Il tema “Da dove veniamo e dove andiamo” della 48° edizione della Innsbrucker Festwochen der Alten Musik [https://www.altemusik.at/en/festival] è una doppia domanda che riguarda il suo passato, nel quale la manifestazione è cresciuta grazie anche alla precedente direzione di Alessandro De Marchi, e il suo presente e futuro che è affidato alla cura di Ottavio Dantone che da quest’anno è il nuovo direttore musicale affiancato dalla direttrice artistica Eva-Maria Sens.
Nell’arco di oltre un mese, dal 21 luglio al 30 agosto ci saranno cinquantasei eventi in quindici diversi luoghi, di cui venti ad accesso libero molti dei quali all’aria aperta.
Il nucleo centrale del programma è tradizionalmente rappresentato dalle produzioni operistiche che sono in parte alimentate dalla Cesti Competition che attira molti giovani cantanti che dopo essersi fatti notare, anche senza necessariamente aver ricevuto il primo premio, vengono poi scritturati, anche perché per ogni edizione è d’obbligo includere nel repertorio della prova, un’aria dell’opera che verrà eseguita nell’anno seguente.
Le tre opere in programma quest’anno sono tutte della prima metà del Settecento e comprendono Cesare in Egitto di Geminiano Giacomelli su libretto Carlo Goldoni e Domenico Lalli, rappresentata per la prima volta a Venezia nel 1735 nel Teatro S. Giovanni Grisostomo che sarà eseguito dalla Accademia Bizantina e da un cast vocale composto da Arianna Vendittelli, Emőke Barath, Filippo Mineccia, Margherita Maria Sala, Valerio Contaldo e Federico Fiorio; seguirà Arianna in Creta di Handel, presentata da Barockorchester:Jung con le voci di Neima Fischer, Andrea Gavagnin, Ester Ferraro, Josipa Bilić, Mathilde Ortscheid e Giacomo Nanni, il cui libretto anonimo è basato su quello di Pietro Pariati, intitolato "Arianna e Teseo" (1721), messo in scena a Londra nel 1734 nel King’s Theatre at Haymarket; e infine Dido, Königin von Carthago di Christoph Graupner, su libretto di Heinrich Hinsch, allestita per la prima volta nel 1707 ad Amburgo nella Opernhaus am Gänsemarkt che verrà eseguito da La Cetra Barockorchester con Robin Johannsen, Alicia Amo, Jone Martinez, Andreas Wolf, Jose Antonio Lopez, Jorge Franco e Jacob Lawrence.
I primi concerti si svolgeranno nel Castello di Ambras a cominciare da quello inaugurale, affidato all’ensemble Nuovo Aspetto e al flautista Stefan Temmingh intitolato Playgrounds in riferimento alla presenza in numerose composizioni barocche del basso ostinato nelle composizioni di Purcell, Geminiani, Corelli, Ortiz.
Tra gli altri eventi puramente concertistici segnaliamo la presenza dell’ensemble Il Pomo d’Oro che con il controtenore Jakub Józef Orliński presenterà un programma dedicato a Monteverdi, Marini, Caccini e altri autori intitolato Beyond.
Nel programma è presenta anche un concerto di musica medievale, dedicato al repertorio dei Carmina burana eseguiti dall’ensemble Theatrum Instrumentorum.
Nell’intervista che segue Ottavio Dantone spiega come il motto del festival racchiuda l’idea della continuità e allo stesso tempo del rinnovamento
Da dove veniamo e dove andiamo è il motto di questa nuova edizione.
«In questo caso il tema del festival quest’anno riguarda soprattutto non solo la domanda dell’uomo, ma il cambiamento di direzione artistica, ossia la tradizione della manifestazione e la sua nuova prospettiva che per quanto mi riguarda vale per i prossimi cinque anni, e che coinvolge l’Accademia Bizantina come orchestra residente con la quale nel concerto inaugurale eseguiremo la serenata Il trionfo della Fama di Francesco Bartolomeo Conti, che fu un tiorbista attivo alla corte di Vienna considerato uno dei migliori esistenti, e si tratta di una musica interessantissima. Devo dire che è sempre molto stimolante costruire un festival su un tema, e in questo senso si tratta di un festival consapevole e serio con un progetto chiaro che riguarda l’idea che si vuole trasmettere, tanto che stiamo già lavorando a quello del prossimo anno. A volte si allestisce un programma e poi gli si dà un titolo, ma non è il nostro caso...».
Da dove veniamo lo sappiamo perché il festival ha una grande tradizione, ma dove andiamo ora è lei a dirlo?
«C’è la presenza di tanti musicisti giovani e la sezione chiamata Youngbaroque rimane come un vero e proprio punto fermo perché è molto importante dal punto di vista dei cantanti che vengono selezionati e scoperti nell’ambito della competizione Cesti, che è una notevole fucina di nuovi talenti. Io sono stato in commissione lo scorso anno e ne ho ascoltati un centinaio, e devo dire che alcuni di questi sono davvero molto interessanti. Inoltre ci sono anche i giovani strumentisti con il laboratorio che da loro la possibilità di fare esperienza sotto la direzione di un musicista che ha una notevole esperienza».
Al centro del festival ci sono le produzioni operistiche.
«Lo schema prevede tre titoli operistici principali a cui si aggiungono tutti gli altri concerti. Ci sono tre produzioni ogni anno: quella dell’orchestra residente è pensata soprattutto per valorizzare la storia musicale legata al territorio austriaco. Eseguiremo il Cesare, ma non la ben nota opera di Handel, ma quella di Geminiano Giacomelli, intitolata Cesare in Egitto che è costruita su un libretto completamente diverso. È stata completamente dimenticata e mai eseguita in tempi moderni. Quando ho visto la partitura mi sono reso conto del perché all’epoca era considerata un grande capolavoro. È molto interessante e il compositore sapeva affascinare il pubblico, basta pensare che Vivaldi utilizzò alcune sue arie, e d’altronde siamo nella prima metà del Settecento ed è un momento storico nel quale l’opera è nel pieno del suo splendore. L’opera venne eseguita a Milano e poi riveduta a Venezia, e questa nuova versione fu eseguita a Graz con la direzione del suo autore. C’è poi una produzione dell’orchestra ospite, che può essere fatta in collaborazione con noi o anche indipendentemente se la proposta è interessante. Quest’anno è la volta di La Cetra Barockorchester Basel diretta da Andrea Marcon, che stimo perché lavora in maniera gioiosa e fa sempre cose interessanti. Eseguiranno una rarità, il singspiel di Christoph Graupner, Dido, Königin von Karthago. L’altra produzione è quella di Barockoper:Jung che presenterà l’Arianna in Creta di Handel. Preferisco che la formazione giovanile esegua musiche di autori più noti, per permettere loro di fare un’esperienza importante».
Nel programma ci sono alcune novità, come i workshop concerts.
«È una nuova iniziativa e si tratta di far partecipare al pubblico a prove che poi sfociano in esecuzioni pubbliche in modo che gli appassionati possano assistere e capire come si costruisce e come si trasforma un’opera d’arte attraverso il lavoro sul testo e sulla musica. In questo modo ci si può rendere conto del lavoro specifico che c’è dietro ogni esecuzione. Sentire ripetere e ascoltare le annotazioni dell’interpretazione alla ricerca di ciò che è scritto e di ciò che non è scritto, e che può essere interpretato attraverso la decifrazioni di codici retorici, aiuta a capire il significato più profondo».
Il Festival di Innsbruck è soprattutto un luogo di scoperte musicali, alla ricerca di novità non nella forma ma nella sostanza.
«Innsbruck è il posto ideale per gli appassionati di musica antica che cercano cose da scoprire. Esistono i capolavori è vero, ma la musica soprattutto dell’epoca barocca ha comunque sempre un grande fascino, ed è importante che venga fatta rifiorire. Farne affiorare il senso con i suoi codici emotivi è un lavoro molto interessante. È sempre una scommessa il cercare in questi manoscritti la bellezza per farla emergere, senza volersi fossilizzare sui soliti titoli, e ci sono cose notevoli ancora nascoste nelle biblioteche e negli archivi. Si tratta di rendere attuale musica di quattrocento anni fa che non ha bisogno di essere svecchiata ma eseguita con il suo corretto linguaggio che è quello più pregnante e interessante. Se si cede a facili contaminazioni con ammiccamenti rivolti al pubblico si rischia di mortificare tutto il lavoro di salvaguardia di un patrimonio musicale. Basta porgere al pubblico le emozioni intatte, perché sono le stesse anche oggi...»