto importante è lo strumento che ho utilizzato per questo disco, che è originale e che è di mia proprietà. È stato costruito da Nicolas Dumont nel 1704 e l’ho fatto restaurare recentemente. Ha un suono meraviglioso che rende molto bene questa musica. Si tratta della prima volta che è possibile ascoltare le settanta composizioni contenute in questa raccolta ed anche la prima volta che risuona la voce di questo strumento che era rimasto a lungo muto».
Chi potrebbe essere stato il compilatore di questa raccolta, o almeno dove potrebbe aver operato.
«Direi a Parigi vista la dedica a Madame de Théobon, una delle amanti del re vicina alla favorita di Luigi XIV Madame de Montespan, prima di essere allontanata per la sua gelosia. Ma per il fatto che sono presenti diversi errori nelle trascrizioni fatte da due mani diverse, penso che fosse destinato a una biblioteca piuttosto che per l’uso personale. Ritengo che si possa datare attorno al 1690 perché contiene anche una danza da Acis et Galatée che è del 1686».
Tra poco sarà disponibile anche il disco della Vestale di Spontini.
«Si, è un’opera legata alla versione mitica della Callas, ma è stato importante per noi eseguirla perché abbiamo fatto un lavoro sulle fonti utilizzando strumenti storici, con un cast vocale bellissimo che comprende nel ruolo principale Marina Rebeka. È qualcosa di molto particolare e vibrante per la sua freschezza, e non si presenta con l’immagine di una grande macchina romantica come solitamente si pensa, e forse per questo ancor più efficace. Vedremo come sarà accolta ma comunque ne sono molto contento».
Quali altri progetti concertistici e discografici sono in cantiere all’orizzonte.
«A giugno eseguiremo una nuova opera del 1831 che si intitola Fausto, rappresentata a Parigi nel Théâtre-Italien. Il libretto tratto da Goethe è in italiano e la musica è della compositrice Louise Bertin che all’epoca era molto famosa. È una musica ambiziosa con una orchestra ricca anche di effetti, ed importante perché è il primo Faust francese che probabilmente ha ispirato Gounod e sarà la prima esecuzione in epoca moderna. Le due interpreti principali, Karine Deshayes e Karina Gauvin sono cantanti di grande livello con le quali ho lavorato più volte. Per continuare il ciclo a luglio eseguiremo Atys di Lully e in entrambi i casi realizzeremo le incisioni discografiche. In passato ho eseguito molta musica di Salieri e in un certo senso ne sono diventato specialista, e ho in progetto di eseguire la sua opera Kublai Khan su libretto di Giovanni Battista Casti. Mi è stato chiesto dal teatro di Vienna e sono molto contento perché il compositore è stato molto importante per quella città. A causa di un trattato tra l’Austria e la Russia, per il suo carattere “politico” e satirico nei confronti del potere imperiale russo l’opera alla fine non venne rappresentata, e mi sembra importante farla rinascere, e anche in questo caso ne faremo un disco».