Fort Worth è una città di oltre 800 mila abitanti, la tredicesima per popolazione negli Stati Uniti: messa un po’ in ombra dalla vicinissima Dallas, probabilmente direbbe molto poco a chi non vive in Texas se non fosse per essere sede di uno dei concorsi pianistici più importanti al mondo, il Van Cliburn International Piano Competition.
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Il concorso internazionale Van Cliburn fu fondato nel 1962 per onorare l’allora giovane e brillante pianista Van Cliburn, fresco di vittoria al primo Concorso internazionale di Čajkovskij di Mosca nel 1958. Da allora il Van Cliburn continua a tenersi ogni quattro anni ma si è molto sviluppato nella propria formula per stare al passo con i tempi. Soprattutto si è arricchito di due “fratelli minori”, un concorso per pianisti “junior” e uno per “amateur” e, attraverso la fondazione che lo sostiene, The Cliburn, ha investito moltissimo in attività educative e nel management delle carriere degli artisti laureati.
Nel 2013 Jacques Marquis ha lasciato Montréal per Fort Worth e diventare Presidente e Amministratore delegato di The Cliburn. Se gli si chiede il perché di questa scelta, lui risponde: «Perché trasferirsi a Forth Worth? Amo giocare a tennis e se nel tennis qualcuno ti chiedesse di andare a Wimbledon, ci andresti senza discutere!».
Il 2021, l’anno in cui si terrà per la sedicesima volta il Van Cliburn International Piano Competition, è ancora lontano ma il percorso è lungo e complesso a partire dalla scadenza per inviare la domanda di partecipazione, nell’ottobre del prossimo anno.
Per raccontare cosa significa il Van Cliburn e l’impegno di The Cliburn nella musica abbiamo raggiunto Jacques Marquis nel quartier generale di The Cliburn a Fort Worth in questa intervista esclusiva per i lettori del giornale della musica.
Il Van Cliburn International Piano Competition si è rapidamente imposto come uno dei grandi concorsi pianistici al mondo: come spiega questo successo?
«Il Van Cliburn International Piano Competition è stato creato nel 1962, più di cinquant'anni fa. Da questo punto di vista possiamo sicuramente parlare di tradizione. Ma dipende anche dal nome che porta, Van Cliburn, che negli anni Sessanta era un nome celebre grazie al Concorso Čajkovskij, per la vittoria a quel concorso, per il suo fantastico carisma, non solo negli USA ma anche in Russia. Van Cliburn è stato uno dei primi musicisti classici a essere conosciuto in tutto il mondo. Era una specie di icona come Pavarotti».
«Van Cliburn è stato uno dei primi musicisti classici a essere conosciuto in tutto il mondo. Era una specie di icona come Pavarotti».
«Credo anche che il Concorso Van Cliburn sia stato uno dei primi a impegnarsi seriamente per i vincitori. Grazie a questo ha davvero aiutato a lanciare carriere. Il Van Cliburn è stato davvero cruciale per il concorso in sé ovviamente ma anche per ciò che segue, ossia il career management dei nostri pianisti».
Vuol dire che diventate gli agenti dei vostri vincitori?
«In un certo senso ma siamo agenti buoni! Cioè non siamo troppo esosi con i nostri artisti e cerchiamo davvero di aiutarli. E lo facciamo sempre di più oggi, occupandoci anche di social media, di cosa postare e cosa no sulla pagina Facebook e della loro pagina web. Lavoriamo sulla loro immagine, insegniamo loro come parlare ai media, come gestire le loro finanze. Per un pianista vincere il concorso è solo il primo passo. Dopo vengono moltissime cose di cui occorre occuparsi. Noi cerchiamo di aiutare i nostri artisti a intraprendere una carriera importante».
«Per un pianista vincere il concorso è solo il primo passo. Dopo vengono moltissime cose di cui occorre occuparsi. Noi cerchiamo di aiutare i nostri artisti a intraprendere una carriera importante».
Tutti i vincitori sono importanti, ma ce ne sono alcuni che di cui lei è particolarmente fiero?
«Di Beatrice Rana ovviamente! [Beatrice Rana ha vinto il secondo premio al Van Cliburn nel 2013, oltre al premio del pubblico] Certamente sono fiero come rappresentante di The Cliburn della carriera di Beatrice, che suona ovunque oggi. È evidente che non possiamo avere pianisti superstar in ogni edizione del concorso. Radu Lupu è certamente uno dei vincitori più celebri come Olga Kern e ora Beatrice, appunto. Ma per tutti ci vuole molto tempo, proprio come un buon vino! Talvolta hai annate buone ma occorre aspettare qualche anno prima di aprire la botte. Il buon vino non si beve subito. Allo stesso modo alcuni pianisti sbocceranno, altri invece avranno carriere significative non necessariamente come solisti nelle sale da concerto o al Musikverein. Qualcuno riuscirà a trovare la propria strada, a realizzare il percorso più congruo che per qualcuno significa suonare, per altri insegnare, per altri ancora diventare giornalisti, ad esempio. Quel che importa è che tutti quelli che partecipano al concorso sono pesantemente coinvolti nella produzione musicale. E questa è la cosa più importante».
The Cliburn mantiene rapporti con i vincitori del concorso, cioè li invita regolarmente a concerti o attività musicali?
«Certamente il rapporto non si interrompe, ma vogliamo farlo anche di più di quanto non l’abbiamo fatto finora. Vogliamo lavorare con i nostri pianisti sempre di più. Non vogliamo lanciarli nella fossa dei leoni subito dopo il concorso, ma cerchiamo di dare loro supporto, di sostenerli nel programmare bene le loro carriere e nel pensare bene a quali saranno i prossimi passi. Per questo passiamo molto tempo con loro perché dobbiamo conoscerli bene, per capire meglio cosa vogliono realizzare nella loro vita di pianisti. Più comprendiamo la loro personalità, meglio riusciremo a farli crescere e ad aiutarli a realizzare i loro sogni. Da quando sono a The Cliburn, ho cercato sempre di far tornare i nostri vincitori».
C'è un motivo particolare per organizzare il concorso ogni quattro anni?
«Se lo facessimo ogni anno, si presenterebbero gli stessi candidati più volte. Facendolo ogni quattro anni, questo accade molto meno e abbiamo sempre nuovi candidati e una evoluzione continua. Inoltre, tendiamo a presentare il concorso come un evento, un po' come le Olimpiadi, che non avrebbero la stessa risonanza se si tenessero ogni anno. E poi fra un concorso e il successivo investiamo davvero nel career management dei nostri vincitori, con cui lavoriamo davvero in stretta collaborazione. Se facessimo il concorso anche solo ogni due anni, non avremmo abbastanza tempo per lavorare assieme loro e per curare le loro carriere».
Il prossimo Van Cliburn Piano Competition si terrà nel 2021. C’è qualche novità rispetto al passato?
«Ci sono sempre dei cambiamenti. Non mi piace rifare sempre le stesse cose. Bisogna essere dinamici. Come in ogni attività, occorre anticipare i cambiamenti e cercare sempre di rinnovarsi perché anche il mondo cambia. Dieci anni fa il dibattito pubblico era soprattutto nei giornali. Oggi i giornali sono quasi scomparsi e dobbiamo usare i social media. E non abbiamo idea di cosa succederà fra dieci anni. È necessario adattare il modo in cui non solo presentiamo i nostri concerti ma anche come li promuoviamo e come facciamo comunicazioni su di essi.
Per quanto riguarda il concorso del 2021, abbiamo introdotto un paio di importanti modifiche. Nel passato i candidati dovevano sostenere la prova di musica da camera, ossia il quintetto. Parlando con vincitori e giurati, abbiamo deciso di sostituire il quintetto con un concerto per pianoforte e orchestra. Ai finalisti del Van Cliburn verrà quindi chiesto di esibirsi in tre concerti: un concerto di Mozart per la semifinale e due per la finale. La ragione è che i pianisti in una stagione dovranno esibirsi in una decina o dozzina di concerti con orchestra. Dovendo prepararne tre per il concorso, si tratta di un aiuto importante per la loro carriera. E in più ascoltare i concorrenti in un concerto permette di raccogliere informazioni molto importanti da parte dei giurati. Se un pianista suona davvero bene il Concerto per pianoforte di Ravel e dopo il Concerto per pianoforte n. 2 di Prokof'ev oppure un Concerto di Beethoven o di Čaikovskij o di Chopin, la sua personalità di interprete viene fuori molto chiaramente. Questo è il cambiamento più importante che abbiamo introdotto nella formula del concorso».
«Inoltre, i primi due round avverranno al Music Center della Texas Catholic University, che possiede un auditorium da 700 posti. E questo è un bene perché un buon pianista adatterà sempre il suono alla dimensione della sala nella quale si esibisce. Non è lo stesso suonare in una sala da 300 posti o in una da 700 posti o da 2000: il suono viene proiettato in un modo diverso e un buon pianista adatterà sempre il suono. È senz'altro una buona notizia poter contare per i primi due round su questa nuova sala da 700 posti, che è perfetta per questo scopo».
Che cosa ci dice della giuria del concorso?
«Sono davvero felice e fiero della giuria che abbiamo messo insieme. La presidente sarà Marin Alsop, che dirigerà anche l’orchestra nella finale (e non voterà in quel caso). Marin fa parte della schiera dei direttori d'orchestra più noti al mondo: è a capo della Baltimore Symphony, della ORF Vienna Radio Symphony Orchestra, della São Paulo Symphony Orchestra, insomma è presente in molte realtà diverse, un aspetto che mi piace molto».
«Sono anche molto fiero del fatto che in giuria abbiamo 5 donne e 4 uomini, un evento molto raro nella giuria di un concorso di pianoforte».
«Per il resto, la giuria è composta come sempre da personalità di ogni angolo del mondo, Asia, Europa e Stati Uniti. È un aspetto molto importante perché i nostri vincitori avranno carriere internazionali e per questo servono giurati che conoscano le sale da concerto e come ci si prepara in realtà molto diverse e con tradizioni diverse. Nel prossimo concorso avremo in giuria Jean-Efflam Bavouzet dalla Francia, Rico Gulda dall’Austria, Andreas Haefliger dalla Svizzera, Wu Han da Taiwan, Stephen Hough e Anne-Marie McDermott dagli Stati Uniti, Gabriela Montero dal Venezuela, Orli Shaham da Israele e Lilya Zilberstein dalla Russia.
Sono anche molto fiero del fatto che in giuria abbiamo 5 donne e 4 uomini, un evento molto raro nella giuria di un concorso di pianoforte».
The Cliburn non è solo il concorso pianistico ma è anche una serie di attività orientate alla educazione musicale: vuole parlarne?
«In cicli quadriennali abbiamo ben tre concorsi: quello principale ma anche il concorso "junior" per giovani da 13 a 17 anni – e quei ragazzi sono davvero fantastici! – e una versione più matura per pianisti non professionisti ossia persone che hanno scelto altre professioni come avvocati, ingegneri, esperti informatici, insegnanti, ma che coltivano la passione per il pianoforte. Questi tre concorsi si succedono a rotazione, anno dopo anno. Abbiamo avuto il concorso junior l’anno scorso, avremo quello per non professionisti nel 2020 e quindi quello principale nel 2021».
«Accanto a questo, ogni anno produciamo circa 300 concerti nelle scuole: portiamo pianoforti nelle scuole elementari e presentiamo concerti pensati per bambini che in molti casi scoprono la musica classica per la prima volta. A Fort Worth The Cliburn organizza diverse serie di concerti pensati specialmente per pubblici nuovi, abbiamo una serie di concerti classici, di musica contemporanea, ma organizziamo anche concerti nei bar, dove si può anche bere qualcosa ascoltando buona musica. Con le nostre attività cerchiamo anche di raggiungere pubblici diversi. Come organizzazione artistica, non ci possiamo aspettare che le persone vengano da noi. Siamo piuttosto noi a dover fare uno sforzo per raggiungere spettatori potenziali che non hanno l'abitudine di frequentare eventi musicali».
«Come organizzazione artistica, non ci possiamo aspettare che le persone vengano da noi. Siamo piuttosto noi a dover fare uno sforzo per raggiungere spettatori potenziali che non hanno l'abitudine di frequentare eventi musicali».
«Per esempio, portiamo il pianoforte al Plaza e organizziamo concerti all'aperto. Credo che nessuno passando accanto alla Scala direbbe: "andiamo a vedere l'opera; non ci sono mai stato", se prima non ha sentito un concerto al Plaza o altrove, ascoltato un cantante, visitato un festival musicale. Esponendo questo pubblico poco a poco all'esperienza della musica, cominciando da piccole realtà, riusciremo un giorno a portarli nelle grandi sale da concerto o d'opera. È necessario alimentare quell'interesse passo dopo passo. E per farlo occorre raggiungere quegli spettatori dovunque si trovino e coinvolgerli nelle nostre attività. Nel complesso, produciamo circa 500 eventi nell'arco di un anno rivolti a ogni segmento di pubblico qui a Fort Worth e a Dallas e in diverse regioni del Texas, tranne che per i "management concerts", cioè i concerti con i vincitori del concorso, per i quali ci muoviamo su orizzonti più vasti».
Da molti anni lei si occupa del Van Cliburn: cosa ama di più in questo concorso?
«Quello che amo di più è la relazione che si stabilisce fra gli artisti e il pubblico. Tutti fanno il tifo per i pianisti perché ognuno di loro dia il meglio. E lo stesso vale per la giuria. Insomma, si crea una tensione che spinge davvero tutti i concorrenti a dare il meglio della loro arte».
«In un concorso, si va per vedere quei giovani talenti suonare al meglio e si viene colpiti dalle loro storie individuali e nelle loro proposte artistiche. Credo che questo coinvolgimento sia la cosa che amo di più del Van Cliburn».
«Quello che cerchiamo di dare a questi giovani pianisti al Van Cliburn è un palcoscenico e le migliori condizioni per esprimere al meglio la loro arte. Quel legame fra pubblico e artisti non è lo stesso che si crea a un concerto normale, nel quale si va con l'aspettativa di trascorrere una bella serata. In un concorso, si va per vedere quei giovani talenti suonare al meglio e si viene colpiti dalle loro storie individuali e nelle loro proposte artistiche. Credo che questo coinvolgimento sia la cosa che amo di più del Van Cliburn».