I 10 migliori album del 2024 di Nazim Comunale

Una selezione compilata senza un particolare criterio, se non quello di invitare al turbamento, alla meraviglia, all’ascolto

Elio Martusciello
Elio Martusciello
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Notizie dal diluvio

L’unico criterio delle mie scelte è quello di non avere un criterio. Impossibile stare dietro a tutte le uscite né alle lune del momento; dalle mie parti si procede per psicologia più che per musicologia, per satori, ossessioni, incidenti di percorso, deragliamenti, colpi di fortuna, fidandosi del proprio intuito, sfidando le certezze, sfilandosi dai cori, sfidandosi.

– Leggi anche: Il meglio del 2024

Settimino per nascita e vocazione, approssimo come sempre per difetto, e mi limito a supporre che ciò che resta appeso ai rami delle orecchie dopo il diluvio di un anno di suoni sia ciò che più può somigliare ai dischi dell’anno. Ho voluto dare spazio a dischi che si distinguono per il loro coraggio e per il disinteresse che nutrono per gli steccati tra i generi, per l’allergia che hanno per mode e definizioni. Continua ad uscire una marea di musica interessante, noi abbiamo il compito, il dovere direi, di non perdere la curiosità e non imborghesirsi in sterili convinzioni e preconcetti. E il nostro lavoro, se possibile, è quello di rispondere a ciò che ascoltiamo scrivendone in modo musicale e stimolando in chi ci legge la voglia di scoprire quel disco, se non lo ha già fatto da solo, ora che tutto è a portata di click per tutti. Invitare al turbamento, alla meraviglia. All’ascolto. «Informazione non è conoscenza. Conoscenza non è saggezza. Saggezza non è verità. Verità non è amore. Amore non è musica. La musica è il meglio». (Frank Zappa). In ragione di quanto qui esposto la mia playlist non segue alcun ordine particolare.

1. Elio Martusciello, Akousma-Mother, Umbilical Cord (em-music)

Compositore, improvvisatore, didatta e autodidatta, pensatore, membro di Ossatura, in arrivo con un nuovo scintillante progetto con suoi ex alunni del Conservatorio di Napoli, Ka’e, Elio Martusciello è musicista prezioso, dal tocco e dalla sensibilità rari. Finalmente pare che se ne stiano accorgendo in molti. Questo disco, dedicato alla madre scomparsa, è una tappa sorprendente e profondamente emozionante nel viaggio nel suono di una voce unica in Italia.

2. Brandon Seabrook, Object Of Unknown Function (Pyroclastic Records)

Eravamo già rimasti molto colpiti dal suo live in trio al penultimo Jazz Is Dead ma quest’ album è, senza mezzi termini, incredibile: come recita uno dei titoli, Seabrook, con lucidissima follia, crea incidenti melodici per un mondo irrazionale. Chitarre, banjo e cassette: attentati ad Euclide, esplosioni, rivelazioni, manomissioni tra free, noise, minimalismo, avant-rock e chissà che altro. Un talento dilagante, selvatico e a briglia sciolta, che si esprime libero in un disco affilato, feroce, bellissimo.

3. Gerald Cleaver, The Process (577/Positive Elevation)

Immaginatevi il Miles Davis elettrico che si butta a capofitto nella techno: Gerald Cleaver è un batterista sopraffino e da quando ha deciso di cimentarsi con l’elettronica non sbaglia un colpo. Questo è il suo quarto lavoro nell’ambito e ad ogni step continua a progredire, con destinazione altrove e con una padronanza e un talento che mettono quasi soggezione. Un album magnetico per  uno dei musicisti più cruciali di questi anni.

4. Peter Evans, Extra (We Jazz)

In trio con Petter Eldh e Jim Black il trombettista monstre newyorchese swinga da paura. Gli inserti elettronici sono sempre puntuali e geniali, il suono è fresco, avventuroso, imprendibile, il groove non molla un centimetro. Genius at work!

5. Alessandro “Asso”Stefana, S/T (Ipecac Recordings)

Talento cristallino da esportazione, polistrumentista, produttore, creatore di un suono unico e personale, da qualche parte tra languori blues, radure folk, ambient e Americana, “Asso” (di nome e di fatto) torna in veste solista a ben 17 anni da “Poste e Telegrafi”: la magia si rinnova.

6. Valeria Sturba, Le cose strane (La musica diSturba)

Violino, theremin, tastiere, synth, chitarra classica, ukulele basso, vibrafono, percussioni, drum pad, oggetti vari. Questo l’arsenale di strumenti usati dalla vulcanica Valeria Sturba (già metà di OoopopoiooO con Vincenzo Vasi) per l’esordio solista, dieci strambe canzone gentili capaci di restare subito impresse nella memoria ma al tempo stesso di invitare all’ascolto e al riascolto perché contengono dettagli preziosi, sorprese, trappole, deragliamenti. Una sorta di out-pop deliziosamente surreale e fanciullesco sia nei testi che nei timbri e negli arrangiamenti, baciato da un candore vagamente psichedelico e dalla grazie dell’-ops-genio.

7. Sylvie Courvoisier, To Be Other-Wise (Intakt Records)

Suonare da soli non vuol dire essere da soli: così Julia Neupert nelle liner notes. Dediche a Olivier Messiaen, Conlon Nancarrow, Mary Halvorson e altri. La pianista svizzera convoca a raduno spiriti affini e spiriti assenti per un magistrale saggio della sua arte sugli ottantotto tasti.

8. Modney, Ascending Primes (Pyroclastic Records)

Cory Smythe, Ben Lamar Gay, Nate Wooley: questi alcuni dei nomi convocati dal violinista e compositore della Grande Mela. Classica contemporanea, avant jazz, universi paralleli, fughe, veglie, appostamenti drone, minacce harsh-noise: Un disco torrenziale e sbalorditivo, che suona come nient’altro e funge da statement perentorio: c’è una nuova scuola a New York.

9. David Leon, Bird’s Eye (Pyroclastic Records)

Un altro strike da quella che per chi scrive è senza dubbio l’etichetta jazz dell’anno. Una mezcla inaudita e calibratissima tra folklore coreano (il gayageum suonato da Do Yeon Kim), forme evolute e libere (la batteria di Lesley Mok), groove africano, ruggini monkiane. Un disco, quello del sassofonista cubano-americano, che è un piccolo grande miracolo sussurrato sorridendo nella penombra.

10. Luca Perciballi, Sacred Habits (Kohlhaas)

Chitarra, elettronica, foot percussion e speaker preparati: con questo armamentario il chitarrista espanso Perciballi giunge a un importante statement nel suo decennale percorso di esplorazione della sei corde come puro generatore di suono. Un continuo susseguirsi di invenzioni timbriche, ritmiche, melodiche la cui varietà e pregnanza confermano che ci troviamo al cospetto di un musicista dal talento limpido e maturo. While his guitar gently weeps.

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