Beat Furrer è la base su cui poggia il Klangforum Wien. Fondatore, direttore d'orchestra, compositore, mentore e semplicemente compagno di viaggio, ha tracciato più volte la rotta del Klangforum Wien”: parola di Peter Paul Kainrath, direttore artistico del Klangforum Wien, che in occasione del settantesimo compleanno di Beat Furrer presenta FURRER 70. Si tratta di sei CD con 18 lavori chiave del compositore registrati con i “suoi musicisti” che lui stesso ha diretto con l’obiettivo di creare standard senza tempo per l’interpretazione delle sue opere. L’antologia comprende Nuun (1995), Concerto per violino e orchestra (2020), Concerto per clarinetto (2019), Concerto per pianoforte ed ensemble (2008), spur (1998), Retour an Dich (1986), apoklisis (2004), cold and calm and moving (1992), in mia vita da vuolp (2019), La bianca notte (2013), invocazione VI (2003), Spazio immergente III (2019), Xenos III (2010/2013), linea dell'orizzonte (2012), intorno al bianco (2016), Gaspra (1988), à un moment de terre perdue (1990) e Begehren (2001/2003).
Oltre alla musica, il cofanetto multimediale – disponibile in copie limitate e di alta qualità per i collezionisti ma anche online su furrer70.klangforum.at – propone anche tre film e due libri. I tre documenti filmati permettono di conoscere le fonti di ispirazione di Beat Furrer e il suo mondo creativo: durante un'escursione nella Gesäuse o nella sua “stanza di composizione”, possiamo seguire il flusso dei suoi pensieri e del suo lavoro nel tempo. Inoltre, in un dibattito con i membri fondatori del Klangforum Wien, vengono passati in rassegna i molti anni di collaborazione con l'ensemble e viene illustrata la posizione di Furrer come compositore. Nei “libro di musica”, invece, sono raccolti saggi e testo introduttivi sulle composizioni selezionate nei sei CD, mentre nel “libro di libri” si penetra nella biblioteca personale di Beat Furrer, attraverso un catalogo completo dei suoi volumi con brevi commenti del compositore sui libri che hanno segnato la sua vita fino ad oggi, ma anche sui suoi luoghi di residenza abituali.
Alla vigilia della diffusione di FURRER 70, ne abbiamo parlato con il compositore e direttore d’orchestra Beat Furrer.
I sei CD contenuti di FURRER 70 presentano una vasta selezione delle sue composizioni e coprono un arco creativo molto vasto, da Retour and Dich del 1986 al Concerto for Violin and Ensemble del 2020. Nonostante le oltre 6 ore di registrazioni, restano fuori molti dei suoi lavori.
Non era mai il nostro obiettivo, cioè mio e quello del Klangforum Wien come iniziatore e produttore di questo progetto multimediale, puntare su una soluzione vasta di miei lavori. Invece, mi è stato chiesto di scegliere quelle che hanno marcato in modo significativo il mio percorso di compositore. La scelta delle composizioni potrebbe essere paragonata anche ad una forma di biografia “compositiva”, che si materializza in lavori musicali. Tutte le composizioni scelte hanno un prima ed un dopo ed ovviamente ci sono anche spunti – espressi o inespressi – che si legano con le mie composizioni per orchestra e il mio teatro musicale. Volendo si potrebbero vedere queste 18 composizioni come delle sinapsi lungo il mio percorso di compositore.
Una parte significativa del suo catalogo riguarda proprio il teatro musicale. Cosa ritiene rappresenti meglio il suo profilo di compositore?
C’è stata una evoluzione, ovviamente. Quando ho cominciato a comporre, la mia era soprattutto una ricerca sulle forme e non parlo di forme fisse e chiuse. La mia era una ricerca libera e orientata a pensare il suono oltre i parametri. Mi proponevo di insieme oggetti molto diversi senza ricorrere a forme paradigmatiche. Nelle prime fasi della mia carriera, era comunque la forma al centro dei miei interessi, tipi diversi di forme aperte. Il teatro musicale è arrivato più tardi ma non troppo: il mio primo lavoro per il teatro musicale, Die Blinden (I ciechi) è del 1989. Fu commissionato da Claudio Abbado, allora direttore musicale alla Staatsoper di Vienna. Qualche anno dopo, nel 1994, è arrivato Narcissus da Ovidio per l’Opera di Graz. E così è cresciuto il mio interesse per la voce ed è cambiato il punto focale del mio lavoro di compositore: ho rivolto la mia ricerca alle voci “parlate” nelle loro qualità sonore e alla possibilità di creare risonanze particolari, come con gli strumenti. Xenos III, che è incluso nel cofanetto in una nuova registrazione con il Klangforum Wien, è nato dall’analisi della voce anche con mezzi elettronici e quindi dalla ricomposizione per strumenti di quelle componenti.
Beat Furrer, Xenos III (2013)
Cosa rappresenta per lei comporre per il teatro musicale? È una sintesi di diversi elementi del suo comporre? O cos’altro?
Per me non è molto diverso dal comporre musica da camera, ad esempio. Il mio impegno nel teatro musicale ha aiutato a sviluppare la mia riflessione sulla musica da camera o su altre forme. La consapevolezza che ogni elemento – voci e strumenti – svolge un ruolo nella narrazione è molto importante, così come l’idea che la musica deve creare un equilibrio fra suono e significato. Il suono in sé diventa anche veicolo di narrazione. Questa riflessione ha naturalmente esercitato una grande influenza anche sulla mia musica strumentale. Nelle mie composizioni strumentali si trovano indicazioni metaforiche come “gridare” o “sussurrare” che fanno chiaramente riferimento alla voce. In realtà, credo che la nostra percezione della musica sia una percezione fisica, cioè tutto il nostro corpo ascolta.
Nel suo teatro musicale colpisce la varietà di fonti: Maurice Maeterlinck per Die Blinden, Ovidio per Narcissus, ma anche Dino Campana per La bianca notte o Vladimir Sorokin per Violetter Schnee (Neve violetta), la sua opera più recente. Non a caso in uno dei due volumi contenuti nel cofanetto per il suo 70° compleanno si trova un catalogo della sua vastissima biblioteca, che raccoglie volumi (e stimoli) estremamente diversi. Come sceglie le fonti per i suoi lavori per il teatro musicale?
Molti dei libri della mia biblioteca sono il prodotto delle mie ricerche, di quando mi metto al lavoro su una nuova composizione. In genere, leggo molte cose diverse per penetrare nel soggetto ma anche per cercare la fonte più adatta una volta che è stato scelto un tema per un certo lavoro. Ho appena finito di comporre un’opera per l’Opernhaus di Zurigo, che debutterà il prossimo 25 marzo con la mia direzione: Das grosse Feuer (Il grande fuoco). Anche questo mio nuovo lavoro ha richiesto molti anni di ricerche. La fonte è il romanzo Eisejuaz del 1971 della scrittrice argentina Sara Gallardo, morta nel 1988. Quel suo libro nasce dal suo incontro con una specie di santone di nome Eisejuaz, che viveva nelle foreste nel nord dell'Argentina. Gallardo lo incontrò mentre stava studiando le condizioni di vita della tribù indigena dei Wichi. Eisejuaz era sfuggito a condizioni estreme, alla fame e all’indigenza, lavorando come tagliatore di legna in una fabbrica di Salta e alla fine era tornato nella sua terra dove viveva come un marginale, uno straniero nella sua stessa terra.
Beat Furrer, Violetter Schnee
(Staatsoper Berlin, 2020)
Foreste e natura: nel secondo dei due libri del cofanetto ci sono le foto delle sue case, tutte immerse nella natura delle Alpi austriache. Cosa significa per lei natura?
La natura per me non è una fuga ma piuttosto un’esposizione verso gli altri. Stare immerso nella natura è anche un modo per concentrarmi e focalizzarmi sul mio lavoro grazie al silenzio, silenzio relativo perché c’è il rumore del fiume, degli alberi e centinaia di animali attorno a casa. Per me è esporsi a qualcosa con cui sono in connessione. C’è una bellissima frase di Pitagora, che ho anche utilizzato nella mia composizione akusmata, che dice: se il vento soffia, apprezzane il suono. Vuol essere un invito a ascoltare e a capire cosa sentiamo. Sempre di più avverto la necessità di capire la natura in modo diverso, come qualcosa che è parte di me stesso. Non si tratta di manipolare la natura: noi stessi siamo la natura e, credo, questo è il problema che dobbiamo affrontare oggi con i grandi temi ambientali. Non riusciamo a gestire il cambiamento climatico, perché pensiamo sempre che potremo trovare una soluzione all’ultimo momento grazie alla tecnologia. Ovviamente non funziona così, perché non abbiamo ancora capito che ne siamo parte e non siamo autonomi. Per me è qualcosa importante da capire e, per quanto mi riguarda, è anche collegato alla produzione della musica.
Curiosando fra gli scaffali della sua biblioteca si trovano I libri di Theodor Adorno, che lei definisce come “ancora un importante compagno” e i cui libri “si annoverano fra i più grandi testi della grande arte oggi”. In particolare, lei indica le sue acute descrizioni della musica di Mahler e della seconda scuola di Vienna fra le più illuminanti. La cito: “riuscì nella rara impresa di trovare le parole giuste per caratterizzare la natura della Seconda Scuola di Vienna”. Perché lo considera davvero un così importante compagno?
Adorno è importante sotto molti aspetti, come, da giovane, per la mia formazione sono state importanti entrambe le scuole di Vienna. Adorno è stato forse l’unico che è riuscito a descrivere in maniera molto precisa la musica di Anton Webern o di Alban Berg, per citare solo due nomi. In più, nella sua analisi non è per nulla ideologico: il suo è il modo di parlare di qualcuno che capisce profondamente ciò che sta ascoltando, perché egli stesso era un musicista.
Perché è così importante trovare le parole per descrivere la musica?
Trovare un linguaggio che descriva ciò che sto facendo è per me necessario per aprirmi ad altre possibilità. Il mio lavoro di compositore consiste, innanzitutto, nel pensare in termini di suoni. Solo dopo la parola acquista importanza per riflettere e per definire quali possibilità sono escluse, in che modo posso rivolgermi a certe forme, su quali possibilità concentrare la mia attenzione. Per tutto questo il linguaggio diventa sempre più rilevante, diventa uno strumento del mio pensiero, del mio pensare alla musica. Credo sia importante per un compositore porsi delle domande come: sono andato abbastanza lontano? Perché sono partito da qua? Potevo iniziare da prima? Devo andare ancora oltre?
Da dove inizia per lei il percorso che si sviluppa in una composizione?
Comporre non è solo seguire un’idea, come molti pensano. Al contrario, ci sono molte idee all’inizio di una nuova composizione. C'è un’intera collezione di idee e di suoni, che trascrivo. Possono essere sequenze lunghe o brevi, possono essere melodie oppure strutture armoniche, ma anche rumori. La composizione stessa consiste nel vedere quali sono le possibilità che provengono da queste collezioni di idee in uno spazio sonoro di strumenti scelti: orchestra, quartetto d’archi o piano solo ecc.
Torniamo alla Seconda Scuola di Vienna: sente un legame di discendenza?
Oltre alla fascinazione per la musica di Alban Berg e di tutti gli altri, mi unisce la coscienza che non si sta creando dal nulla. Apparteniamo a una certa tradizione che inizia prima di noi: questa specie di memoria culturale è importante anche per me come anche nei compositori della Scuola di Vienna. È la coscienza che si costruisce su qualcosa. Il cosiddetto "nuovo", cioè, non è nuovo in senso tecnologico ma si basa sempre su qualcosa che è stato costruito prima o sulla memoria. Detto questo, dal punto di vista dell’ispirazione musicale, la Scuola di Vienna era ed è importante per me ma lo è anche la musica del Rinascimento o anche le musiche tradizionali, non europee.
Lei è stato uno dei fondatori del Klangforum Wien nel 1985: era necessario in una città così ricca di musica come Vienna?
Vienna è una città musicalmente davvero molto ricca. È un aspetto meraviglioso di questa città ed è il motivo principale per il quale decisi di lasciare la Svizzera, dove sono nato, per stabilirmici a metà degli anni Settanta e restarci fino a oggi. A metà degli anni Settanta c’era ancora una tradizione molto pesante ma la musica era qualcosa di molto importante anche sul piano sociale. La situazione allora era molto polarizzata fra modernisti e tradizionalisti. Per quanto riguarda la mia formazione, a Vienna ho avuto la fortuna di studiare composizione con Roman Haubenstock-Ramati, una personalità molto importante per me. Non era per niente ideologico: il suo modo di pensare alla musica fu per me “rinfrescante” perché riusciva a connettere sempre aspetti anche molto lontani. Parlava di arte, di politica, di tutto. Ramati mi ha aperto molte prospettive.
Detto questo, nonostante la ricchezza della vita musicale viennese, alcune musiche non venivano mai eseguite: oggi non riusciamo nemmeno a immaginarcelo ma persino eseguire Messiaen al Musikverein fece scandalo. Non venivano mai eseguiti compositori come Luigi Nono, una figura molto importante per me, Edgar Varèse, Helmut Lachenmann, Morton Feldman o Iannis Xenakis. Era necessario creare un nuovo ensemble per riempire questo vuoto, lavorare con questa musica.
Come fu accolta l’iniziativa?
L’inizio non è stato facile. Ogni volta che chiedevo finanziamenti agli amministratori, mi sentivo rispondere: “abbiamo fin troppi ensemble a Vienna, non abbiamo bisogno di uno nuovo”. E io ribattevo che c'era bisogno del Klangforum perché a Vienna esistevano molte possibilità di rinnovare la musica contemporanea. A Vienna allora c’era il die reihe ensemble fondato da Friedrich Cerha e Kurt Schwertsik, ma Cerha lasciò proprio in quegli anni e quindi si aprì uno spazio per fondare un ensemble più giovane.
Friedrich Cerha, Relazioni Fragili
Ensemble die reihe - Friedrich Cerha
(Wiener Konzerthaus, 1960)
Perché è speciale il Klangforum Wien?
Sì, lo è. Durante le sessioni di registrazione dei sei CD del cofanetto dallo scorso dicembre, ho davvero apprezzato moltissimo il lavoro con loro. Ancora oggi nel gruppo c'è entusiasmo e curiosità e soprattutto c’è l’ascoltarsi reciproco, un aspetto che rende questo complesso molto omogeneo. Questa curosità rende il Klangforum molto specifico ensemble con un suono molto specifico. È una cultura del suono, direi, e non si tratta di semplicemente di tecnica.
Come si è sviluppato il suo rapporto con il Klangforum?
C'è stata ovviamente un’evoluzione. Sono stato uno dei fondatori ma a un certo punto a metà degli anni ’90 dovetti decidere di lasciare l’organizzazione per concentrarmi sul mio lavoro di compositore. I miei rapporti con loro però sono rimasti. Abbiamo una lunga consuetudine e continuiamo a provare insieme e, anche se ci conosciamo bene e loro conoscono bene, la nostra collaborazione è sempre un’avventura nuova, completamente diversa da quarant'anni fa.
Cosa apporta la sua collaborazione con il Klangforum al suo lavoro di compositore?
Ho imparato moltissime cose da loro e forse anche loro hanno appreso qualcosa da me. La relazione con il Klangforum è stata molto feconda per me come compositore: dopo la scrittura, ho sempre avuto la possibilità di provare i miei lavori e di verificare se la mia idea funzionasse e come si poteva sviluppare. Non si tratta solo di prima esecuzione e poi magari più niente. La possibilità di esplorare tutte le possibilità di una composizione è quello di cui la musica ha bisogno.
Dopo questo importante progetto con il Klangforum cosa c’è nel prossimo futuro di Beat Furrer?
C’è la mia nuova opera che debutta a Zurigo in marzo, come ho già detto. E poi ho appena terminato un concerto per pianoforte composto per Francesco Piemontesi e commissionato dal Bayerische Rundfunk, dall’Orchestra della Suisse Romande e da un’orchestra americana. Ho anche in programma una composizione per la Symphonieorchester di Berna, probabilmente un triplo concerto, e un’altra composizione per l'Ensemble Nickel con orchestra. Con il Klangforum Wien non abbiamo progetti concreti per il momento ma sono certo avremo ancora molta strada da percorrere insieme.