Gianfranco Mingozzi è stato un film-maker piuttosto singolare. Originario della bassa bolognese, di Molinella, si laurea in legge all’Università di Bologna ma subito dopo si trasferisce a Roma per diplomarsi in regia al CNC. Ben presto calca set importanti, fino a diventare aiuto-regista di Federico Fellini per La dolce vita; a Mingozzi però non mancano le iniziative per proseguire nella sua carriera autonoma di regista di film e documentari, ad esempio con Tarantula, 1962 o Sequestro di persona del 1968. Ed è proprio per la RAI che Mingozzi, nel 1978, gira Sud e magia, ricavato dal celebre libro di Ernesto De Martino nel quale si affrontava il rapporto della gente del Sud con i riti e le superstizioni legate al proprio vivere quotidiano, calato in una società definita da più parti “primitiva” ma che in realtà conservava – o meglio: provava a farlo – quel rapporto speciale tra l’uomo e la natura; rapporto che si era giocoforza incrinato, arrivando quasi a estinguersi, grazie alla potente fase di industrializzazione che l’Italia aveva subito nel Dopoguerra, nel Nord in particolare.
Le musiche del documentario furono composte da Egisto Macchi, forse tra i più prestigiosi esempi di library-composer dell’Italia contemporanea. Macchi, grossetano, proveniva da una lunga e prolifica carriera di accademico e sonorizzatore sui generis; già negli anni Sessanta faceva parte del romano Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza coi sodali Ennio Morricone, Franco Evangelisti, Mario Bertoncini e Walter Branchi. I suoi esordi risalivano più o meno alla metà degli anni Cinquanta, ai tempi viveva e lavorava a Palermo.
L’occasione per ricordare il documentario televisivo di Mingozzi e le relative musiche, ci viene data dall’uscita recente della colonna sonora a opera dell’etichetta riminese Soave, satellite della Cinedelic Records. Tornano dunque in circolazione le session di registrazione avvenute nei Feeling Records Studios di Torino tra il 19 e il 21 ottobre del 1977.
Da subito colpisce la voce dell’attrice e cantante partenopea Lina Sastri in “Titoli”, un «canto lento siciliano di donna sola, scelta per dare corpo a un lamento straziante, a un certo punto recita/canta “e a punta di curtiellu l’ammazzari...”», mentre per il resto del disco si susseguono lunghe e brevi suite dove a farla da padrone sono sempre quello “scampanellio” tipico di Macchi, che in questo caso si fa via via sempre più misterioso, un po’ come accadeva in un altro disco perduto e poi ritrovato come Il Deserto, forse l’apice della produzione del compositore toscano.
Se “Violento con grido vibrafono” è un «ostinato ritmico e drammatico con percussioni e pianoforte con urla di vibrafono che al minuto 1.07 decresce misterioso» (le note descrittive erano del maestro Francesco Miracle e sono tratte direttamente dal disco), “Vibrafono con bocca” viene definito «lento, misterioso, notturno, con fascia di aerofoni ed interventi spaziati di corde graffiate di pianoforte e vibrafono a bocca in suoni lunghi che si allontanano». È questo per Miracle un «brano estatico, immobile».
Dunque, ogni composizione, e qui ce ne sono nove in tutto, ha la sua spiegazione, com’era in uso ai tempi della library, quando ogni singolo brano doveva servire a evocare una determinata situazione. Peraltro, rivedendo il documentario di Mingozzi, ci si rende conto della perfetta sincronia tra le musiche e le immagini e/o gli scenari evocati, efficace espressione visivo-sonora di un sentimento che sa di tristezza e allo stesso tempo di riscatto sociale, partendo dall’esperienza di Ernesto De Martino e della moglie Vittoria De Palma, testimonianza cruciale presente nel documentario girato in gran parte tra i monti dell’Appennino lucano.
Col passare degli anni registrazioni di questo tipo hanno riacquistato una loro dignità culturale: ai tempi venivano derubricate con troppa fretta a mere musiche di accompagnamento. Uno come Piero Umiliani, tanto per fare un nome tra i più importanti del settore, ci ha costruito un’intera carriera su uscite discografiche di questo genere. Ed è il caso di tante composizioni di Egisto Macchi, che non avevano nulla da invidiare rispetto a quelle pensate per il cinema tout court da Ennio Morricone o Nino Rota.
Il percorso di Macchi resta certamente quello più singolare tra i suoi contemporanei e andrebbe riconsiderato anche alla luce di quanto è stato ristampato negli ultimi anni, da Cometa Edizioni Musicali ed Ayna ad esempio.
Intanto, i più attenti e curiosi potranno apprezzare queste musiche dure come il ferro e allo stesso tempo delicate come un cristallo. Non senza aver prima recuperato il bel documentario di Gianfranco Mingozzi.