“Il Tamerlano”, nostro contemporaneo

Ottavio Dantone e Stefano Monti raccontanto l’opera di Vivaldi (e altri) che debutta il 14 gennaio al teatro Alighieri di Ravenna

"Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet" - Teatro Alighieri di Ravenna (rendering)
"Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet" - Teatro Alighieri di Ravenna (rendering)
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Sabato 14 gennaio (ore 20.30, “prima” trasmessa in diretta su operastreaming.com) e domenica 15 (ore 15.30) con l’Accademia Bizantina di Ottavio Dantone e la regia di Stefano Monti debutta il nuovo allestimeno de Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet (RV 703), tragedia per musica in tre atti su libretto di Agostino Piovena e musica di Antonio Vivaldi. Una nuova produzione che apre la Stagione d’Opera 2023 del teatro Alighieri di Ravenna e che abiterà successivamente i palcoscenici dei teatri che hanno partecipato a questa coproduzione: Piacenza (20 e 22 gennaio), Reggio Emilia (27 e 29 gennaio), Modena (3 e 5 febbraio) e Lucca (17 e 19 febbraio).

Un allestimento nel quale la dimensione barocca emerge anche dalla riproposizione dell’incontro fra teatro di figura e melodramma, mentre l’inclusione della danza trova un rimando nei “balli” menzionati nel libretto originale (per quanto manchi evidenza di un corrispettivo musicale). In questo quadro il lavoro della DaCru Dance Company si è concentrato sulla necessità di fare di cantante e danzatore un unicum, con il primo a rappresentare il corpo fisico e il secondo il corpo sottile, lo spazio delle risonanze, attraverso un linguaggio non convenzionale, grazie alla formazione Urban Fusion degli interpreti Kyda Pozza, Davide Angelozzi, Elda Bartolacci, Graziana Marzia, Sara Ariotti e Alessandra Ruggeri.

Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet - Teatro Alighieri di Ravenna (rendering)
"Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet" - Teatro Alighieri di Ravenna (rendering)

L’opera in tre atti – in quest’occasione proposta nell’edizione critica del musicologo Bernardo Ticci, con le variazioni apportate dallo stesso Dantone – contempla la grandezza e il declino di un Impero con cui la Serenissima aveva dovuto fare i conti per gran parte della propria storia. Il frangente storico pare però meno rilevante della contrapposizione fra vinto e vincitore, prigioniero e carceriere. Bajazet - ruolo affidato a Bruno Taddia per la prima ravennate di sabato 14 gennaio e a Gianluca Margheri per la replica di domenica 15 - sceglie la morte piuttosto che rimanere in potere del proprio nemico, il Tamerlano interpretato da Filippo Mineccia. A enfatizzare il dramma ci sono due figure femminili: la figlia di Bajazet, Asteria (Delphine Galou), che Tamerlano desidera in moglie nonostante ella già ami Andronico (Federico Fiorio), e Irene (Marie Lys), che Tamerlano intende abbandonare a favore di Asteria. Tra tradimenti reali e presunti, i consigli (inascoltati) di Idaspe (il confidente di Andronico, qui interpretato da Giuseppina Bridelli), travestimenti e veleni (metaforici e non) la vicenda si avvita sulla fatale conclusione: il suicidio di Bajazet, la cui morte placa l’ira di Tamerlano, restituisce Asteria ad Andronico e ad Irene il promesso sposo.

A quasi 270 anni dalla prima rappresentazione Il Tamerlano ritrova quindi una sua nuova dimensione scenica, grazie alla lettura musicale di Ottavio Dantone e alla visione registica di Stefano Monti, ideatori di questo nuovo allestimento ai quali abbiamo rivolto qulche domanda.

Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet - Teatro Alighieri di Ravenna (prove, foto Zani-Casadio)
Stefano Monti, "Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet" - Teatro Alighieri di Ravenna (prove, foto Zani-Casadio)

Setefano Monti, qual è il carattere drammaturgico più rilevante de Il Temerlano?

«Dramma per musica dove “non esiste una vera drammaturgia” intesa come flusso di un racconto e susseguirsi di eventi, stanti i numeri chiusi e un libretto rimaneggiato già all’origine, poi nel corso del tempo e messo in musica da tanti musicisti. Più che uno sviluppo narrativo è la somma di furori mentali, tormenti esistenziali, e conflitti delle coscienze. Ciò può rivelarsi un problema per produrre teatralità, ma paradossalmente uno stimolo per la costruzione di un ordito e trama per una nuova tessitura. Dove al falso mito della perfezione vocale barocca e dove all’azione prende il sopravvento la drammaturgia della mente in un travaglio continuo di una umanità così forte per il mito, con le personalità storiche evocate, Bajazet, Tamerlano, ma così fragile nelle soggettività. In questo senso il dramma è moderno».

In quale modo, secondo lei, gli elementi di astoricità” e di inazione” presenti di quest’opera possono raccontare qualcosa al pubblico nostro contemporaneo?

«La “astoricità” non ci esime dal ricordare che il titolo trae origine dal nome di una delle personalità più feroci della storia umana. La storia purtroppo si ripete e l’uomo non cambia mai. Anche in questo potremmo amaramente riscontrare quanto possa dirsi attuale. Per quanto concerne “l’inazione” il teatro ha la capacità di sorprenderti spesso. E là dove sembra che tutto sia antiteatrale ecco che si apre uno spazio alla dimensione del mistero che è assai più interessante di una vicenda dalla narratività esplicita e consequenziale».

Nella sua visione registica giocano un ruolo rilevante la presenza di linguaggi quali la danza o il teatro di figura – che hanno radici antiche – uniti a soluzioni più legate al nostro tempo come gli innesti video e 3D: qual è il valore aggiunto di questa miscela di linguaggi espressivi per un’opera che ha debuttato quasi 270 anni fa?

«I vari linguaggi teatrali, compresi gli innesti video 3D, non sono pensati come esibizione di virtuosismi scenici e tecnologici, ma come necessità per una teatralità nostra contemporanea, nell’evocazione di un barocchismo non di maniera ma di produzione di senso. Anche attraverso l’estensione dei nostri personaggi con la presenza dei danzatori ombra. Non danza come intermezzo ma come fusione fra gesti espressivi ed emozionali dei vissuti dei nostri personaggi. Quante volte linguaggi apparentemente lontani hanno trovato occasione di contaminarsi e produrre nuova energia e suggestioni ma soprattutto rivelando, in altre forme, ciò che ci sfuggiva».

"Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet" - Teatro Alighieri di Ravenna (prove, foto Zani-Casadio)
"Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet" - Teatro Alighieri di Ravenna (prove, foto Zani-Casadio)

La ricerca di ciò che sfugge tra le pieghe della partitura pare peraltro il fulcro dell’attività di Ottavio Dantone, protagonista con la sua Accademia Bizantina della lettura musicale dell’opera di Piovena e Vivaldi.

Dantone, nella sua fitta attività le incisioni di titoli operistici più o meno rari di origine barocca rappresentano un filone decisamente connotato: penso, solo per citarne alcuni, ai recenti Serse e Rinaldo di Händel, ma anche a La Dori di Cesti, fino a Il Giustino o allo stesso Tamerlano di Vivaldi. Quali sono, secondo lei, le principali differenze tra la realizzazione di un’opera nella dimensione discografica e la sua trasposizione scenica?

«È evidente che la rappresentazione scenica, qualunque sia la scelta storica o estetica, ha, rispetto a un ascolto discografico, il vantaggio di poter comunicare le emozioni grazie all’aiuto di movimenti, espressioni atmosfere, colori e quant’altro di puramente visivo. Quando mi è capitato, come nel caso del Tamerlano di Vivaldi, di affrontare la partitura direttamente in sala di incisione, ho chiesto agli interpreti di valorizzare in maniera particolare il testo, soprattutto nei recitativi, utilizzando in senso teatrale il ritmo della parola, esprimendo i dialoghi, le reazioni psicologiche, i silenzi e tutta la narrazione nel modo più vero e naturale possibile. L’intento è quello di trascinare l’ascoltatore nella magia della finzione teatrale dandogli la possibilità di immaginare e visualizzare la vicenda come se accadesse davanti ai suoi occhi. Il complimento che più mi ha fatto piacere è stato proprio da parte di Stefano Monti: “Ascoltando il tuo disco – mi ha detto – mi sembrava di vedere le facce dei personaggi”. Attraverso l’ottimo lavoro registico e coreografico di questa produzione ravennate sono certo che la musica e la drammaturgia di quest’opera verrà messa in luce in modo ancor più determinante».

"Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet" - Teatro Alighieri di Ravenna (prove, foto Zani-Casadio)
Ottavio Dantone, "Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet" - Teatro Alighieri di Ravenna (prove, foto Zani-Casadio)

Il Tamerlano rappresenta un cosiddetto “pasticcio”, con musiche di Vivaldi affiancate a brani di altri autori quali Broschi, Hasse, Giacomelli. Quali sono, dal suo punto di vista, i caratteri principali di questa “Tragedia per musica in tre atti” e quali sono quegli elementi grazie ai quali questa miscela musicale a più mani assume coerenza drammaturgica e stilistica?

«Personalmente ritengo che il “pasticcio” sia una forma teatrale molto interessante, perché presenta all’interno della sua costruzione elementi stilistici differenti che possono dare una varietà particolare allo spettacolo. Nel caso del Tamerlano, ad esempio, Vivaldi ha deciso di musicare i personaggi buoni o positivi, come Bajazet e Asteria, lasciando agli altri compositori la caratterizzazione dei caratteri avversi, vedi Tamerlano e Irene. Ma proprio questa difformità e differenziazione espressiva tra i diversi ruoli produce particolare interesse oltre una chiara e avvincente coerenza drammaturgica. Il tutto poi magistralmente tenuto in piedi grazie a recitativi secchi e accompagnati di altissimo livello compositivo e teatrale. A proposito proprio degli accompagnati, le invettive di Bajazet nei confronti di Asteria nel secondo atto e poi di quest’ultima nei confronti di Tamerlano dopo il suicidio del padre, nel finale dell’opera, rappresentano a mio parere due esempi mirabili di questa forma rappresentativa».

L’opera barocca viene oggi osservata come uno dei fronti più vivaci del teatro musicale contemporaneo, anche in virtù di elementi ritenuti vicini alla sensibilità attuale – anche in ottica sociologica – ma, se vogliamo, anche molto differenti tra loro quali, per esempio, la lontananza storica, il sovente carattere mitico dei temi trattati, l’ambiguità maschio/femmina dei ruoli vocali. Qual è, secondo il suo parere, la chiave per comprendere, con gli occhi e le orecchie di spettatori del 2023, opere nate secoli fa, in contesti estetici e linguistici – così come storici e sociali – così differenti?

«Se pensiamo alla civiltà di oggi, questa è la sola nell’arco della storia a consumare in maniera così prevalente la musica e le arti antiche. Nei secoli precedenti ad esempio si ascoltava quasi esclusivamente musica del proprio tempo. Nel corso del Novecento si è attuata quella forma di recupero e comprensione di una  cultura e di emozioni provenienti dal passato. Tutto ciò ha prodotto, nel caso specifico della musica antica, un lavoro di ricerca profondo e peculiare sul linguaggio, al fine di comprendere (e far comprendere all’ascoltatore) determinati meccanismi e codici semantici alla base della comunicazione emotiva. Questo spiega la misura della ricezione e del favore che il pubblico moderno dimostra sempre più nei confronti del repertorio rinascimentale e della musica e opera barocca».

"Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet" - Teatro Alighieri di Ravenna (prove, foto Zani-Casadio)
"Il Tamerlano, ovvero la morte di Bajazet" - Teatro Alighieri di Ravenna (prove, foto Zani-Casadio)

 

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