Per noi utenti digitali 2.0 la riproduzione della musica non è un problema. Se però oggi abbiamo accesso a innumerevoli supporti tramite cui fruire di un prodotto sonoro, non è sempre stato così: per secoli l’ascolto musicale doveva avvenire in presenza di esecutori che padroneggiassero l’arte dello strumento. Solo verso la fine dell’Ottocento si iniziarono a sviluppare tecniche che permettessero di produrre musica in assenza di musicisti: tra queste, a fianco ai supporti di registrazione e riproduzione come i cilindri di cera e i dischi, vi fu anche l’invenzione dell’autopiano.
Si trattava di un pianoforte dotato di un sistema di automazione interno che faceva svolgere fra due rulli un rotolo di carta traforato, con i buchi corrispondenti alle note del brano da riprodurre.
Uno di questi strumenti, ancora funzionante, è conservato alla sede di Cremona del Dipartimento di Musicologia e Beni culturali dell’Università di Pavia, dove da alcuni anni il ricercatore Pietro Zappalà con il suo team sta recuperando migliaia di rulli traforati: fino a ora ne sono stati raccolti più di 4400, molti dei quali prodotti dalla fabbrica cremonese F.I.R.S.T. (Fabbrica Italiana Rulli Sonori Traforati) tra il 1904 e il 1930. Quasi dimenticata oggi, era la più importante in Italia.
Dopo una prima fase di acquisizione dei materiali e di catalogazione, il gruppo di lavoro è pronto per quella successiva. È stata quindi attivata Play it (again!): recupero e conservazione della collezione di rulli per autopiano del Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali, una campagna di crowdfunding per sostenere questo progetto ambizioso quanto necessario alla conservazione e alla diffusione della memoria di questi oggetti.
Finalità del progetto è quella di salvare i rulli cartacei dal deterioramento del tempo, e creare un repertorio consultabile e accessibile, attraverso la scansione dei rulli e il riversamento digitale in MIDI. Il tutto sarà poi caricato su una piattaforma accessibile online.
Il coordinatore del progetto, Pietro Zappalà, ci ha tolto alcune curiosità riguardanti questi affascinanti reperti della musica meccanica italiana.
Chi utilizzava questi strumenti?
«Gli autopiani erano quasi dei sostituti di un pianista vero e si possono considerare come degli antesignani del juke-box, per cui si potevano trovare nei salotti borghesi, nei club e circoli culturali, negli alberghi di alta classe e venivano utilizzati anche come accompagnamento sonoro nel cinema muto».
Automati come questi rendevano del tutto inutile la presenza umana?
«Per l’azionamento del meccanismo doveva comunque esserci una persona, ovvero l’autopianista, che però non doveva necessariamente essere in grado di suonare il pianoforte: egli azionava i pedali e alcune levette che corredavano lo strumento e che permettono di gestire la velocità di scorrimento dei rulli (e quindi l’agogica) e i livelli di sonorità (la dinamica, dal forte al piano). La riproduzione non era dunque totalmente meccanica, ed anzi il risultato acustico poteva variare in base agli interventi dell’autopianista».
Come veniva prodotto un rullo?
«All'inizio tutti i rulli erano “metronomici”, ossia realizzati calcolando a tavolino la lunghezza dei fori, a volte con arte consumata per dare effetti di ricchezza e variazione ritmico-metrica, altre volte in maniera più pedissequa e meccanica. Verso il 1904 la ditta tedesca Welte introdusse i cosiddetti rulli “reproducing”, ossia quelli prodotti a seguito di una vera e propria esecuzione pianistica. Questa tecnica, molto complessa e mantenuta segreta dalle ditte che l’approntarono, fu appannaggio solo dei grandi complessi industriali (Welte, Hupfeld, Aeolian, Ampico) che potevano permettersi grandi investimenti, mentre le ditte minori (esempio la nostra FIRST italiana, la Victoria spagnola, la EMP francese) dovettero limitarsi ai rulli metronomici».
«Fra coloro che eseguirono per autopiano vi furono alcuni celebri compositori (Grieg, Ravel, Prokof’ev, Gershwin e tanti altri) e famosi pianisti, ora forse meno noti (fra i maggiori Paderewski, Pugno, Landowska, Hofmann...)».
Quale tipo di musica era possibile eseguire?
«I rulli erano adatti a un repertorio vario, che andava dalla musica classica, alle sinfonie d’opera, alle operette, alla musica leggera: tra i rulli conservati a Cremona abbiamo anche quello di "O sole mio"!».
E c’erano tecniche di foratura diversa per la musica vocale?
«Certo! Dopo la Prima guerra mondiale furono introdotti anche rulli di accompagnamento, ossia predisposti per accompagnare al pianoforte l’esecuzione di uno strumento o di una parte vocale: in quest’ultimo caso hanno, sul lato destro del rullo che scorre, il testo da cantare, posto in simultanea alle note emesse (quasi un effetto karaoke)».
Perché smisero di produrne?
«Per quanto questa tecnologia abbia continuato ad evolvere fino agli anni Trenta – poco prima del suo abbandono, fu addirittura inventato un sistema complesso, che oltre al pianoforte, permetteva di far suonare in modo automatico un complesso di tamburo, rullante, nacchere, triangolo e piatti, utile per la resa della musica leggera del periodo – ormai il disco e la radio erano diventati sempre più concorrenziali e avevano preso il sopravvento e questa affascinante tecnologia fu quasi dimenticata».
Ora l’Università di Pavia ne sta progettando la riscoperta: quali sono i termini del crowdfunding?
«Il crowdfunding proseguirà fino alla fine del 2019, e chi farà una donazione potrà anche ricevere degli omaggi, tra cui alcuni CD con riproduzioni audio dello strumento in azione. Se alla fine del primo periodo i fondi avranno raggiunto almeno l’80% del previsto, il progetto resterò sul portale e aperto a ulteriori sviluppi».