Il compito di dare il via alla nona edizione di Seeyousound – il 24 febbraio prossimo al Cinema Massimo di Torino – spetta al film Žena Čajkovskogo (Tchaikovsky’s Wife) del regista russo Kirill Serebrennikov, unico film russo ammesso in concorso all’ultimo Festival di Cannes in quanto il regista è un oppositore del regime di Putin.
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Che fine hanno fatto i film di 90, massimo 100 minuti? Oramai, in periodo di streaming imperante, i film superano abbondantemente i 120 minuti, sono delle mini-serie che si possono interrompere e riprendere a piacere. Non fa eccezione questo film che impiega più di due ore per raccontare una storia che era già stata portata sul grande schermo nel 1971 da Ken Russell col titolo The Music Lovers, con Richard Chamberlain nel ruolo di Cajkovskij e Glenda Jackson in quello della moglie del compositore russo. Nella versione di Serebrennikov l’interpretazione di Antonina Miliukova è affidata all’attrice Alyona Mikhailova, davvero brava e sicuramente una delle note positive di questo lungometraggio.
Secondo il regista la moglie di Cajkovskij è una donna egoista, fanatica, ingenua, narcisista, libertina e – aggiungo io – un po’ stupida, o meglio, semplice e affascinata non dalla personalità di Cajkovskij ma dalle sue capacità esecutive e compositive: malgrado le frequentazioni esclusivamente maschili e certe affermazioni inequivocabili di colui che non era ancora suo marito – «Io potrò amarti solo come un fratello» –, Antonina si rende conto di aver sposato un omosessuale solo dopo la metà del film, ne risulta sorpresa – il che è piuttosto patetico –, ma da questo momento tutto diviene bizzarro perché il regista calca la mano sulla reputazione di Antonina come persona in preda all’ossessione del sesso, sintomo persistente reso sullo schermo con sequenze di fantasia relative a balletti di uomini nudi, quando, probabilmente, questa reputazione di ninfomane fu messa in giro dagli amici del compositore interessati a danneggiare Antonina anche per motivi legali.
La povera Antonina non accetta la verità e rifiuta il divorzio e la conseguente distruzione del suo destino “divino” derivante dalle nozze: essere la moglie di Cajkovskij. Il pranzo di nozze era sembrato un funerale, i cosiddetti ”doveri coniugali” erano stati ignorati e nell’unico tentativo di rispettarli si erano risolti in un incubo; il compositore la tiene a distanza con evidente disgusto ma Antonina continua a inseguirlo con fervore, «come Glenn Close con Michael Douglas in Attrazione Fatale», come scrive efficacemente Peter Bradshaw su The Guardian.
La sposa devota, anche se evitata, prende terribilmente alla lettere la promessa tradizionale «finché morte non ci separi»; focalizzandosi in maniera così intima sulla metà migliore della relazione di coppia, il regista la trasforma in una metafora per altre forme di resistenza all’autorità: Cajkovskij, personalità di culto e celebrata a livello internazionale, esce a pezzi dalla vicenda, risultando un omuncolo pieno di sé e profittatore, pronto ad andare contro la propria natura per vantaggio economico – prima del matrimonio Antonina gli dice di essere pronta a vendere un bosco per permettergli di dedicarsi alla composizione della sua musica senza preoccupazioni materiali – e per mettere a tacere il chiacchiericcio intorno alla propria sessualità.
È vero, lo dice anche il titolo, questo è un film sulla moglie di Cajkovskij, però in 2 ore e 23 minuti non c’è quasi mai un momento in cui sentiamo la musica di Cajkovskij, ma non solo, sembra proprio che il regista non abbia interesse per la sua musica: una scelta quanto meno discutibile.
La domanda che mi ha perseguitato dopo pochi minuti dall’inizio del film, vale a dire «Perché Antonina si è così incatenata a Cajkovskij e non l’ha mai lasciato andare?», una domanda assolutamente lecita, purtroppo non riceverà risposta.
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