Incentrata sul rapporto tra Luciano Berio e la multimedialità, la giornata di studi che si è svolta lo scorso 11 marzo a Roma, al Parco della Musica Ennio Morricone, è diventata in realtà l’occasione per una più ampia riflessione sull’importanza che per il musicista ligure ha avuto l’essere in costante relazione con la realtà del proprio tempo, una realtà che durante gran parte del XX secolo ha assistito a un significativo e inarrestabile sviluppo delle tecnologie multimediali e informatiche.
Organizzata dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e dal Centro Studi Luciano Berio, in collaborazione con l’Istituto Storico Germanico e la Fondazione Roma Tre Teatro Palladium - Università Roma Tre, la giornata è stata ideata da Angela Ida De Benedictis e Federica Di Gasbarro, che ne hanno avuto anche la responsabilità scientifica, e si è avvalsa della collaborazione di diversi studiosi. Le relazioni sono state precedute dagli interventi di Michele Dall’Ongaro, Presidente dell’Accademia di Santa Cecilia, e di Talia Pecker Berio, grazie alla cui iniziativa è stato fondato nel 2009 il Centro Studi Luciano Berio.
Se Dall’Ongaro ha sottolineato come si possa ancora imparare da una mente complessa come quella di Berio (e dalla sua opera) per affrontare il futuro e per fornire strumenti ai giovani che si trovano all’interno di un percorso di apprendimento, Talia Berio ha evidenziato come la multimedialità non fosse affatto per Berio un principio da cui prendere le mosse, bensì fosse un elemento da collocare in un’idea di musica che coprisse tutta la realtà.
Peraltro proprio il rapporto tra musica e realtà è stato un tema che abbiamo potuto approfondire con Tania Berio in un breve intervista durante la pausa prima della ripresa pomeridiana dei lavori. “La musica per Berio non è mai assoluta o fine a se stessa – ha ricordato – ma è un mezzo per leggere ed esplorare la realtà, uno strumento al pari della matematica, e di conseguenza lo sviluppo dei media è per lui di grande interesse proprio per questo rapportarsi continuo con la realtà, una realtà sociale, politica ed economica. Questo concetto resta fondamentale anche per inquadrare la sua produzione, sia le opere teatrali che l’uso della voce o degli strumenti, ecc.: potrà anche non piacere a tutti, ma è legata proprio a questo suo intendere la musica come strumento per entrare in relazione con il contesto che ci circonda”.
Particolarmente utile per analizzare il periodo storico in cui si inserì l’attività di Luciano Berio, è stato il primo intervento della giornata – “Tra intermedia e postmedia: per una lettura di Berio dalla prospettiva delle arti multimediali” – in cui Giacomo Albert ha ripercorso il rapporto tra il comporre e la multimedialità lungo tutto il ’900, un rapporto iniziato sostanzialmente sulla base del rifiuto, da parte dei compositori, della precedente idea dell’arte. Albert ha identificato, per la prima parte del XX secolo, le due macro aree della ricerca del suono in campo allargato (citando esperienze come quelle di Duchamp e di Antheil) e dell’interesse verso la sinestesia, grazie alla quale si sperimentava il collegamento dei suoni alla luce o ai colori, ripreso quest’ultimo pure dallo stesso Berio. Se nella seconda metà del secolo la distinzione tra queste due macro aree era sempre meno percepibile, in realtà l’enorme quantità di sperimentazioni portò alla creazione di un pulviscolo di esperienze, una frammentazione ben percepibile anche nel nostro paese, considerata pure la mancanza di istituzioni dedicate nonché di uno specifico mercato. La relazione di Albert ha insomma chiarito che, alla luce di questa frammentazione, quando si parla di multimedialità si deve necessariamente far riferimento a esperienze molto diverse, che si svolgono nei contesti più disparati e che pongono problemi del tutto diversi tra di loro. La multimedialità in Berio diventa piuttosto intermedialità, creazione di un territorio in cui ci si muove tra le arti, un paradigma non basato sull’accumulazione delle stesse arti nonché dei media bensì sugli spazi ‘liminali’ tra i media di cui il compositore può disporre. Citando poi in particolare l’esperienza de I colori della luce (1963), ha sottolineato come la musica elettronica per Berio sia stata innanzitutto uno studio del timbro e del colore, che in quanto tale può trovare un legame con l’immagine.
Veniero Rizzardi ha poi ricordato – in una relazione intitolata “Il medium elettroacustico e la scoperta dell’estetica tecnologica” – l’incontro tra Berio e l’ambiente americano, dove il compositore si interessò particolarmente allo sviluppo dei media, tra cui l’invenzione del Cinerama. Ha poi citato gli articoli pubblicati sulla rivista “Ferrania”, tra cui “Una nuova tecnica del film?”, all’interno del quale il compositore prefigurava uno scenario futuro che oggi sostanzialmente si è concretizzato grazie alle trasmissioni in streaming. Se anche le sperimentazioni in atto a Parigi attireranno l’attenzione di Berio, successivamente egli darà un giudizio meno lusinghiero sia sulle esperienze americane che su quelle francesi, concentrandosi piuttosto su quali possano essere le prospettive di interazione tra lo sviluppo scientifico e le arti. In questo senso mentre Bruno Maderna (che insieme a Berio fonderà lo Studio di Fonologia Musicale di Milano della Rai) rimane affascinato dalle nuove tecniche e le sperimenta nel proprio lavoro di compositore, Berio comprende che la tecnologia cambia in modo radicale il modo stesso di approcciarsi del compositore.
Moltissimi i temi – e i ricordi – presenti nel successivo intervento a quattro mani di Diego Cavallotti e Alessandro Cecchi, incentrato sul rapporto tra Berio e il cinema, inteso quest’ultimo specificamente come audiovisivo visto che il compositore non solo evitò collaborazioni col cinema commerciale – Talia Berio ricorderà le parole di Berio: “Una volta che si entra in quel settore si rimane schiacciati” – ma restò in disparte anche nei confronti del cosiddetto cinema underground, al quale pure avevano contribuito artisti come Sylvano Bussotti e Cathy Berberian. Ad essere ricordata è stata dunque l’attività di Berio nell’ambito della musica elettronica che lo portò a diverse collaborazioni con la cosiddetta cinematografia industriale, in particolare con la Olivetti per la presentazione dei nuovi calcolatori della serie Elea 9000. Come ben evidenziato da Cavallotti, Berio comunque non aveva timore dei contesti, pur entrando al loro interno con molta cautela, e non aveva atteggiamenti elitari bensì selezionava attentamente i progetti che potevano interessargli. Se accettava di collaborare doveva sempre avere una propria libertà di azione.
Di grande spessore infine gli interventi che si sono succeduti nel pomeriggio, a opera delle due responsabili scientifiche della giornata. Federica Di Gasbarro ha ripercorso l’esperienza televisiva di C’è musica e musica – all’interno di una Rai che, come ha poi ricordato Michele Dall’Ongaro, pur essendo formalmente monocolore riusciva a includere di tutto – mentre Angela Ida De Benedictis si è concentrata sul forte senso sperimentazione che caratterizzò in Berio il rapporto tra musica e drammaturgia multimediale. In particolare ha citato alcuni documenti, ovvero una lettera del 1964 in cui il compositore invitava la Rai ad allargare il lavoro dello Studio di Fonologia anche in ambito visivo, l’ipotesi della sonorizzazione di uno spettacolo al Castello di Miramare di Trieste incentrato sulle vite di Carlotta e Massimiliano d’Asburgo, infine una serie di appunti (ben sei pagine sul proprio taccuino) dedicate a un progetto sui volti delle persone. L’idea era quella di affiancare dei visi anonimi a quelli dei personaggi più noti, in maniera tale però da decontestualizzare questi ultimi e ricollocarli in contesti completamente diversi. Proprio questi appunti denotano l’intenzione, da parte di Berio, di dare un ritmo soprattutto all’alternanza delle immagini dei volti, prima ancora che alla musica, come se il compositore volesse diventare il regista di se stesso e puntasse a applicare alla sperimentazione visiva le forme e i modelli della sperimentazione musicale. Arrivando a un tipo di risultato non lontano da quello ottenuto nel 1977 con l’opera La Voix des voies, un documentario sonoro realizzato all’Ircam di Parigi, che prevedeva l’uso di uno schermo gigantesco (composto da 20 schermi diversi per una superficie totale di 84 mq), sul quale proiettare una specifica sequenza di diapositive. Queste diapositive, tra l’altro, sono purtroppo andate perdute dopo una rappresentazione avvenuta ad Amsterdam, lasciando a disposizione degli studiosi la sola traccia audio.
Molti in definitiva gli spunti di questa giornata, durante la quale sono emersi anche la forte propensione alla sperimentazione e il senso spiccatamente pedagogico che caratterizzava non solo l’opera di Berio ma lo stesso contesto sociale in cui egli si trovò a operare, soprattutto quello degli anni ’60 e ’70.
Un’iniziativa realizzata in un luogo e all’interno di una Istituzione dove Berio fu di casa – Sovrintendente dell’Accademia di Santa Cecilia proprio quando il Parco della Musica venne inaugurato – e dove oggi si continua a ricordarlo anche grazie all’importante Concorso di composizione, giunto quest’anno alla seconda edizione. Come ci ha ricordato Michele Dall’Ongaro, “questa iniziativa di approfondimento su Berio nasce proprio in stretta relazione con la competizione internazionale riservata a compositori under 40, nata con la missione di promuovere la musica contemporanea, che rappresenta una sorta di unicum nel panorama internazionale, visto che il vincitore viene poi eseguito da diverse orchestre e vede la sua opera pubblicata da Universal Edition (l’editore di Berio). Considerata la caratura del personaggio – non solo un grande compositore ma una personalità che ha sempre partecipato ai grandi dibattiti culturali – grazie alla collaborazione col Centro Studi dedicato a Berio è nata questa giornata di studi, un’iniziativa che intendiamo riproporre a cadenza regolare per poter restare in contatto col dibattito che, a livello internazionale, continua a svolgersi intorno a Luciano Berio”.