Fino al 19 febbraio al Teatro dell'Opera di Roma va in scena La cenerentola di Rossini con la regia di Emma Dante (qui la recensione di Mauro Mariani ). Franco Soda ha intervistato la regista.
Qual è l'attualità del tema trattato dalla Cenerentola, che mi sembra essere la famiglia, un tema che spesso ha affrontato nel suo lavoro?
«L'attualità è la presenza di una donna che viene privata dei suoi beni, ridotta al ruolo di serva e trattata in maniera molto violenta dalla sua famiglia.Questa cosa mi sembra molto attuale rispetto alla donna che in alcune famiglie viene privata dei propri diritti. Per cui, insomma, da questo punto di vista un racconto del genere è sempre un' attualizzazione».
Ci vede anche una chiave di lettura morale, e morale cattolica, perché la buona alla fine vince e le cattive hanno la parte peggiore?
«Sì, nel libretto di Rossini il finale prevede un lieto fine nel senso che Cenerentola perdona: "la miglior vendetta sarà il perdono...". Però, in realtà, c'è qui una sorta di storia simbolica collegata alla messinscena che questo perdono lo renderà un po' meno evidente nel senso che il patrigno e le due sorellastre saranno comunque puniti in qualche modo. Io la tratto come una favola perché, per me, continua a essere una favola e perché penso che le persone abbiamo bisogno di avere delle favole, di avere una visione della realtà anche un po' più fantasiosa per poter affrontare certe tematiche. Per questo ho lasciato che rimanga una favola. Non l'ho attualizzata: non ho fatto diventare la casa di Cenerentola un altro luogo. È la casa di Cenerentola con il patrigno e le sorellastre che la tormentano; il principe ed il palazzo del re sono il luogo delle meraviglie, cioè dove si arriva e si sale al trono: dove le donne in età da marito vanno al gran ballo, dove sperano di diventare principesse. Insomma il mito, la favola che ci hanno raccontato da bambini, che io voluto lasciare intatto, anche dal punto di vista infantile, perché volevo che il pubblico lo percepisse da questa ottica».
Quindi anche il simbolo della donna-oggetto, vestita da bambola, per attirare l'attenzione dell'uomo e convolare a nozze come suo destino, come ruolo sociale?
«Si certo: la donna-oggetto».
Con tutto l'armamentario della simbologia: scarpetta di cristallo, abito da gran soirée...?
«Infatti».
E... la zucca?
«No, non c'è la zucca però c'è la carrozza».
La sua regia prevede la presenza di autonomi, di manichini...
È anche uno specchio della realtà nella quale Cenerentola si riflette o piuttosto un espediente scenico per suggerire una chiave di lettura al pubblico?
«Tutte e due. Mi sento di dire: tutte e due».
Come interviene l'elemento coreografico nella regia?
«C'è poca coreografia. Diciamo che la coreografia la fanno i cantanti: È un po' meno rispetto alle altre regie di opera che ho fatto, la presenza dei mimi, perché i mimi sono un po' più di contorno in questa regia».
Come affronta la regia di un'opera?
«Dalla musica. Detta tutto la musica. Comanda tutto la musica. Quindi la musica è l'elemento principale per tutto quello che accade in scena, e quindi la musica rende tutto più facile. Cioè, secondo me, se il regista ascolta veramente la musica, la musica farà la regia nel senso che è da lì che si parte. L'emozione, i sentimenti, scaturiscono da lì».
Ha altri progetti di regie liriche in futuro?
«Sì, aprirò la stagione del Teatro Massimo di Palermo con Macbeth».
A parte questo, c'è qualche titolo che le piacerebbe mettere in scena?
«Una regia che mi piacerebbe moltissimo fare è quella di Les dialogues des Carmelites di Poulenc, che amo molto. È molto nelle mie corde. Mi piacerebbe moltissimo farla! Poi mi piacerebbe fare Mozart, prima o poi... non ho ancora mai affrontato Verdi per cui sarà una novità».
Macbeth: inizierà con un titolo impegnativo...
«Si, però c'è la tragedia, quindi...»
A teatro, si deve piangere?
«Si!»