Monteverdi a Innsbruck

Al Festival di Musica Antica con il direttore Alessandro De Marchi: l'intervista

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I 450 anni dalla nascita di Monteverdi coincidono con quelli dell'inizio del regno di Ferdinando II nel Tirolo, e questo doppio anniversario viene celebrato dal Festival di Musica Antica di Innsbruck, con la rappresentazione de Il ritorno di Ulisse in patria, e da un concerto di musiche dedicate al sovrano amante delle arti, che fece edificare il Castello di Ambras – luogo dal quale si è sviluppato il progetto del Festival e dove si svolgono parte dei suoi concerti.

L'opera verrà eseguita dall'orchestra Academia Montis Regalis e da un cast vocale nel quale il triangolo familiare Ulisse, Penelope, Telemaco sarà interpretato da Kresimir Spicer, Christine Rice e David Hansen, mentre le musiche polifoniche dedicate "Al Serenissimo Arciduca d'Austria" di Andrea Gabrieli, Orlando di Lasso, Jacob Regnart e Jacobus Vaet verranno eseguite dall'ensemble Cinquecento. L'opera monteverdiana sarà diretta da Alessandro De Marchi, che è anche direttore artistico del Festival, quest’anno intitolato Die Liebe, sprach sie... (O Amore, lei disse…).

Abbiamo rivolto qualche domanda a De Marchi.

Die Liebe, sprach sie.... Si tratta di una citazione monteverdiana?

«Sì, visto che molti gruppi hanno scelto di eseguire il Lamento della ninfa, alla fine è divenuto il motto del Festival, e poi con il regista ci siamo resi conto che l’opera avrebbe dovuto chiamarsi piuttosto Penelope, dato che sono molte le donne protagoniste dirette o indirette dei programmi musicali del Festival».

Come ha scelto di risolvere il problema della partitura incompleta?

«L’unica fonte è la partitura di Vienna nella quale è messa in musica soltanto una parte del libretto. Dunque non sappiamo se sia una versione ridotta, o se il compositore abbia musicato solo una parte del testo originale. Questo è un motivo di grande discussione con i registi, che vorrebbero allestire anche le scene mancanti, così c’è chi inventa la musica da zero, chi prende altra musica monteverdiana e ci adatta i versi del libretto che non sono presenti nella partitura. Io ho scelto una terza soluzione, inserendo due suoi madrigali che ben si adattavano alla situazione scenica: Zefiro torna, e ovviamente il Lamento della ninfa».

E l’orchestrazione?

«La partitura di fatto contiene solo il basso continuo, ma noi sappiamo bene che l’orchestra era ben più ampia, e possiamo scegliere la ricostruzione che meglio si adatta al luogo in cui si deve eseguire, e non soltanto in base alla filologia. Mi sono molto interessato all’improvvisazione nella musica antica, in particolare a quella polifonica e al cosiddetto “contrappunto alla mente”. Si sa che all’epoca di Monteverdi si praticava l’improvvisazione simultanea di più linee, e non erano solo i continuisti a saper realizzare l’armonia, ma anche gli altri musicisti sapevano come sovrapporre altre linee su quella del basso. Oggi non abbiamo persone in grado di padroneggiare questa pratica, ma si possono comporre delle linee guida sulle quali i musicisti possono creare variazioni e ornamentazioni che si avvicinano a quelle dell’epoca».

Lei dirigerà anche l’oratorio San Giovanni Battista di Stradella… «Che per la sua modernità si potrebbe considerare la prima Salomè della storia della musica… ed è basato su un libretto che offre al compositore la possibilità di variare le strutture musicali, che comprendono arie, ariette, ariosi, duetti, terzetti, quartetti, sestetti, recitativi, e parti strumentali molto elaborate, con alcuni momenti madrigalistici. Fra i personaggi non è presente il ruolo del “testo”, ossia il narratore, e ha una tale dimensione teatrale ed è così vicina all’opera che teoricamente se ne potrebbe sviluppare una messa in scena. Credo inoltre che sia il primo oratorio nel quale vengono utilizzati il concertino e il concerto grosso, e io dopo tanti anni che pratico questa musica mi sono preso delle libertà, pensando ai musicisti che lo eseguirono per la prima volta, fra i quali figurano i nomi di Corelli e di Lonati. Dunque ho preso dei movimenti dalle sonate a tre di questi autori rielaborandoli nella struttura del concerto grosso e li ho introdotti fra le diverse scene dell’oratorio, quasi a volerle commentare. Inoltre sapendo che questi oratori romani erano sempre divisi in due parti e che la pausa fra le due serviva al predicatore per il suo sermone, ho chiesto ad Angela Romagnoli di individuarne uno su questo argomento che inseriremo, tradotto in tedesco, nel mezzo della sua esecuzione».

La competizione vocale intitolata a Cesti che ogni anno conclude il Festival serve a selezionare giovani interpreti per un’opera che viene poi allestita nella successiva edizione. Quest’anno l’Octavia di Reinhard Keiser...

«Vale la pensa fare il concorso perché prendiamo comunque in considerazione anche chi non ha vinto, se riteniamo che siano voci adatte ai ruoli richiesti dall’allestimento di un’opera. Keiser è stato un compositore importante, anche se non è molto noto. Si tratta di musica stilisticamente a cavallo tra Sei e Settecento scritta con grande maestria. Ad Amburgo Keiser disponeva di una grande e ottima orchestra, e poteva sperimentare, come ad esempio nella scrittura di un’aria accompagnata da cinque fagotti. Il giovane Handel suonava in quell’orchestra, e ha ascoltato molte opere di Keiser, portandosi poi via un baule con le sue musiche alle quali ha attinto per tutta la vita. Chi ascolterà Octavia riconoscerà almeno cinque o sei arie di cui poi si è abbondantemente servito Handel…».

E la competizione di quest’anno a cosa mira?

«Tra i pezzi d’obbligo ci sono arie da Gli amori d’Apollo e di Dafne di Cavalli, che verrà messa in scena nel 2018. Anche quest’anno abbiamo almeno centro iscritti».

Di tutti gli autori presenti nel programma del festival, Reinhard Keiser (1674-1739) è forse uno dei nomi meno conosciuti, nonostante avesse studiato nella Thomasschule di Lipsia, ricevendo gli insegnamenti musicali dai predecessori di Johann Sebastian Bach, e fosse molto stimato dai suoi contemporanei, al punto che Mattheson lo definì enfaticamente "il più grande operista al mondo". Fra i diversi spettacoli distribuiti nell’arco del mese di agosto risalta un trittico costituito da brevi lavori che rappresentano un condensato del gusto francese per la danza. Si tratta di Pygmalion, acte de ballet di Jean Philippe Rameau, messo in scena a Parigi presso la Académie Royale de Musique nel 1748, che verrà eseguito da Les Talens Lyriques, l’ensemble diretto da Christophe Rousset, affiancato dal coro NovoCanto e dalla compagnia di danza Les Cavatines, assieme alla cantata del 1716 La Muse de l'Opera ou les caractères liriques di Louis‐Nicolas Clérambault, e alla fantasia Les Caractères de la Danse di Jean-Féry Rebel.

«La storia di Pygmalion – spiega Rousset – è quasi un pretesto, perché quando la statua che lui ama si anima, dà vita ad un ampio catalogo coreutico. Grazie al balletto di Rameau si capisce che cosa era la danza all’epoca, analogamente alla cantata di Clérambault sul piano degli aspetti stilistici e delle passioni espresse dell’opera francese dell’inizio del Settecento. Sebbene Rameau sia stato spesso criticato e contestato, Pygmalion ebbe un immediato successo e fu accolto come un gioiello, e pur essendo squisitamente francese, rivela un’influenza italiana. Inizia con una delle più belle ouverture, e nella fuga le note ribattute suggeriscono i colpi dello scalpello dello scultore sulla pietra. Il lamento iniziale si trasforma in gioia quando la statua si anima e rappresenta una apoteosi danzata del potere dell’amore. La coreografa Natalie van Parys esperta della danza storica ha creato un ponte fra l’estetica barocca, con i suoi costumi e la sua gestualità, e il nostro tempo, e lo spettacolo si concluderà con una danza moderna».

Il nome di Monteverdi figura spesso nel cartellone del Festival, che prevede anche l’esecuzione del Vespro della Beata Vergine da parte di Concerto Italiano diretto da Rinaldo Alessandrini, ma fra tanta musica barocca, rimanendo nell’ambito sacro, c’è un concerto dedicato alle composizioni di un manoscritto tardomedievale, il Codice di Faenza, proposto dall’ensemble Mala Punica diretto da Pedro Memelsdorff. Questo è il frutto di una complessa e approfondita ricerca che ha consentito di ricostruire alcune parti di messa che erano state cancellate dal frate carmelitano Johannes Bonadies per inserire nuove musiche nella raccolta manoscritta famosa per contenere alcune tra le più antiche composizioni strumentali a noi note.

Nel periodo iniziale del Festival, dal 18 luglio all’8 agosto, è previsto un solo concerto a settimana nel Salone spagnolo del Castello di Ambras, e poi dal 10 al 27 agosto la programmazione degli spettacoli diverrà quotidiana, coinvolgendo ulteriori luoghi, come il Duomo e altre chiese della città, il Landestheater, il Patio della Facoltà di Teologia, e infine il Conservatorio, dove cantanti provenienti da tutto il mondo si contenderanno primo, secondo e terzo posto del concorso, in base al verdetto della giuria, più un premio attribuito dal pubblico.

La foto di apertura del Pygmalion è di Stefan Gloede

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Articolo in collaborazione con Fondazione Busoni

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