La prima volta che mi sono imbattuto nel nome di Alice Clark è stato in una raccolta di singoli Northern Soul.
Il pezzo, “You Hit Me”, è un classico di quella scena, così rabdomanticamente affamata di squisitezze sonore sconosciute. Ecco, appunto. Sconosciute.
Perché quella di Alice Clark è la storia di un’artista svanita praticamente nel nulla. Uno di quei nomi soul che scompaiono senza troppo rumore e che vengono poi riscoperti magari da collezionisti un po’ maniaci e rilanciati da scaltri influencer (non a caso il nome della Clark è emerso dalle nebbie fondamentalmente in anni di acid jazz, quindi un bel vent’anni dopo che qualcuno l’aveva vista uscire, girare l’angolo e adieu).
Una delle tante, direte voi. Sì, certo. Ma il punto è che, a meno di non essere affetti da sordità (fisica o emotiva, scegliete liberamente…), ci si accorge dopo poche note che Alice Clark non era “una delle tante”. Era una cantante davvero fantastica, elemento che aggiunge inquietudine e mistero alla sua rapida – e misconosciuta – carriera.
Una manciata di singoli alla fine degli anni Sessanta sono il primo, volatile, biglietto da visita di questa ragazza di Brooklyn, che le poche foto ritraggono con i capelli raccolti in un turbante e lo sguardo piuttosto malinconico. Non sfonda. Non chiedetemi perché. Le vie del successo sono infinite, ma quelle dell’insuccesso pure, per un numero indefinibile di ragioni che non hanno quasi mai davvero a che vedere con il talento.
Nel 1972 Bob Shad, mitico produttore che stava in quel momento investendo in direzione funk/soul per la sua Mainstream Records, le offre la possibilità di registrare un intero album, intitolato semplicemente Alice Clark. Un disco che in poco tempo finisce anch’esso nell’oblio e quindi, a diventare mitologico, ricercatissimo e costosissimo sul mercato dei collezionisti di vinile.
Alice Clark il disco torna ora per la prima volta ristampato in vinile così com’era (una manciata di anni fa era uscito in una raccolta di tutte le sue registrazioni), grazie ai nasi raffinati della WeWantSounds. Se tante volte con queste annunciate “gemme riscoperte”, “tesori sconosciuti” e via dicendo, si ha un po’ l’impressione di stare al gioco di hype – divertente quanto passeggero – del momento, qui invece l’effetto “jaw-dropping” è quasi immediato, perché si tratta di un disco pazzesco.
Wewantsounds, il piacere della riscoperta
Come Alice Clark canta, le canzoni che canta, la produzione, il suono… Tutto è di un livello difficilmente assimilabile alla routine produttiva da cui emersero anche ottimi floorfiller Northern Soul. Dall’inizio appassionato di “I Keep It Hid” e di una “Looking At Life” di Petula Clark, riletta con una chiarezza smagliante, si viene rapidamente rapiti dalla ricchezza dell’orchestrazione (firmata Ernie Wilkins) e da come la Clark entri perfettamente nei testi e nel mood.
Scorre robusta “Don’t Wonder Why”, esplode in mille lustrini “Maybe This Time”, padroneggiata come da una consumata performer, si suda in pista con “Never Did I Stop Loving You”... e siamo solo a fine lato A!
Girato il vinile si accolti dalle morbidezze pop di “Charms of the Arms of Love”, ma si fa un balzo nuovamente quando appare “Don’t You Care”, fuoco d’artificio firmato da quel Bobby Hebb autore di “Sunny”. Ormai si sta in orbita: lo facciamo fluttuando con “It Takes Too Long To Learn To Live Alone”, facendoci sparare il cuore in mezzo alle stelle con “Hard Hard Promises” e atterriamo sulla gomma funk di “Hey Girl”.
Altro che disco minore da riscoprire! Alice Clark è un lavoro soul che avrebbe meritato ben altra sorte e che ora la merita anche al di fuori del mercato dei soli appassionati di ristampe sfiziose. La voce della Clark è totalmente padrona dei vari registri emotivi che affronta e davvero resta un mistero, certamente legato a questioni personali di cui difficilmente sapremo molto di più (l’artista è morta nei primi anni Duemila), che dopo questo lavoro – pur commercialmente sfortunato – il silenzio sia calato sulla sua vita e la sua arte.
La ristampa WeWantSounds è come al solito ricca di un booklet sontuoso e si candida decisamente (è appena primavera) a reissue dell’anno. Meraviglia!