Giunto alla sua undicesima edizione, il Festival Aperto di Reggio Emilia sbarca sulla luna. Il nostro satellite, infatti, appare come il tema di riferimento per questo cartellone 2019, che si apre il 21 settembre con un progetto teatrale in esclusiva di Massimo Zamboni e si chiude il 26 novembre con Ryuichi Sakamoto e Alva Noto in duo.
Tra queste due date si snodano 31 concerti e spettacoli di danza, teatro e circo, proponendo nel complesso 10 produzioni e coproduzioni; 9 prime. Appuntamenti che abiteranno luoghi quali Teatro Valli, Teatro Ariosto, Teatro Cavallerizza, Fonderia Aterballetto e Collezione Maramotti.
Sulla scorta di questo fitto programma, abbiamo posto qualche domanda a Paolo Cantù, direttore generale e artistico della Fondazione I Teatri di Reggio Emilia.
Quest'anno Festival Aperto è dedicato alla luna: in che modo si concretizza questo omaggio nelle diverse proposte artistiche?
«La ricorrenza dei 50 anni dall’allunaggio è stata il punto di partenza che ci ha portato alla “luna”, elemento carico di suggestioni e di molteplici letture. La luna è certamente metafora affollata di significati, che ha ispirato artisti nel corso dei secoli: rovescio della accecante luce solare, rappresenta la distanza, l’alterità e la diversità, o meglio le diversità che compongono il mondo. Al contempo, porta con sé il senso di un’impresa impossibile, sovrumana e straordinaria, insieme sogno e speranza, che accompagnano la creatività artistica. E, in questo senso, l’omaggio alla luna si traduce in progetti che, più che parlarci di essa, hanno deciso di montare l’Ippogrifo, per salirci sopra e, da quella prospettiva osservare la Terra».
«In quello spazio di libertà, incontriamo progetti che, talvolta a partire da elementi comuni, indagano in direzioni diversissime e affascinanti: si ritrova in due creazioni l’universo di Stockhausen, fra stelle, suoni generati da onde radio e campi magnetici dei pianeti; risuonano le radici persiane con il Kronos Quartet & Mahsa Vahdat e le atmosfere rarefatte e sospese dello straordinario duo di Ryuichi Sakamoto e Alva Noto; i sensori biodinamici come estensioni del corpo che modificano il suono in Utera di Gabriele Marangoni o la fascinazione di Ictus Ensemble fra musica contemporanea e rinascimentale, solo per citarne alcuni; in mezzo, gli incontri con la performatività, il circo contemporaneo, la danza nei nomi del collettivo PeepingTom, Dimitris Papaioannou, Rambert con un omaggio a Merce Cunningham e John Cage e le musiche dal vivo di Philip Selway, batterista dei Radiohead».
Nel cartellone c'è un filone denominato "Jazz Rock Songs": qual'è la peculiarità di questa proposta?
«Il Festival Aperto rappresenta il nostro sguardo sul contemporaneo e una delle sue caratteristiche principali è certamente l’interdisciplinarietà, l’esplorazione di spazi di confine fra linguaggi e discipline diverse. In questo contesto “Jazz Rock Songs” è uno dei tanti percorsi suggeriti che vuole tenere insieme le diverse declinazioni della musica contemporanea nel suo avvicinarsi ad altri mondi, così come suoni e visioni che di altri mondi sono parte».
«È il caso del progetto di Massimo Zamboni (ex CCCP e CSI) che apre il festival: un concerto in forma scenica con ospiti musicali, scrittori, poeti, un’orazione con orchestra dedicata agli artisti scomparsi di Reggio Emilia (da Antonio Ligabue a Luigi Ghirri, da Cesare Zavattini a Vittorio Tondelli), che compongono un pantheon dello spirito emiliano dove “sembra che il sangue circoli più rapido”».
«Matteo Franceschini, giovane compositore Leone d’Argento alla Biennale Musica 2019, con Songbook avvicina e integra un ensemble di archi e fiati, un vero e proprio quartetto rock e live electronics. Ancora, il sound del batterista Mark Guiliana, riconosciuto fra i più talentuosi batteristi al mondo, fra jazz, rock e musica elettronica; così come il trio jazz del compositore e contrabbassista Avishai Cohen. Allo stesso modo, il chitarrista Paolo Angeli ci regala una personalissima reinterpretazione delle canzoni dei Radiohead, dove si incontrano avanguardia, post-rock, flamenco e mediterraneo. Contaminazioni che sono il segno distintivo che ha reso celebre nel mondo il Kronos Quartet, in questo caso accompagnati dalla cantante iraniana Mahsa Vahdat in un viaggio nei suoni e nella cultura persiana».
Un'altra caratteristica del Festival sono le collaborazioni: quali sono le principali e come sono nate?
«Le tante collaborazioni che si ritrovano nel programma del festival sono anzitutto il risultato di una precisa volontà di apertura agli altri, nella convinzione che condivisione e confronto – a partire dal riconoscimento reciproco delle diverse identità e singolarità – siano nutrimento primario del nostro lavoro. Quella stessa apertura ci posiziona fra gli interlocutori nell’ambito della musica, così come della danza e della performatività in generale, a livello nazionale e internazionale. Condividere suggestioni, idee, prospettive nella produzione e programmazione artistica diviene spesso elemento sostanziale di sostenibilità per progettualità artistiche che altrimenti non troverebbero sviluppo».
«In più, sono davvero convinto che lo sforzo per allungare la vita e incrementare la visibilità di una creazione artistica – attraverso pratiche coproduttive e distributive condivise con altri partner (italiani o internazionali) – sia importante e fondamentale tanto quanto il sostegno alla produzione stessa. Questi pensieri si riflettono e traducono in azioni concrete. In ambito musicale, tante e significative le coproduzioni: la prima assoluta della nuova opera contemporanea di Andrea Liberovici, artista da sempre al confine fra le discipline, qui accompagnato dalla straordinaria cantante/performer statunitense Helga Davis e dagli austriaci dello Schallfeld Ensemble di Graz, è coprodotta con il Teatro di Genova, farà tappa a Romaeuropa e poi una piccola tournée negli States. Ancora, quella con la Biennale Musica per la nuova creazione di Matteo Franceschini o quella con Tempo Reale e il SaMPL del Conservatorio di Padova per Stockhausen. Romaeuropa, che è partner e interlocutore costante sia per grandi progetti di artisti di fama mondiale (Sakamoto/Noto, così come l’omaggio Rambert/Events a Cunningham-Cage) che per piccoli sostegni a progettualità interessanti (Dall’Alto del compositore Riccardo Nova e del circense Giacomo Costantini)».
«Si aggiungono le coproduzioni con importanti centri di produzione europei per la danza (Peeping Tom), in network con un altro assiduo interlocutore come Torinodanza e il progetto site-specific per la Collezione d’Arte Contemporanea Maramotti di un artista a cavallo fra generi e linguaggi come il greco Dimitris Papaioannou. Infine, con la stessa logica, sempre più ampie sono le collaborazioni specifiche con altre istituzioni del territorio: l’Istituto Musicale Peri, Palazzo Magnani, la Fondazione Nazionale della Danza, Arci, Reggio Film Festival, Reggio Children».