Hai un background musicale?
«Non proprio, non ho una formazione musicale, ma il mio interesse per la musica risale naturalmente a prima del film. Ho già lavorato a un documentario per la televisione argentina sul concorso di pianoforte organizzato da Martha Argerich».
L'idea di fare il film è tua o si tratta di una commissione?
«È stato un mio progetto ed è il mio primo lungometraggio. Alcuni miei amici sono membri dell'ensemble süden e tramite loro sono entrato in contatto con la musica di Kagel. Conoscevo la sua musica già prima di girare il film e quando ho saputo che sarebbe tornato in Argentina per il festival, fare questo film mi è sembrata una necessità. Durante le riprese non mi era ancora ben chiaro quello che ne sarebbe venuto fuori, non avevo un copione o idee concrete. Non volevo fare un film infarcito di interviste, ma qualcosa di più intimo. Alla fine avevo circa 130 ore di riprese. Il tema del film, il ritorno di Kagel in Argentina, coinvolge molti livelli tematici per me importanti. Il film parla in modo diretto di Buenos Aires e della situazione della musica contemporanea in Argentina. Non è, quindi, solo un film su Kagel e sulla sua musica. Prima di iniziare le riprese ho parlato due volte al telefono con Kagel. Era interessato al progetto e all'idea che il suo ritorno in Argentina fosse documentato, ma all'inizio era ancora molto chiuso».
Gli argentini conoscono Kagel e la sua musica?
«In Argentina solo un'elite ascolta la musica contemporanea. Dopo il suo ritorno Kagel ha avuto grandi riscontri nei media e se famoso non era, lo è diventato. Ma non è così conosciuto come Daniel Barenboim o Martha Argerich».
Conosci i film diretti da Kagel?
«Ne ho visti alcuni durante il festival. Non è il tipo di film che faccio io, ma essendo interessato alla sua figura li ho trovati interessanti, li ho apprezzati come parte della sua opera, del suo mondo creativo».
«Una scena del tuo film mostra la prima prova diretta da Kagel con l'ensemble süden. Comincia a dirigere e dopo qualche battuta interrompe e chiede dov'è il percussionista? I membri dell'ensemble rispondono che sta arrivando, che è appena uscito dal lavoro. Kagel dice va bene e continua le prove come se niente fosse. Chi sa come avrebbero reagito altri direttori in una situazione simile? È una scena che dice molto sulla situazione della musica contemporanea in Argentina. Lo stesso Kagel nel film sottolinea le difficoltà che i musicisti argentini vivono ogni giorno nel suonare musica contemporanea: problemi economici, poche possibilità di suonare, scarse strutture. I musicisti dell'ensemble süden non sono dilettanti, ma hanno una vita difficile e spesso sono costretti a fare più lavori».
Il tuo film ha un taglio chiaramente documentaristico, le immagini sono sobrie e mai calcate, eppure è un film molto intenso e toccante.
«In parte è il risultato del soggetto, dell'umanità e della spiritualità che avvolge la figura di Kagel. L'intensità esce dalle dinamiche in cui sono coinvolti questi giovani musicisti, dall'affetto che li ha legati al compositore, e viceversa. Lo stesso vale per me. Prima non conoscevo Kagel di persona, poi ho passato due anni della mia vita con lui. Anche il suo magnetismo e la sua saggezza sono temi del mio film».