Allestita dalla Fondazione Palazzo Magnani, la mostra Kandinsky–>Cage. Musica e spirituale nell’arte – inaugurata nello scorso mese di novembre e la cui apertura è stata prorogata fino al prossimo 18 marzo – si presenta come l’ennesimo tassello di un mosaico più ampio che compone l’anima contemporanea di Reggio Emilia.
La città emiliana infatti manifesta da anni una sensibilità particolare nei confronti delle forme d’arte del nostro tempo, espressa in differenti manifestazioni che animano la vita culturale reggiana (si pensi, per esempio, al festival internazionale Fotografia Europea che ad aprile inaugurerà la sua dodicesima edizione). In ambito musicale, in particolare, il Festival Aperto, promosso dalla fondazione I Teatri, rappresenta ormai da tempo un appuntamento nel quale si miscelano tendenze e stili del panorama attuale proponendo, in occasione dell’ultima edizione, tra le altre cose esempi di teatro musicale come la prima assoluta di Haye: Le parole, la notte, con musica di Mauro Montalbetti e libretto di Alessandro Leogrande (scrittore e giornalista, quest’ultimo, prematuramente scomparso lo scorso 26 novembre), incontri con storiche formazioni del jazz statunitense come l’Art Ensemble of Chicago, protagonista di un concerto dove Roscoe Mitchell, Don Moye e i nuovi componenti del gruppo sono riusciti a rievocare il fascino delle loro peregrinazioni improvvisative, o ancora la materia sonora “concreta” di Symphony Device del collettivo Tempo Reale.
In questo quadro appare significativo che proprio il giorno di chiusura del Festival Aperto, l’11 novembre dello scorso anno, sia stata la data di inaugurazione della mostra Kandinsky–>Cage, concomitanza che ha trovato un’ideale passaggio del testimone tra le due iniziative nel concerto del duo pianistico formato da Emanuele Arciuli e Andrea Rebaudengo intitolato Il suono del colore. Intorno a Kandinskij. Un filo conduttore, quello che intreccia arte e musica, che abbiamo ritrovato visitando la mostra, seguendone l’interessante tracciato che delinea il suo originale percorso espositivo. Curata da Martina Mazzotta, l’esposizione propone un viaggio che condensa il rapporto tra musica e arte accompagnando il visitatore in quel periodo storico ricco di fermenti e tensioni creative che è rappresentato dal passaggio tra Ottocento e Novecento, concentrando il focus concettuale dell’allestimento su un ideale tratteggio di rimanti che portano “dall’astrattismo spirituale di Wassily Kandinsky al silenzio illuminato di John Cage”.
«La dimensione che qui s’intende esplorare – annota la stessa Mazzotta nel suo intervento sul catalogo della mostra – è quella che rientra nell’ambito dello spirituale. Il contesto è quello di una mostra d’arte […] dove la musica si “rappresenta” attraverso dipinti, grafiche, bozzetti che illustrano scene in cui essa viene eseguita e ascoltata, attraverso varie forme di scrittura musicale, ma soprattutto attraverso gli esempi dei modelli che la pittura, la scultura, il teatro e il cinema hanno desunto da essa. Il tutto in un rapporto di mutuo e fecondissimo scambio, ma anche in un chimerico gioco di incontri/scontri, consonanze/dissonanze».
Così, le prime tappe del percorso espositivo ci introducono nel mondo di Richard Wagner attraverso bozzetti di sue opere custodite dall’Archivio Ricordi di Milano, passando poi per la “Fantasia di Brahms” di Max Klinger e una serie di “Lubok”, stampe popolari russe ottocentesche fonti di ispirazione per la cultura artistica successiva. Ricca di suggestioni è la raccolta di una cinquantina di opere di Wassily Kandinsky – dipinti, acquerelli, grafiche – provenienti da musei e collezioni private, tra le quali spiccano quelle di carattere eminentemente musicale, come gli acquerelli dipinti per gli spettacoli teatrali Violett (del Centro Pompidou, Parigi) e Quadri di un’Esposizione sulla musica di Musorgskij (della collezione universitaria del Castello di Wahn, Colonia). Da questa sezione si dipanano rimandi molteplici, tra i quali quelli rappresentati da figure di musicisti-pittori come Constantin Čiurlionis, rappresentato in mostra da opere e spartiti provenienti dall’omonimo museo lituano di Kaunas, o come Arnold Schöenberg, amico di Kandinsky e presenza imprescindibile con una selezione di dipinti del Schöenberg Center di Vienna.
Il percorso prosegue attraverso un caleidoscopio di stili e rimandi artistici rappresentato da opere di Paul Klee, Marianne Werefkin, Oskar Fischinger, Fausto Melotti, Nicolas De Staël, Giulio Turcato, Robert Rauschenberg, per arrivare all’ampio omaggio a John Cage: qui partiture, notazioni e documenti audiovisivi si integrano con installazioni che permettono di sperimentare direttamente la poetica cageana. In questo senso troviamo la ricostruzione di un ambiente anecoico, una “sala del silenzio” nella quale è esposta una tela bianca di Robert Rauschenberg, o ancora la riproduzione di un teatro – nello specifico la platea del Romolo Valli – che mette in scena una reinterpretazione in miniatura della composizione per orchestra Ocean, avvolgendo così il visitatore con una spazializzazione musicale proveniente da diversi punti dell’installazione. Non mancano riferimenti al pianoforte preparato, con tanto di modellino, o alla nota passione di Cage per i funghi, ma ancora più interessanti sono i documenti fotografici che rievocano la presenza italiana del compositore americano in Italia nel 1978, in occasione del progetto Il treno di John Cage. Alla ricerca del silenzio perduto, con la presenza, tra gli altri, di Demetrio Stratos.
Un percorso ricco di suggestioni che merita di essere fruito con una disponibilità e una libertà di approccio che richiama alla memoria ciò che lo stesso Kandinsky annotava a proposito dell’arte sua contemporanea sulle pagine de Il Cavaliere Azzurro, almanacco illustrato pubblicato a Monaco nel 1912: «Per “comprendere” questo genere di quadri è indispensabile lo stesso atto liberatorio necessario per il realismo; ossia anche qui si deve riuscire a udire il mondo intero così com’è, senza un interpretazione oggettiva. In quest’arte le forme astrattizzate o astratte (linea, superfici, macchie, ecc.) non sono importanti in quanto tali: ciò che importa è la loro risonanza interiore, la loro vita».
Per informazioni sulla mostra: www.palazzomagnani.it