In occasione della giornata della memoria, il Teatro comunale Giuseppe Verdi di Pordenone ha ospitato il compositore Krzysztof Penderecki e la sua Orchestra Sinfonietta Cracovia. Unica data in Italia del tour, il programma prevede due opere di autori polacchi del primo Novecento, il Concerto per violoncello e orchestra op. 43 di Mieczyslaw Weinberg e il Concerto per pianoforte op. 25 di Viktor Ullmann, oltre alla Quarta Sinfonia di Penderecki diretta dallo stesso compositore (qui la recensione del concerto).
Attivo protagonista della scena sperimentale sin dagli anni Sessanta, Penderecki si concede per qualche domanda nella hall dell’hotel in cui alloggia, prima di raggiungere l’orchestra per la prova generale.
Dal giornale riposto all’ingresso rimbalza la notizia: è confermata la partecipazione di alcune band nazirock in un club di una località limitrofa in quella stessa sera.
«La notizia non mi stupisce. Sfoghi nazisti riappaiono oggi come una vera e propria malattia. Succede qui come in Polonia da ormai un po’ di tempo. Da cittadino polacco non riesco a comprendere come possa ancora accadere, dopo il massacro che proprio il nazismo ha provocato soprattutto in Polonia, uccidendo milioni di innocenti».
Il concerto prevede l’esecuzione della sua Quarta Sinfonia: come si presenta all’interno del programma e come si colloca invece nella sua produzione musicale?
«Il concerto che presentiamo qui a Pordenone prevede il Concerto per violoncello di Mieczyslaw Weinberg e quello per pianoforte di Viktor Ullmann, due autorevoli contributi del Novecento musicale polacco. La mia Quarta Sinfonia, a mio giudizio la più riuscita delle otto che ho scritto, asseconda l’organico previsto per l’esecuzione di queste due opere. Trovo che la particolarità della sua costruzione e il suo carattere astratto si uniscano perfettamente al resto del programma».
Com’è cambiata la sua musica nel corso degli anni?
«La musica è in continuo cambiamento. Tuttavia, l’elemento che accomuna tutta la mia produzione, da quella più sperimentale fino a oggi, è il bisogno di “sentire” la musica attraverso una dimensione grafica. La fase preparatoria alla scrittura si concretizza in una successione di forme e diagrammi. Una volta focalizzati sul foglio, queste figure mi aiutano a immaginare la struttura e le dimensioni che la mia musica sta per assumere, a controllarne la forma. Ecco perché è errato pensare che, a partire dalla fine degli anni Settanta, la mia attitudine alla musica abbia subito un profondo mutamento nel tempo. La notazione grafica, quanto quella tradizionale, sono la conseguenza di una pianificazione visuale della musica, la stessa che utilizzai nel 1960 per scrivere Trenodia per le vittime di Hiroshima. Così come per la musica sacra: è un genere che ho coltivato sin dall’inizio della mia carriera».
Più volte ha affermato di essere profondamente cattolico, eppure il suo rapporto con la Chiesa ha incontrato qualche difficoltà già alla fine degli anni Sessanta, dopo aver presentato The Devil of Loudun: com’è cambiato il suo rapporto con la religione da allora?
«Nella cultura polacca la religione ricopre un ruolo molto importante, addirittura fondamentale, al punto da avere forti ripercussioni sulle espressioni artistiche più varie. Comporre musica sacra corrispondeva allora a un atto di protesta, soprattutto negli anni in cui il comunismo voleva avere il pieno controllo sulle manifestazioni dell’arte, reprimendo tutto ciò che veniva tacciato come scomodo e non funzionale alla pura propaganda politica. Il credo religioso veniva oltraggiato e la musica sacra bandita».
«La fase preparatoria alla scrittura si concretizza in una successione di forme e diagrammi. Una volta focalizzati sul foglio, queste figure mi aiutano a immaginare la struttura e le dimensioni che la mia musica sta per assumere, a controllarne la forma».
«The Devil of Loudun riguarda un fatto storico, è la trasposizione in musica di alcuni fatti di possessione e fanatismo religioso, manifestati nella località francese intorno al Seicento. È l’opera di un giovane compositore ribelle, ecco perché non piacque alla Chiesa. Non a caso la Passione di San Luca viene citata ancora oggi come una delle mie composizioni più importanti: il tema religioso, fortemente ispirato dalla tradizione musicale, assume per la prima volta dimensioni monumentali. Un vero e proprio atto di coraggio».
Come si pone il suo credo nei confronti delle altre religioni? Mi sembra che la sua produzione accolga diverse suggestioni…
«Sono cattolico ma non credo in un unico Dio. Mi rivolgo piuttosto a un Dio universale. Per la Passione Secondo San Luca ho messo in musica testi sacri in latino, così come nel Magnificat. In Kaddish mi sono servito dell’aramaico, mentre in Utrenja ho utilizzato persino la lingua slava ecclesiastica».
«Sono cattolico ma non credo in un unico Dio. Mi rivolgo piuttosto a un Dio universale».
«Il suono che queste lingue sono in grado di sprigionare, insieme alla potenza delle immagini che i testi suggeriscono, hanno sempre esercitato in me un fascino indescrivibile, al punto da arrivare a rinnovare la mia ispirazione».
Musica e spiritualità rientrano dunque in un rapporto di armonia…
«Certamente! Al quale va aggiunto anche il ruolo della natura! A Cracovia, dove vivo, ho un gigantesco arboreto. Si tratta di una distesa di piante e alberi anche rari, progettato e curato interamente da me, secondo lo stesso principio delle mie opere musicali. Mi piace molto dedicarmi alla natura. Il parco sorge accanto al Krzysztof Penderecki European Centre for Music, un centro dedicato alla musica che comprende una Concert Hall, una sala dedicata all’esecuzione della musica da camera, diverse stanze studio e un dormitorio a completa disposizione dei musicisti ospiti».
Quali sono le tappe del vostro tour?
«A parte questo concerto, per il quale abbiamo elaborato un programma apposito, a febbraio saremo in Armenia per cinque concerti, in Cina in compagnia di Anne-Sophie Mutter, a Varsavia per il Festival Penderecki che prevede diciannove mie opere in programma, ognuna diretta da un direttore diverso, e poi a Bruxelles con un concerto per commemorare la fine della Prima guerra mondiale».
Oltre ad Anne-Sophie Mutter ha incontrato e scritto opere per molti altri musicisti durante la sua carriera…
«Ho scritto brani per Isaac Stern, ma anche per Mstislav Rostropovič al quale ho dedicato ben cinque composizioni. Leonard Bernstein ha diretto più volte i miei lavori, come il Lacrimosa nel 1989 a Varsavia, a cinquant’anni dal secondo conflitto mondiale. Un evento che ha ispirato altre esecuzioni. Negli ultimi anni il mio Kaddish viene proposto insieme al suo. Ebreo lui, cattolico io».