Abitare oggi una città italiana occupandosi – tra le altre cose, of course – di musica, significa conoscere la storia della programmazione del teatro principale che anima la vita culturale di quel centro abitato. Ora, si dirà che la vita culturale di una città italiana non è solo segnata dall’attività musicale del suo teatro, ma da tanto altro: può essere anche vero, ma se la città in questione è Parma allora è facile richiamare il celebre scritto di Bruno Barilli Il paese del melodramma, e il gioco è fatto.
Quindi Parma, città dall’emblematica tradizione musicale, appare culturalmente “condizionata” dalla sua attività musicale, soprattutto ora che si sta preparando a vestire i panni di Capitale Italiana della Cultura, ruolo che indosserà per tutto il prossimo anno 2020. Un riconoscimento – e, forse ancora di più, un impegno – che si riverbera anche sulla programmazione culturale più tradizionale, contaminando quindi anche le stagioni lirica e concertistica che la fondazione Teatro Regio di Parma ha presentato qualche giorno fa.
Stagioni che, a proposto della storia dei cartelloni di questo teatro, raramente hanno conosciuto una concentrazione di opere del Novecento come in queste nuove programmazioni. A questo proposito, abbiamo posto qualche domanda al direttore generale della Fondazione Teatro Regio Anna Maria Meo.
La stagione lirica del Teatro Regio si apre il 10 gennaio con Turandot, prosegue con Pelléas et Mélisande riproposto al Regio dopo oltre 50 anni dalla sua unica rappresentazione a Parma e si chiude con Ascesa e caduta della Città di Mahagonny, una prima assoluta per la città. Dopo l'incursione contemporanea del Prometeo di Luigi Nono, presentato due anni fa sempre nella stagione lirica, cosa rappresenta questa decisa virata verso un Novecento di certo "storico", ma comunque così raro sul palcoscenico parmigiano?
«Il tema di Parma 2020 – La cultura batte il Tempo – mi ha dato l’occasione per disegnare una stagione centrata sulla musica del Novecento. In campo musicale il XX secolo si caratterizza per un approccio radicalmente nuovo al concetto di Tempo. Il tempo inizia a essere trattato sistematicamente solo agli inizi del Novecento. Tempo e musica, nel corso della storia sono stati sempre due concetti strettamente connessi, in quanto la musica è stata da sempre considerata un’arte del tempo per la sua inconsistenza spaziale e per la sua natura sonora; dispiegandosi il suono, elemento primario della musica, nel tempo, la caratteristica distintiva della musica sta proprio nella sua dimensione temporale, quasi la manifestazione “tangibile” della dimensione temporale».
«Il tema di Parma 2020 – La cultura batte il Tempo – mi ha dato l’occasione per disegnare una stagione centrata sulla musica del Novecento».
«In realtà la musica del Novecento mi ha sempre appassionato, la mia esperienza al Centro Tempo Reale, negli ultimi anni di vita di Luciano Berio, è stata in tal senso davvero straordinaria. Ho sempre trovato incomprensibile la sua sostanziale assenza dai cartelloni dei Teatri d’Opera di questo repertorio. Mentre i Teatri internazionali stimolano culturalmente il proprio pubblico proponendo almeno una nuova creazione l’anno, noi facciamo fatica a sdoganare il Novecento. Credo che faccia parte dei nostri compiti ampliare gli orizzonti musicali e in un’occasione come questa Parma e il suo Teatro sono chiamati a dimostrare di essere all’altezza della sfida che ci attende nel 2020».
Sempre in tema "contemporaneo" e passando alla stagione concertistica, ci illustra il progetto rappresentato dal concerto speciale Il Tempo dell’Europa, diretto da Marco Angius con i live electronics di Nicola Bernardini e Alvise Vidolin?
«La declinazione del tema non poteva passare esclusivamente dal cartellone della stagione operistica. Mi è parso necessario offrire un contributo anche nell’ambito della stagione concertistica. Un contributo coerente con un programma che attraversa il secolo e traccia un percorso attraverso alcuni dei compositori più significativi. Il contributo video creato appositamente da Bill Viola per Désert di Varese arricchirà ulteriormente l’esperienza, tanto più che il concerto sarà eseguito nella sala del Teatro Regio con il pubblico disposto in platea per garantire una fruizione della spazializzazione del suono al massimo livello di qualità possibile. Poter contare su Marco Angius, Alvise Vidolin e Nicola Bernardini oltre che sul fondamentale contributo dell’Orchestra Toscanini, coproduttrice di questo concerto, mi dà la certezza che sapremo proporre al nostro pubblico una serata di altissima qualità, come già sperimentato in Prometeo di cui resta una importante testimonianza nel doppio Super Audio CD pubblicato da Stradivarius e realizzato grazie al sostegno del progetto SIAE-Classici di Oggi, volto a promuovere la diffusione della musica contemporanea italiana».
«Anche il cartellone della danza proporrà una serata incentrata sul Quartetto per la fine del tempo di Olivier Messiaen, commissionato al Nuovo Balletto di Toscana con la coreografia di Mario Bermudez Gil, che tradurrà in danza le tinte apocalittiche dell’omonima composizione Quator pour la fin du Temps, composta nel 1941, mentre Messiaen era prigioniero nel campo di concentramento polacco di Görlitz».
Tra le diverse attività del Teatro Regio, le ormai consolidate iniziative rivolte al pubblico più giovane rappresentano una costante che emerge per varietà e creatività. Quali sono i caratteri racchiusi nelle offerte dei cartelloni di Regio Young e Verdi Young?
«Queste stagioni dense e molto impegnative per il Teatro, sono nate grazie all’impulso di Barbara Minghetti che ringrazio qui una volta di più, continuano a essere programmate perché il nostro pubblico dei più giovani, enormemente cresciuto negli ultimi quattro anni, semplicemente non potrebbe più farne a meno. Tutti gli appuntamenti sono attesi dalle famiglie, con le quali abbiamo creato relazioni ed efficienti modalità di comunicazione. La presentazione di Regio Young è attesa tanto quanto quella della stagione invernale o del Festival. Anche le scuole aderiscono con entusiasmo alle nostre proposte e prenotano con grande anticipo spettacoli e attività laboratoriali dedicate ai più piccoli. Cerchiamo di coprire tutte le fasce anagrafiche e anche di variare il più possibile la proposta mantenendo standard qualitativi alti perché sentiamo forte la responsabilità di formare anche il gusto teatrale dei più piccoli, non compromettendolo con proposte di scarso valore».
«Non ultimo garantiamo attività su misura ai molti asili aziendali che le aziende sponsor del Teatro apprezzano moltissimo, quale segno di attenzione ai loro dipendenti, in un quadro di welfare sempre più sofisticato che manager lungimiranti desiderano garantire ai lavoratori».
Dal 2015, anno del suo insediamento, il percorso tracciato dalla Fondazione Teatro Regio ha fatto registrare un dinamismo documentato a vari livelli dai riscontri di pubblico e di critica, soprattutto in riferimento al Festival Verdi. Forse è solo una mia sensazione ma pensando al 2020 e al suo incarico in scadenza al 31 dicembre 2019 – almeno a quanto emerge dalla documentazione ufficiale – questa stagione può apparire sia una sorta di bilancio e punto di arrivo di un intenso percorso, sia un significativo rilancio programmatico. Assodato che il futuro – per definizione (e recente tradizione canora popolare) – "è un'ipotesi", lei per quale delle due opzioni propende? Bilancio o rilancio?
«Entrambe le cose: è necessario fare dei bilanci per poter immaginare un orizzonte di rilancio. Molte delle azioni intraprese in questi anni avevano una forte componente sperimentale. Non esistono modelli di gestione e progettazione culturale applicabili a tutti i teatri. Un teatro è un organo pulsante, ha un proprio vissuto e si relaziona con varie comunità che nel nostro Paese possono essere diversissime a pochi chilometri di distanza. Il pubblico, anche quello all’apparenza più reticente nei confronti del nuovo, non va sfidato ma accompagnato in un percorso di crescita.
«Il pubblico, anche quello all’apparenza più reticente nei confronti del nuovo, non va sfidato ma accompagnato in un percorso di crescita».
Occorre tener conto di tutto questo, sforzarsi di ricamare progetti che avvicinino il più possibile la comunità locale all’Istituzione di riferimento e al tempo stesso sviluppare tutte le strategie possibili per rendere i progetti attrattivi per la comunità internazionale che come sappiamo genera un indotto che gli operatori economici delle città si aspettano. È indispensabile partire dal progetto culturale e poi valorizzarlo al meglio in Italia e all’estero. Avere come riferimento prioritario la “vendibilità” delle attività fa pagare prezzi pesanti e si corre il rischio di trasformare le nostre istituzioni in una sorta di disneyland operistiche. Non è questo che siamo chiamati a fare, almeno fino a quando, per quanto insufficienti, buona parte delle risorse che investiamo nelle nostre attività saranno erogate dagli enti pubblici. A tal proposito siamo felici di poter dire che nel 2018 abbiamo superato la quota di risorse private (entrate da biglietteria, concessioni, merchandising e sostegno da parte dei privati) pari al 54% contro il 46 di contribuzione pubblica».
«Avere come riferimento prioritario la “vendibilità” delle attività fa pagare prezzi pesanti e si corre il rischio di trasformare le nostre istituzioni in una sorta di disneyland operistiche».
«Considero tutto questo un buon bilancio culturale ed economico e credo possa costituire una base interessante per sviluppare progettualità future».