È un disco bellissimo In nomine. Thinking of Giacinto Scelsi del trio composto da Ciro Longobardi (pianoforte, ma anche organo e campionamenti), Daniele Roccato (contrabbasso) e Michele Rabbia (percussioni e elettronica). Lo so, un articolo non si dovrebbe forse iniziare con una dichiarazione così perentoria – e con una sua inevitabile componente di soggettività, come è naturale – ma, come può succedere nell’ambito dell’improvvisazione e quando gli artisti coinvolti sono non solo di primordine, ma anche sensibili alle sollecitazioni, ci sono esiti che sembrano toccati da una grazia speciale, in grado di proiettare la propria luce sia verso il futuro che nella direzione della tradizione.
Non a caso il disco, che esce per Stradivarius, porta il “segno” di Giacinto Scelsi, compositore la cui forza e influenza – al di là di tutte le polemiche e della evidente sottovalutazione – sembra sempre più evidente in ambiti sonori anche molto diversi tra loro (come si evince ad esempio dal bell’articolo dedicato al compositore da Federico Sardo qualche mese fa qui).
Musica improvvisata, quindi, che attraversa regioni timbriche cangianti ma ipnotiche e che innescano dinamiche sempre nuove e affascinanti, avventurose senza mai perdere quella capacità di coinvolgere l’ascoltatore in modo semplice ma profondo.
Abbiamo colto l’occasione dell’uscita del disco per dialogare con i tre musicisti, maestri riconosciuti nei rispettivi ambiti (Longobardi e Roccato in quella contemporanea che sa scrollarsi di dosso le polveri accademiche, Rabbia più legato all’esplorazione di matrice jazz) e fare loro raccontare qualcosa di più su questa fantastica avventura.
Quando e come siete entrati in contatto con il mondo di Giacinto Scelsi, quali i lavori e le caratteristiche della sua opera che più vi hanno colpito all’inizio e quali quelli che all’inizio magari avevate sottovalutato e che invece con il tempo vi sono sembrati più significativi?
CIRO LONGOBARDI: «Ricordo nel 1994 a Darmstadt un’esecuzione di Anahit per violino e ensemble a cura del magnifico Klangforum Wien. È stato quello il mio incontro fulminante con la musica di Scelsi. Poi naturalmente è seguito lo studio della musica per pianoforte, che comprende delle vere perle. Un aspetto non notato forse è l’uso della tecnologia, che Scelsi relega costantemente al momento iniziale del processo compositivo – le famose improvvisazioni all’ondiola – per poi lasciarla emergere negli anni Settanta in un brano come Aitsi, in cui il suono del pianoforte viene processato dal vivo con l’aiuto di un distorsore. Quando con Agostino Di Scipio abbiamo affrontato questo pezzo, mi è sembrato che improvvisamente venisse fuori un aspetto rimasto latente per decenni!».
MICHELE RABBIA: Il nome di Scelsi e il suo approccio creativo legato all'improvvisazione sono ben noti e da tempo anche nell'ambito del jazz d'avanguardia e delle musiche improvvisate. Soprattutto in Francia, il nome del grande compositore, le sue idee, la sua concezione del suono sono sempre stati ben presenti, un vero e proprio riferimento per tutta una schiera di musicisti attivi tra jazz e sperimentazione. Quindi le suggestioni “scelsiane” mi sono arrivate in maniera potente non solo dall’ambiente romano e italiano in genere, ma anche da quello francese, nel quale sono molto attivo».
DANIELE ROCCATO: «Anche se sembra strano dirlo, sono venuto in contatto con la musica di Scelsi gradualmente. Alcuni frammenti di sue opere erano entrati nel mio campo acustico fin dagli anni Ottanta, quelli della mia formazione accademica, senza però venire percepiti immediatamente. Negli anni successivi frammenti si sono stratificati e uniti ad altri frammenti fino al momento della folgorazione, che è avvenuta con quello che è forse uno dei suoi pezzi meno rappresentativi, quasi folk: Mantram, nella versione di Joëlle Léandre. Da quel momento in poi è come se tutto quel materiale che avevo lasciato abbandonato nel deposito della percezione si fosse improvvisamente messo in ordine e avesse acquisito un senso».
Da dove arriva l’idea di In Nomine? Come avete proceduto nel lavoro?
CIRO LONGOBARDI: «Dopo alcuni concerti in trio volevamo fissare il progetto in una registrazione discografica. Pur trattandosi di libera improvvisazione abbiamo pensato che un’idea ispiratrice, o quanto meno un motivo unificante, avrebbe meglio caratterizzato il lavoro. A questo punto la scelta è caduta spontaneamente sul compositore italiano più legato, a suo modo, all’idea di improvvisazione».
MICHELE RABBIA: «L’idea di In Nomine è nata nel momento in cui ci siamo interrogati sulla direzione musicale e progettuale da prendere. A differenza di Ciro e Daniele, provengo da un mondo più legato alla libera improvvisazione e al jazz, per cui la scelta di direzione è stata più dettata dai miei compagni di viaggio. Per quanto riguarda il lavoro di costruzione ho cercato di inserire il mio gesto e il mio bagaglio sonoro all’interno dei modelli scelsiani che ci eravamo preposti».
DANIELE ROCCATO: «In effetti abbiamo deciso di darci dei limiti, di restringere attorno ad un’idea, un campo, un gesto, le infinite possibilità che l’improvvisazione intuitiva ci forniva. Abbiamo scelto di far ruotare il lavoro discografico attorno alle modalità compositive e improvvisative di Giacinto Scelsi perché ci sembrava la figura che più impersonasse le nostre molteplici anime».
Com’è nata l’idea di coinvolgere la voce di Michiko Hirayama?
LONGOBARDI, RABBIA, ROCCATO: «L’idea era di coinvolgere alcuni storici collaboratori di Scelsi. Daniele aveva appena fatto alcuni concerti e realizzato parte di un CD in duo con Michiko, suonando fra gli altri anche dei pezzi di Scelsi. Michiko era stata per anni la sua musa e durante le prove parlava spesso del suo rapporto con Scelsi e di quando di nascosto assisteva alle sue improvvisazioni notturne al pianoforte o all’ondiola. Naturale quindi chiederle un contributo, che ci ha fornito con grande generosità! Abbiamo realizzato anche delle interviste con Alvin Curran e Giancarlo Schiaffini (che ringraziamo sentitamente) con l’intento di trasformarle in altrettanti brani, ma l’operazione non ci è riuscita in un modo che ci sembrasse convincente e in sintonia con le loro peculiarità e personalità».
Come la concezione scelsiana dell’improvvisazione (su cui Alessandro Sbordoni nelle note giustamente si sofferma) si è relazionata con la vostra?
CIRO LONGOBARDI: «Credo soltanto come concept generale anche perché, come ben spiegato da Sbordoni, Scelsi aveva un’idea dell’improvvisazione molto personale, caratterizzata dall’assenza di interplay e dalla mera compresenza di musicisti improvvisatori, ognuno impegnato a seguire il proprio percorso indipendentemente dagli altri».
MICHELE RABBIA: «Penso che il nostro sia stato più un lavoro di riscruttura del gesto scelsiano. Abbiamo cercato di inserire le nostre personalità all’interno di un’idea musicale e di conseguenza immergerci nello spirito del compositore».
DANIELE ROCCATO: «Il nostro non è stato un lavoro musicologico o in qualche modo concettuale. Avevamo una connessione con la musica di Scelsi ad un livello profondo, e abbiamo lasciato che l’azione creativa generasse da sé quello che ora è possibile ascoltare sul cd».
Pur essendo quella di piano, contrabbasso e batteria, una formazione quasi antonomastica nel jazz, la centralità del lavoro sul suono rende il lavoro molto lontano dalle traiettorie più riconoscibili del jazz. Al tempo stesso, il lavoro segna una notevole differenza anche con i trii d’improvvisazione libera. Mi piacerebbe, se vi va, una riflessione su questo.
CIRO LONGOBARDI: «Credo sia dovuto alla miscela di tre personalità piuttosto differenti ma molto comunicanti! Io sono un pianista modernista di formazione classica che arriva all’improvvisazione dall’ambito contemporaneo aleatorio e informale; Michele è un batterista/percussionista che partendo dal jazz ha esplorato tutte le possibili sperimentazioni che si sono sviluppate da quello e da ambiti contigui; Daniele è un contrabbassista/compositore anch’egli di formazione classica ma con esperienze creative nei generi più diversi. Trovo naturale quindi che il lavoro sia difficilmente classificabile».
MICHELE RABBIA: «Sicuramente la provenienza delle nostre personalità musicali, l’uso di materiale elettronico e la strumentazione un po’ inusuale hanno creato un tipo di suono molto lontano dall’idea di un trio jazz e allo stesso tempo un’esecuzione, benché libera, ma impostata su parametri musicali predefiniti ha fatto sì che si creasse un divario anche dalla sonorità di un trio di libera improvvisazione».
DANIELE ROCCATO: «Quando si è in fase creativa e si è in contatto con una sorta di energia autonoma, qualunque considerazione intellettuale rappresenta un grande ostacolo e porta a percorrere strade battute e luoghi rassicuranti. È curioso perché a posteriori di fronte a lavori come questo percepisco la creatività come un flusso che non ci appartiene e di cui, nella migliore delle ipotesi, possiamo essere il veicolo».
Quali evoluzioni possibili per questo progetto?
CIRO LONGOBARDI: «Intanto cerchiamo di farlo conoscere il più possibile, sia in disco che dal vivo. Poi ci sono le possibili collaborazioni con altre personalità musicali, altri improvvisatori, come il grande violinista Dominique Pifarély, con cui nel 2015 abbiamo tenuto un bellissimo concerto presso la Fondazione Scelsi a Roma. Ma non escludiamo il dialogo con compositori interessati ad esplorare con noi la creatività estemporanea».
MICHELE RABBIA: «Le molteplici combinazioni sonore che questo trio può gestire, unite alle nostre “diversità” di visione della musica, a mio avviso, possono portarci in territori molto lontani concedendoci la possibilità di attingere dai materiali più diversi. Non mi stupirei se in futuro un nostro prossimo lavoro avesse delle sfumature più legate alla musica rock…».
DANIELE ROCCATO: « In effetti le possibilità sono molte, anche troppe. Vedremo quali strade si apriranno».
Un lavoro di Scelsi che consigliereste a chi si volesse accostare a questo compositore?
CIRO LONGOBARDI: «Il repertorio orchestrale in generale».
MICHELE RABBIA: «Quattro Illustrazioni».
DANIELE ROCCATO: «Okanagon».
Cosa state ascoltando in queste settimane?
CIRO LONGOBARDI: «Principalmente riascolti, tutto Mahler e Debussy, un po’ di rock progressivo (possiamo chiamarlo così?) Area, King Crimson, ma anche gruppi napoletani come gli Slivovitz».
MICHELE RABBIA: «Radiohead, György Kurtág, Brian Eno, Art Ensemble of Chicago, Gerard Grisey...».
DANIELE ROCCATO: «Musica sulla quale sto lavorando e che sto elaborando. Ockeghem, Palestrina, Henze, Gubaidulina».
I vostri prossimi progetti?
CIRO LONGOBARDI: «Approfondire lo studio di Debussy e Messiaen, anche in vista di impegni per gli anniversari del 2017-2018. Il duo antico-contemporaneo con il flautista Tommaso Rossi, le produzioni di Dissonanzen, di cui sono diventato coordinatore artistico, il duo con Agostino Di Scipio, le collaborazioni con la Fondazione Prometeo di Parma». Sto anche lavorando a un’idea che spero di poter realizzare a breve, una performance in duo con il grande Alvin Curran.
MICHELE RABBIA: «Ho in mente la realizzazione di un lavoro dedicato alle percussioni ed elettronica (solo, duo e trio) e c’è in cantiere una registrazione con il chitarrista norvegese Eivind Aarset. E poi le mie numerose collaborazioni, soprattutto in ambito francese ma non solo».
DANIELE ROCCATO: «Per il 2017 sarò Artista in Residenza presso l’Istituzione Sinfonica Abruzzese, dove avrò modo di eseguire e registrare il celebre Concerto per Contrabbasso e Orchestra di Hans Werner Henze per l’etichetta WERGO, e presentare un’opera multimediale che sto scrivendo a quattro mani con Tonino Battista, da un’idea di Luisa Prayer, che coinvolgerà l’Orchestra Sinfonica Abruzzese, l’ensemble Ludus Gravis e il percussionista iraniano Mahamad Ghavi Helm. Sarà in collaborazione con RAI News 24, e utilizzeremo dei reportage sull’assedio di Aleppo. Proseguirò con i miei concerti in solo, con le collaborazioni con altri musicisti e continuerò il tour del lavoro Cantico dei Cantici, con il coreografo Virgilio Sieni. In autunno riprenderò anche le collaborazioni con il Teatro delle Albe, con Socìetas Raffaello Sanzio e con lo scrittore Vitaliano Trevisan».