Casa Rossini

Conversazione con Sergio Ragni, studioso e collezionista di cimeli rossiniani, nel giorno del compleanno del compositore

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Potremmo intitolare le righe seguenti: "Vivo con Rossini". Soltanto Sergio Ragni potrebbe affermarlo, con libertà da gran signore della cultura e degli studi e con incontentabile rigore filologico, spinto all'estremo del collezionismo; con eleganza e respiro, ma sempre con attenzione implacabile a non romanzare il musicista e a non giocare sui colpi di scena della sua vita.

Ogni quattro anni, il 29 febbraio, Ragni riceve telefonate di auguri da amici del mondo musicale e non, come fosse il suo compleanno. L'abbiamo intervistato in questo lunedì rossiniano nella sua dimora napoletana, Villa Belvedere, in cui vive da quando è nato: un vero e proprio museo Rossini.

Da dove è cominciato tutto?
«Dall'attrazione irresistibile che avevo fin da bambino per la musica, quando mi incollavo letteralmente al pianoforte che suonava mia madre: soprattutto Chopin, Liszt ma anche qualche reminiscenza operistica. Stavo per ore ad ascoltare incantato... Poi, da ragazzino, iniziai il metodico ascolto dalla radio che all'epoca era l'unica fonte di musiche di più rara esecuzione. Mi armai di uno dei primi magnetofoni in commercio e avviai la mia collezione di registrazioni. Quando poi scoprii l'esistenza dei dischi pirata mi sembrò di toccare il cielo con un dito. Chi avrebbe mai detto che un giorno anch'io avrei potuto ascoltare l'Anna Bolena, l'Armida, l'Ifigenia in Tauride della Callas? Musiche ed esecuzioni che pensavo perdute per sempre ma che invece cominciavano a riemergere come da un cappello magico per essere poi messe su vinile da qualche appassionato americano... Più tardi divenni anch'io uno dei primissimi professionisti italiani della pirateria, e iniziai un proficuo scambio di registrazioni. Quanta musica è passata sulle bobine del mio "mitico" Revox G36!»

Perché poi Rossini? «Perché mi piacque e mi piace Rossini? Perché Rossini è il Mozart italiano e questo dovrebbe concedermi tutte le giustificazioni. Poi nella sua musica c'è la forza ritmica che s'impossessa in maniera fisica dell'ascoltatore, una propulsione che per me è generatrice di forti emozioni. In questo concordo precisamente con Rossini che diceva: "nel ritmo c'è tutta la potenza della musica. I suoni non servono all'espressione se non come elementi di cui il ritmo si compone". Poi mi conquistava di Rossini la sua ricerca di ispirazione oltr'Alpe. Il "tedeschino", come lo chiamava Padre Matte, il suo primo maestro, nell'ansia di conoscere Haydn e Mozart, doveva prendersi la briga di andarseli a ricopiare in biblioteca. Anch'io da ragazzo dovevo arrampicarmi sugli specchi per acquisire nuove musiche di Rossini, ma non soltanto di lui ovviamente. Mi interessava nell'opera andare alla ricerca di quello che era ancora sommerso. Da giovane erano così poche le opere belcantistiche riportate alla ribalta che mi chiedevo: riuscirò mai a veder rappresentate tutte le opere di Rossini almeno per una volta? Ci sono ampiamente riuscito, pur dovendomi rammaricare che Rossini meriterebbe ben altra considerazione che non l'attuale. Conosco alla perfezione tutta la sua musica, tutte le opere, le cantate, la musica sacra, la musica da camera e sono fermamente convinto che Rossini per la sua capacità di affrontare qualsiasi genere con una padronanza assoluta meriterebbe ben altra assiduità di ascolti di quella che gli viene oggi dedicata».

Qual è il primo oggetto collezionato connesso a Rossini, o che è a lui appartenuto?
«Quando, molto presto, compresi che l'attrattiva sonora necessitava di dover essere confrontata con la personalità di chi aveva composto quelle musiche, lessi il mio primo libro su Rossini, cioè la biografia di Bacchelli, e subito dopo quella di Stendhal. Quei due libri furono i primi gradini della mia scalata a Rossini. Entrambi il libri hanno scatenato la mia passione per il suo genio e per la sua personalità, complessa, inafferrabile, conflittuale: un gioco di contrapposizioni e di sfaccettature che Rossini si guarda bene dal trasferire nella sua musica. Ogni pezzo della mia collezione mi serve per aggiungere un tassello al puzzle Rossini. La prima importante reliquia l'acquistai presso la libreria napoletana Casella, all'epoca in Piazza Municipio: una lettera autografa, quindi qualcosa di tangibile che passava dalle sue mani alle mie. Poi ritratti, stampe, spartiti... Tutto conservato in questa casa, che ho strutturato in linea con gli equilibri estetici perseguiti dal compositore e i suoi ideali di bellezza. La mia casa è forse la facciata migliore della mia personalità, così come la musica lo era di quella di Rossini. Umanamente abbiamo tutti molte cose da doverci rimproverare. Ritornando agli oggetti della mia collezione: una volta molti di essi erano di proprietà Rossini. Oggi sono l'arredo del mio appartamento e mi sembra giusto e normale, quasi inevitabile, che sia così. E tutto ha la sua giustificazione. Ogni pezzo mi serve per conoscere meglio un personaggio a dir poco straordinario. Per fortuna le collezioni non sono mai complete: c'è sempre qualcosa da aggiungere e ogni lettera, che salta fuori quasi ogni giorno, è sempre un inedito che fornisce nuovi particolari».

Un aspetto napoletano di Rossini?
Quando Rossini arrivò a Napoli raggiunse il più prestigioso traguardo al quale un compositore dell'epoca potesse aspirare. Rossini aveva 23 anni. Barbaja, che era il più potente impresario europeo dell'epoca, gli affidò le sorti del più prestigioso e più vasto teatro d'opera del mondo. Il San Carlo, ricostruito in nove mesi, poteva vantare non solo la più invidiata compagnia di canto al mondo, ma anche la migliore orchestra e i più sofisticati macchinismi teatrali. Barbaja affidò tutto al genio e alla capacità organizzativa musicale di Rossini. Napoli era allora una delle capitali che dettava legge, almeno in campo artistico. Rossini rimase soggiogato dal fascino cosmopolita della città, e anche se in tarda età saranno pochi i legami con la città, in cuor suo doveva pensare a Napoli come al luogo dove aveva preso piena coscienza del proprio valore.
D'altra parte Rossini, una volta chiuso un capitolo, cercava di accantonarlo e di non ritornarvi con il pensiero. Sintomatico in tal senso il cambio di residenza a Bologna: dopo aver per anni seguito in maniera maniacale il rifacimento del sontuoso palazzo in Strada Larga, una volta conclusa la sua vicenda sentimentale con la Colbran e dopo che vi morirono i genitori, decise di disfarsene e di trasferirsi altrove».

Che immagine dell'uomo, più che del compositore, risulta dalla tua collezione e dall'epistolario, per esempio?
«La discrepanza fra la musica e la condotta di vita. La musica di Rossini è un mondo ideale dove la giustizia deve sempre trionfare. Nelle sue opere Rossini si batte per l'equità sociale e riesce a essere perfino patriottico. Nella vita reale tutto diventa molto più complicato. Ma l'assurdo è che ancor oggi molti studiosi non riescono ad accettare tale divario, e pretendono di camuffare Rossini per un personaggio molto diverso dalla sua reale figura. Eppure basterebbe leggere seriamente il suo epistolario aggiornato e senza quelle censure tipiche di certa letteratura ammuffita e stantìa. E si dovrebbe fare lo stesso anche con Bellini e con Verdi. L'unico "buono" del melodramma italiano mi risulta essere Donizetti. Un tratto invidiabile della personalità di Rossini, che ne incrementa di sicuro l'eccezionalità, è invece la sua capacità di trarsi in disparte al momento opportuno, consapevole di non dover aggiungere niente alla propria fama. Come sarebbe bello che qualcuno ancor oggi ne seguisse l'esempio. Io dico sempre "largo ai giovani", perché anche l'arte ha bisogno di energia».

Un oggetto che viene investito di valore simbolico affettivo/emotivo, per te e probabilmente per Rossini?
«Rossini ricevette molte onorificenze dai sovrani di mezzo mondo, dalla regina di Spagna all'imperatore del Messico Massimiliano d'Asburgo, dall'imperatore del Portogallo al sultano Abdul Mejid: tutte decorazioni conservate a Pesaro. Rossini celiava, e diceva di preferire i doni di salumi alle tante "croci" che i sovrani gli assegnavano. Invece teneva molto a che i suoi meriti venissero riconosciuti. La sua era la classica "finta modestia". Rossini non poteva certo indossare quelle vistose decorazioni, ma da vecchio non usciva mai senza appuntare al bavero la rosetta della Legion d'Onore, che oggi fa parte della mia collezione.
Rossini si beava della gloria che i contemporanei gli accordavano, ma l'assedio della folla degli ammiratori a volte gli faceva esclamare: "Qualche volta la mia celebrità mi imbestialisce". Anche questo è un "motto" di Rossini che mi piace molto, e mi sembra illuminante della sua personalità. Uno dei numeri importanti della mia collezione è l'archivio messo assieme dal padre di Rossini: un fanatico ammiratore-collezionista, come me, del figlio. Giuseppe Rossini rilegò insieme in una serie di fascicoli le lettere che gli inviava il figlio, i giornali che parlavano di lui e delle sue opere, alcuni contratti teatrali, poesie stampate in suo onore e così via. L'archivio è una miniera di informazioni per gli studiosi».

Un aneddoto di un suo compleanno?
«Ai tempi di Rossini si festeggiava molto più l'onomastico. San Gioacchino, ai tempi di Rossini e ancora fino a qualche decennio fa, era una festa mobile che cadeva la prima domenica dopo l'assunzione, ovvero dopo il 15 agosto. In vecchiaia, a Parigi, si cominciò a festeggiarlo anche in occasione del compleanno. Uno dei regali più significativi fu quello del governo di Francia che nel 1864, per il settantaduesimo compleanno, commissionò a Hyacinthe Chevalier un grande medaglione che raffigurava il musicista con la fronte cinta d'alloro, come Dante. Anche questo fa oggi bella mostra di sé a casa mia. Ma Rossini aveva già avuto l'omaggio di ben due statue che lo ritraevano in grandezza naturale, e che tutti i colleghi – francesi, tedeschi e italiani – non dovevano trovare troppo simpatico incrociare sul loro cammino...».

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