Macerata guarda a Oriente

In prima assoluta un'opera di Boccadoro su Padre Matteo Ricci

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classica

“Oriente” è il titolo della Cinquantatreesima edizione del Macerata Opera Festival, dal 20 luglio al 14 agosto, con quattro titoli che in modi diversi sono rivolti all’esotico: Madama Butterfly e Turandot di Puccini, Aida di Verdi, e Shi (Si faccia) di Carlo Boccadoro, opera inaugurale commissionata dal Festival.

Oriente va a concludere il triennio tematico “Mappe dell’anima”voluto dal direttore artistico Francesco Micheli e iniziato nel 2015 con Nutrire l’anima, sul tema di Expo “Nutrire il Pianeta”, seguito nel 2016 da Mediterraneo, sul tema del dramma dei migranti nelle storie dei tre stranieri di Otello, Norma e Trovatore. Il festival è voluto dall’Associazione Arena Sferisterio, orgogliosa di chiudere dal 2012 i bilanci in pareggio; da due anni l’autofinanziamento (biglietteria, sponsorizzazioni e Art Bonus, con il progetto dei Cento Mecenati) supera con il 56% i contributi pubblici, che hanno visto una progressiva diminuzione della sovvenzione FUS e si attestano sul 44%.

Alla figura del gesuita padre Matteo Ricci, matematico e cartografo di origini maceratesi stabilitosi in Cina tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento, primo a creare un ponte culturale tra Occidente ed Oriente, è dedicata Shi, in prima esecuzione assoluta diretta dall’autore, al Teatro Lauro Rossi. Articolata in cinque scene, su libretto di Cecilia Ligorio che curerà anche la regia, l’opera prevede due voci di baritono (Matteo e il suo allievo, che saranno Roberto Abbondanza e Bruno Taddia) e una voce recitante (il narratore, Simone Tangolo), accompagnati da due pianoforti e un ensemble di percussioni. Scene, costumi e luci sono ideati e realizzati dall’Accademia di Belle Arti di Macerata.

Ce ne parla lo stesso autore:

«Il titolo Shi, che significa “si faccia”- spiega Carlo Boccadoro- si riferisce alle parole pronunciate dall’imperatore alla morte di Matteo, e sono anche quelle che concludono l’opera: l’imperatore acconsente alla sepoltura del monaco nella Città Proibita, fatto che non era mai accaduto a nessuno prima di allora, come riconoscimento dell’importanza del suo operato. La vicenda inizia con la partenza di Matteo da Macerata; dopo il lunghissimo viaggio troverà un paese “sigillato”, secondo le su stesse parole, impenetrabile agli occidentali, e soltanto con la sua intelligenza e cultura riuscirà a conquistarsi la fiducia dell’imperatore che gli offrirà perfino di incontrarlo, senza però mai presentarsi all’appuntamento. Non c’è nell’opera un vero e proprio dramma, si tratta invece di un lavoro per così dire astratto, fondato sulle idee; non amo quindi parlare di opera lirica, ma piuttosto genericamente di “teatro musicale”, per sottolineare l’assenza di richiami nostalgici alle opere convenzionali».

L’ambientazione esotica dell’opera è resa attraverso ricerche linguistiche o timbriche?

«Non ci sono “cineserie” né effetti cartolina, l’esotismo che viene evocato non strizza l’occhio al pubblico perché sono convinto che gli ascoltatori non abbiano bisogno di banalità. Non si tratta neppure però di un’opera d’avanguardia o di retroguardia di arduo ascolto e di difficile comunicabilità, a cominciare dalle linee melodiche che seguono il testo e la flessione delle voci, senza balzare dal registro acuto a quello grave e viceversa. Il linguaggio è quindi astrattamente armonico, non rumoristico. Se ci sono citazioni, si riferiscono al gregoriano: nei momenti in cui Matteo prega cito dei frammenti del Laudario di Cortona, perché sarebbe stato poco sensato “imitare” questo repertorio».

Nella scelta dell’organico è stato orientato dall’Associazione Arena Sferisterio?

«Tutt’altro: l’Associazione mi aveva generosamente offerto l’orchestra, ma ho optato per un piccolo ensemble, scegliendo io stesso gli interpreti, voci e strumenti, e “cucendo” la musica su di loro, sulle loro peculiarità tecniche. La figura di Matteo in realtà si scompone in tutti e tre i personaggi, i due baritoni che interpretano il monaco e il suo adepto, e la voce narrante che legge le sue lettere. L’ensemble strumentale accanto ai due pianoforti prevede un ricchissimo gruppo di percussioni, che non hanno mai un ruolo assordante e chiassoso ma creano piuttosto un supporto discreto e delicato».

Gli altri titoli del festival nascono da coproduzioni: con il Teatro Nazionale Croato di Zagabria per Turandot, il Massimo di Palermo per Butterfly e il Comunale di Bologna per Aida. Nei cast spiccano alcune voci già note ed apprezzate allo Sferisterio, tra cui Maria Josè Siri nel ruolo di Cho Cho-san e Sonia Ganassi in quello di Amneris. Debuttano invece nel grande teatro all’aperto Maria Pia Piscitelli nel ruolo di Aida e Irene Theorin in quello della principessa Turandot. Attesa anche per la regia di Gianni Forte e Stefano Ricci, giovane duo che ha prodotto lavori originali e dissacranti nel teatro d’avanguardia, e che a Macerata esordisce nella regia d’opera con Turandot. La presenza di giovani artisti, la sperimentazione, la rilettura di capolavori di repertorio in chiave contemporanea, sempre attenta alle grandi problematiche del mondo di oggi e di quelle giovanili sono anche per questa edizione la cifra della direzione artistica di Micheli.

Il tema dell’Oriente e del viaggio sarà quello centrale anche per il Festival Off, ricchissimo di appuntamenti tra i quali mostre di fotografie sul tema dell’Oriente, conferenze e incontri sull’opera cinese e sui rapporti culturali tra Oriente e Occidente, in sinergia con l’Istituto Confucio e l’Università di Pechino. Il 3 agosto la consueta “Notte dell’opera”, in collaborazione tra Comune, Istituto Confucio, Confcommercio, associazioni culturali e dei commercianti maceratesi, che trasformerà la città in un grande palcoscenico con allestimenti e spettacoli di tematica orientale a cura dell’Accademia di Belle Arti.

Nella foto d'apertura, un bozzetto per Turandot.

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Articolo in collaborazione con Fondazione Busoni

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