L’imprinting Carlo Fontana l’ha avuto a cinque anni con La Valchiria diretta da Furtwängler alla Scala, da allora la sua vita è stata segnata dal teatro, al Piccolo Teatro di Milano, al Comunale di Bologna, alla Scala, al Regio di Parma. E ora ripercorre anche gli altri momenti della sua vita professionale, dagli esordi come critico teatrale de "L'Avanti!" alla direzione della Fonit Cetra, alla recente presidenza dell’Agis, in Sarà l'avventura (Il Saggiatore 2023, euro 27), alternando ricordi, ritratti, entusiasmi, delusioni, scontri drammatici e togliendosi di tanto in tanto qualche sassolino dalla scarpa. Ma sempre con distacco, quasi parlasse di sé in terza persona, ed è questo equilibrio che avvalora le sue prese di posizione. Inoltre, non rispettando sempre l'ordine cronologico, spesso procede per associazioni libere che rendono gradevole la lettura.
Posizione di rilievo ha naturalmente Paolo Grassi, che Fontana riconosce come un maestro per la capacità di gestire le faccende più complicate unita a una esemplare rettitudine professionale, ma anche Riccardo Muti. Per quanto trattata con garbo, la cronaca della loro convivenza alla Scala, che dall'iniziale collaborazione via via si deteriora, dà l'impressione di osservare dal buco della serratura quanto avviene negli uffici di via Filodrammatici, in Comune, negli uffici della Fininvest, nei luoghi deputati alle congiure e ai pettegolezzi. Fontana ricorda giustamente con orgoglio d'aver favorito il rinnovamento delle esecuzioni verdiane portato da Muti e, dal punto di vista organizzativo, considera un fiore all'occhiello la gestione del difficile trasloco dell'apparato scaligero al Teatro Arcimboldi durante i lavori di ristrutturazione del Piermarini.
Un'impresa mastodontica, il cui esito col senno di poi ha del miracoloso per essere arrivata a buon fine in solo due anni. Accanto alle visioni d'insieme, come il difficile parto della Fondazione Scala che ne ha semplificato la gestione, ci sono anche le piccole inquadrature che ricreano la vita dietro le quinte. Carlos Kleiber che dopo aver diretto il secondo atto del Tristano, scopre che il sovrintendente Badini non era in teatro ma era rimasto a guardare il pugilato alla televisione. La stecca di Pavarotti nel Don Carlo con la regia di Zeffirelli e la successiva rottura fra il regista e Muti. E ancora il Maestro che il 7 dicembre si rifiuta di dirigere l'Inno di Mameli prima di attaccare il Fidelio, nonostante il presidente Ciampi sia sul palco centrale. O il timore del direttore d'orchestra che il sovrintendente voglia portare a Milano Chailly, con cui aveva condiviso sei fortunate stagioni a Bologna.
Il resto è cronaca pubblica. Fontana che si arrende e dà le dimissioni e viene sostituito da Mauro Meli, tuttavia di breve durata, come del resto lo stesso Muti impallinato dal referendum indetto fra i lavoratori del Piemarini (orchestrali, coristi, maschere, scenografi, ecc.), con settecento voti contro, due a favore e tre astenuti.