Il cartellone del Festival Verdi di Parma continua ad arricchirsi di appuntamenti. Dopo la presentazione ufficiale avvenuta qualche settimana fa, infatti, è stato recentemente annunciato il ritorno nella città emiliana di Raphael Gualazzi, chiamato ad omaggiare Giuseppe Verdi nel concerto che l’artista dedicherà al Cigno di Busseto mercoledì 18 ottobre al Teatro Farnese. Dopo l’omaggio al Maestro in occasione del bicentenario verdiano, con una personale rilettura dell’aria del Duca di Mantova, “Questa o quella per me pari non sono”, inserita nell’album “Happy Mistake”, il cantautore torna a farsi affascinare da Verdi, con un concerto a lui interamente dedicato, nell’ambito di “AroundVerdi”, spazio collaterale rispetto al cartellone principale del Festival dove si allargano i confini dell’opera lirica per dare spazio ad altri linguaggi espressivi con l’intento di stimolare nuove riflessioni intorno all’opera verdiana. Una notizia che conferma questo festival come una sorta di work in progress e che ci fa tornare alla mente i dati condivisi dai vertici della Fondazione Teatro Regio alla fine dello scorso anno, dove venivano illustrati i risultati raggiunti dalla gestione guidata da Anna Maria Meo, direttore generale dal gennaio 2015 quando, affiancata da Barbara Minghetti quale consulente per lo sviluppo e per i progetti speciali, ha preso le redini di un teatro impegnato a recuperare e riconfermare il prestigio di un illustre passato. Proprio alla Meo abbiamo rivolto qualche domanda, allo scopo di approfondire i caratteri dei risultati maturati in questi ultimi anni e decifrare le peculiarità di un festival che, nelle intenzioni, vuole confermare anche per il 2017 la sua crescita.
I dati che avete diffuso testimoniamo un considerevole incremento di presenze al Festival Verdi per l'edizione 2016 rispetto ai due anni precedenti. Un aumento che, restando all'offerta operistica principale, si può rapportare, grosso modo, all'incremento dei titoli di opere verdiane in cartellone negli stessi anni: due (Traviata e Forza del Destino) nel 2014, tre (Otello, Rigoletto e Il corsaro) nel 2015 e quattro (Don Carlo, Giovanna D'Arco, I masnadieri e Il trovatore) lo scorso anno. Uno sforzo produttivo che avrà visto incrementare anche l'investimento economico sul festival stesso: a quanto ammontano, anche indicativamente, i costi per ognuna delle tre edizioni del 2014, 2015 e 2016? E quali sono le scelte strategiche che vi hanno guidato in questo sviluppo?
«È difficile estrapolare i costi del Festival da quelli dell’attività complessiva del Teatro, se non limitatamente ai costi artistici e degli allestimenti, che ammontano a circa 4 milioni. Naturalmente un programma così articolato e ricco, con tre/quattro nuove produzioni, richiede una preparazione che impegna il teatro tutto l’anno in parallelo con la stagione, lirica, concertistica, di danza e quella per i bambini: tecnici per la progettazione, laboratori di scenografia e di sartoria per le realizzazioni, uffici amministrativi, comunicazione, marketing: tutto il personale del teatro lavora al festival molti mesi dall’inizio dell’anno. Ugualmente si può dire dell’impegno in termini di promozione internazionale, con un road show in molte capitali internazionali che è iniziato alla fine di gennaio e si conclude a fine aprile. Le risposta di grande entusiasmo che verifichiamo in queste occasioni, dove incontriamo la stampa specializzata e i tour operator - e che si trasforma in un così significativo incremento di presenze straniere al festival ( 135% rispetto al 2015) – ci conferma nella validità delle nostre strategie».
Anticipando il programma principale dell'edizione dei quest’anno, che prevede Jérusalem, La traviata, Stiffelio, Falstaff e Messa da Requiem, avete confermato nei fatti lo sforzo produttivo anche per il 2017: quali sono i criteri di scelta e i caratteri principali di queste produzioni?
«I criteri di scelta dei titoli, che dalla prossima edizione saranno condivisi con il Comitato scientifico diretto dal Professor Francesco Izzo e con il Direttore musicale, Roberto Abbado, si ispirano a quelle che reputo le caratteristiche centrali di un festival monografico come il Festival Verdi, che ha come obbiettivo principale una ricognizione costante sull’opera del Maestro, affiancando al lavoro di approfondimento delle opere maggiori del repertorio, attraverso l’adozione, ove presenti, di edizioni critiche, d’intesa con Casa Ricordi, alla promozione del repertorio cosiddetto “minore”, meno conosciuto o meno rappresentato, costituito dalle opere giovanili o da versioni “altre” di opere più conosciute, come nel caso del Jérusalem di quest’anno. Vi è poi l’aspetto delle messinscene, che nel teatro d’opera di oggi non può essere trascurato, difatti per le opere più popolari cerchiamo di offrire interpretazioni meno scontate, più innovative, come nel Trovatore della passata edizione o Traviata di quest’anno, il cui progetto di allestimento è stato scelto come vincitore del European Directing Prize, concorso internazionale promosso da Camerata Nuova in collaborazione con Opera Europa. Tra gli altri criteri c’è ovviamente la disponibilità di voci adeguate ai titoli proposti, che non sempre è facile da ottenere se non con un lavoro di programmazione svolto con grande anticipo».
Passando alle varie iniziative offerte a completamento del cartellone principale del festival dell’ottobre 2016 possiamo vedere che, a fronte delle 24.269 presenze agli spettacoli operistici, esse hanno fatto registrare tra i 12.000 e i 14.000 spettatori: 2.000 per i diversi appuntamenti a ingresso libero del festival e tra i 10.000 e i 12.000 per Verdi Off, la nuova rassegna realizzata con il sostegno dell’Associazione “Parma, io ci sto!”. Quali sono stati i costi di queste proposte collaterali? E quali gli obiettivi di questo investimento, diciamo così, un poco fuori dal core business di un teatro di tradizione e "vocazione" lirica come il Regio?
«La rassegna Verdi Off, che dal 2016 ha arricchito l’offerta del Festival spaziando in un ambito totalmente nuovo per la tradizione della manifestazione, ha avuto costi abbastanza contenuti (nell’ordine di poco più di 100.000 euro), un investimento tutto sommato esiguo che ha tuttavia prodotto importanti ricadute in termini di ampliamento del raggio d’azione della manifestazione, garantendo alcuni obbiettivi che solo a prima vista possono considerarsi estranei al core business, almeno per come lo si intende oggi nei maggiori festival europei, basti guardare Avignone o Edimburgo, tanto per citare i modelli più consolidati: invadere la città in tutti i suoi spazi, anche uscendo dagli spazi teatrali convenzionali, coinvolgendo la cittadinanza nell’ospitalità, per esempio con i concerti nelle case private, aperte dai cittadini che hanno risposto all’invito del Teatro accogliendo parmigiani e pubblico straniero, la maratona corale, le arie cantate dalle finestre del teatro tutti i giorni alla stessa ora, per fare del Festival Verdi una festa che sia in grado di coinvolgere tutti, cittadini e visitatori, appassionati melomani e spettatori occasionali, fino a raggiungere, con un approccio più informale, quel pubblico che forse mai avrebbe varcato le soglie di un teatro d’opera; raggiungere con il balsamo della musica anche le categorie più svantaggiate o impossibilitate a seguire il Festival, come ad esempio con le attività che si svolgono all’interno del carcere, dell’ospedale pediatrico e delle case di riposo; allargare l’ambito comunicativo del Festival, aprendo ai nuovi linguaggi, con installazioni, video-mapping, dj-set, attraverso una call to artist rivolta a giovani artisti, per favorire il dialogo con le culture giovanili, con le quali anche il mondo dell’Opera è chiamato a interloquire, se vuole garantirsi un futuro vitale. Tutte queste azioni hanno prodotto l’effetto voluto di espandere il Festival oltre i confini degli spazi preposti e di coinvolgere la città intera, dando un messaggio di apertura, inclusione, innovazione e festosità che una manifestazione come il Festival Verdi deve avere».