«Bruno Cagli ha fatto di Gioachino Rossini un vero e proprio progetto culturale, basato non solo sulla conservazione ma anche sulla valorizzazione». Sono le parole con cui Michele Dall’Ongaro, presidente-sovrintendente dell’Accademia di Santa Cecilia, ha introdotto venerdì scorso la presentazione di un volume – Dolci inganni, soavi catene. Antologia di saggi rossiniani 1971-2012 (Accademia Nazionale di Santa Cecilia 2021, 876 pp.) – che testimonia in ogni pagina la dedizione del musicologo umbro nei confronti del musicista pesarese, avvalendosi costantemente di una scrittura di elevata qualità, mai pedante bensì sempre ricca di immagini e di inventiva, tali da conquistare anche il lettore non specializzato. Cagli, originario di Narni e scomparso a Roma nel 2018 all’età di ottantuno anni, è stato presidente dell’Accademia di Santa Cecilia dal 1990 al 1999 e poi dal 2003 al 2015. Ma ha legato il suo nome – oltre che ad altre importanti istituzioni italiane, quali il Teatro dell’Opera di Roma, l’Accademia Filarmonica Romana e a svariati festival di cui è stato instancabile promotore – alla Fondazione Rossini di Pesaro, di cui è stato direttore artistico dal 1971 al 2010.
Pubblicato dalla stessa Accademia di Santa Cecilia (che ha fatto un accordo editoriale di distribuzione con la Curci di Milano), l’ampio volume è stato curato da Annalisa Bini, alla quale abbiamo chiesto, prima ancora di addentrarci nei contenuti, se esso sia destinato a un pubblico altamente specializzato oppure piuttosto sia fruibile da tutti.
«I testi raccolti provengono soprattutto da programmi di sala. Quello di Cagli è, pur restando in un ambito di alta divulgazione, un linguaggio decisamente accessibile, assai scorrevole, egli evitava uno stile eccessivamente dotto, la sua militanza nella critica musicale gli rendeva chiaro l’obiettivo di farsi innanzitutto capire dal lettore. Unica cosa in cui indulgeva erano latinismi e francesismi, lo faceva però anche nel parlare, era una sua cifra distintiva, consideriamo che padroneggiava entrambe le lingue, aveva compiuto studi classici e aveva grandissima familiarità col francese, di cui conosceva tutti i meandri della letteratura. Detto questo il volume resta sempre comprensibilissimo e piuttosto accattivante da leggere».
Parliamo ora dei contenuti ma anche di come nasce l’idea di questo volume.
«Possiamo dire che nasce da un’idea dello stesso Cagli. Una volta ritiratosi dalla presidenza dell’Accademia di Santa Cecilia, nel 2015, egli si mise un po’ a riprendere in mano le fila della propria produzione intellettuale, una produzione che guardava in realtà a molti campi della cultura. Per esempio vorrei ricordare che era anche un drammaturgo, aveva pubblicato in diverse occasioni per il teatro, i suoi testi sono già stati raccolti e pubblicati nel 2014. Fui comunque anche io all’epoca a sollecitarlo a raccogliere i suoi scritti, non aveva mai lavorato a una monografia su Rossini ma abbiamo potuto ricostruire che l’aveva in mente, un progetto da realizzare insieme a Philip Gosset evidentemente mai andato in porto. Abbiamo ritrovato persino una serie di scritti inediti di questo lavoro a quattro mani, scritti che tuttavia erano a uno stadio talmente frammentario da non renderne possibile l’inclusione in questo volume. Peccato perché il progetto che i due stavano preparando risale alla fine degli anni ’80, inizio anni ’90, anche in vista del famoso bicentenario della nascita del musicista pesarese, ma poi la direzione artistica a Santa Cecilia – alla cui presidenza fu eletto nel ’90 – non lasciò a Cagli molti margini di tempo per dedicarsi ulteriormente a questa monografia. Resta comunque la mole di scritti rossiniani che egli ha prodotto durante la sua vita, abbiamo fatto un conto e si tratta di circa centosettanta testi, ovviamente molto diversi tra di loro anche per mole. Si è reso dunque necessario un riordino di questo materiale, per poter operare delle scelte: si consideri che su alcuni titoli di Rossini Cagli era arrivato a scrivere dieci o undici programmi di sala, naturale che vi siano delle somiglianze ma in alcuni casi vi sono delle vere e proprie evoluzioni del pensiero».
«…si consideri che su alcuni titoli di Rossini Cagli era arrivato a scrivere dieci o undici programmi di sala, naturale che vi siano delle somiglianze ma in alcuni casi vi sono delle vere e proprie evoluzioni del pensiero».
«Questo riordino è iniziato per mano dello stesso autore, che decise per esempio di escludere i testi già apparsi sul Bollettino del Centro Rossiniano di Studi, in quanto già facilmente consultabili. Mentre, parlando dei programmi di sala, ve ne sono molti che difficilmente sarebbero stati reperibili, con contenuti che andavano ben oltre una possibile idea di letteratura ‘effimera’, in Italia il valore del programma di sala è testimoniato anche dai pregevoli testi di autori come D’Amico, Confalonieri, Mila, Pestelli, ecc.»
Quale può essere la finalità nel raccogliere questi programmi di sala?
«Il senso di riunire questi scritti è duplice: certo quello di rendere omaggio a uno dei maggiori studiosi, uno dei più interessanti intellettuali italiani del Novecento, ma naturalmente anche quello di mettere a disposizione delle future generazioni di studiosi il lavoro di uno dei protagonisti della Rossini Renaissance, per poter scoprire i prodromi e le basi su cui si è sviluppata la riscoperta integrale della produzione del pesarese da parte dello stesso Cagli, oltre che di figure come Philip Gosset e Alberto Zedda.Tra di loro erano certo molto diversi come estrazione, visto che la formazione di Gosset era di tipo più accademico mentre Zedda era direttore d’orchestra, quindi uomo di palcoscenico. Merita però ricordare che Cagli resta un personaggio alquanto poliedrico: poligrafo, scrive testi teatrali, è docente, fa il direttore artistico, ecc. Soprattutto a Pesaro ha impostato un’attività della Fondazione basata sia sulla conservazione del patrimonio musicale sia sulla sua concreta riproposizione, in sostanza ha inventato un format ripreso poi da diverse altre analoghe istituzioni (si pensi alla Fondazione Donizetti). La Fondazione Rossini ha contemporaneamente sviluppato diverse funzioni – di archivio, di centro di ricerca, di promozione delle edizioni critiche – ma sempre in tandem col Rossini Opera Festival, dove tutto quello che andava in scena era frutto dell’attività della stessa Fondazione, mentre l’esperienza degli allestimenti dava preziose indicazioni per le edizioni critiche, che in genere uscivano almeno dopo un paio d’anni dalle rappresentazioni».
In che ordine sono presentati i saggi di Cagli all’interno del volume?
«La suddivisione è sostanzialmente temporale. Nella sezione che ho denominato ‘gli esordi’ purtroppo constatiamo l’assenza della tesi di laurea di Cagli, che si laureò alla Sapienza nel 1961 con Luigi Ronga e Giovanni Macchia (rispettivamente relatore e correlatore), affrontando il Rossini autore di opere ‘serie’. Viceversa è presente l’articolo che uscì nel ’72 su Paese Sera, in cui Cagli recensiva il “Mosé” andato in scena all’Opera di Roma (nel cast Boris Christoff, regia di Sandro Bolchi), articolo che gli valse la convocazione a Pesaro da parte di Wolframo Pierangeli, Presidente della Fondazione Rossini. Da quell’incontro scaturì per Cagli la direzione del Bollettino del Centro Rossiniano di Studi e la direzione artistica della Fondazione, che poi ha mantenuto per quattro decenni. Segue poi una sezione riguardante “Rossini e il suo tempo”, dove ci sono diversi scritti apparsi su cataloghi di mostre, non facili da trovare, che appunto sottolineano il legame del musicista al luogo dove si svolgeva la mostra (Napoli, Firenze, ecc.). In alcuni di questi Cagli approfondisce il tema della forma nella produzione rossiniana, come nel caso della farsa. Nella sezione “Il teatro di Rossini” ci sono tutti e ventotto i titoli su cui egli ebbe modo di scrivere e per cinque di loro ho ritenuto opportuno presentare addirittura due contributi. Chiudono il volume “Alia rossiniana”, una miscellanea di scritti biografici e su altri aspetti del pesarese, e un capitolo intitolato “Rossini e…” con quattro testi sui rapporti tra Rossini e altri personaggi, coevi e posteriori: molto interessante quello su come Respighi ha rivisitato la sua musica, ma anche quelli che riguardano De Chirico e Bacchelli, autore quest’ultimo di una monografia rossiniana che Cagli esamina con estrema competenza».
Forse è banale chiederlo: ma alla fine questo volume ci dice di più su Rossini o su Cagli?
«Domanda tutt’altro che banale, la cosa interessante è che vengono fuori tutte e due le figure quasi in maniera paritetica, talmente importante è il lavoro che Cagli fece su Rossini, ridefinendolo in modo assai diverso rispetto a come era stato considerato in passato. Emerge persino qualche affinità tra i due: l’aristocratica riservatezza, quella sorta di diffidenza verso un’idea di modernità che non lo convinceva del tutto, un po’ di sana precauzione verso il prossimo compensata però da grande lealtà e generosità verso gli amici».