Sono tempi di memoria corta, lo sappiamo. Sono tempi in cui, come sempre più spesso si sente dire, la soglia d'attenzione è quella cosiddetta del pesce rosso: pochi secondi, e poi si passa ad altro. Che sia sindrome indotta dal nuovo Homo digitalis che ticchetta sui tasti convulsamente riservando attenzione residuale a (quasi) tutto, perché ormai incapace di trattenersi a lungo su quanto richiede la fatica della concentrazione, o necessità indotta dai tempi turbocapitalistici della connessione perpetua con l'aggravante del multitasking, non sapremmo dirlo.
Però una delle conseguenze della memoria corta è la delega alla rete della memoria lunga, cioè del sapere. Che è un'infinità di cose assieme: tra le quali, per venire a noi, i (bei) dischi che furono. E non si trovano più. E non si parla qui di quei capisaldi messi di traverso dalla storia come salutari pietre d'inciampo che, almeno una volta, hanno per forza di cose catalizzato l'attenzione: le Variazioni Goldberg, The Dark Side of the Moon, The Shape of Jazz to Come, e via citando.
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Che ne è dei bei dischi che magari non possono attingere le purissime vette (quasi) incontaminate del capolavoro, ma ci testimoniano un qualche momento di bella creatività, fotografano un periodo sonoro forse lasciato sotto traccia da altri e meglio diffusi momenti, per necessità mercantile, danno il piacere della periodica riscoperta? Niente e così sia, verrebbe da dire. Finire nel Grande Magazzino Immateriale della Rete significa sì aver garantita una qualche immortalità ex post, ma a patto di sapere già a priori cosa cercare. Il preambolo per dire che, anche nell'era della progressiva liquidità (liquefazione?) della musica su supporto, e con l'ulteriore e pesantissima aggravante della fine annunciata del cd, è quantomeno singolare e significativo che qualcuno vada a recuperare e recuperi in cd (orrore, dirà qualcuno: e il “fascino del vinile”?) registrazioni forse non epocali, forse non rivoluzionarie nel definire gli assetti estetici di un'epoca, ma ben più che degne di essere riproposte a chi neppure le ha mai sentite nominare, né, se non fosse entrata a gamba tesa questa splendida idea, avrebbe avuto la benché minima occasione di ascoltare.
L'idea è venuta in casa Caligola, notevole realtà veneta sempre sugli scudi nelle proprie nuove proposte di un jazz autenticamente “contemporaneo”, ma evidentemente con il saggio tarlo della memoria. Esce ora la prima infornata degli Historical Tapes, marchio Artesonora by Caligola, con tre splendide riedizioni su cd di vinili da tempo introvabili e di oltre trent'anni fa. Fate i vostri conti, siamo nella seconda metà degli anni Ottanta, trionfava una fusion patinata e piuttosto insopportabile, se non in certe raffinatezze da rivalutare di sua Oscurità Miles Davis.
Invece allora in Italia uscivano dischi come Bruno Marini 4 e Love Me or Leave Me, quest'ultimo a firma multipla Marini, Charlie Cinelli e Alberto Oliveri. Il primo con una deliziosa copertina in bianco e nero opera di un malizioso Milo Manara ci dà occasione di riscoprire il sontuoso, swingante, intelligente suono del sax baritono di Bruno Marini, qui anche compositore di gran parte dei brani: una leggerezza alla Chaloff o alla Mulligan con robuste iniezioni bluesy, e con Marcello Tonolo al pianoforte, Marc Abrams al contrabbasso, Valerio Abeni alla batteria. Il secondo, trio di Marini con il basso di Charlie Cinelli e la batteria di Alberto Olivieri lavora perlopiù su standard, ma che inventiva e che elasticità, al riascolto di questi caldi nastri analogici ripassati sul vituperato cd.
Double Face in Verona è invece una delle sporadiche incisioni a proprio nome realizzate da Ruud Brink, sassofonista olandese scomparso troppo presto, e innamorato dell'aria che si respirava al veronese club Double Face, citato nel titolo. Suonava il sax tenore con la grazia virile di Zoot Sims o di Stan Getz, ma era anche, all'occasione, un vocalist prezioso con l'ugola reincarnata di Chet Baker: qui lo potete verificare nella dolcissima "What's New a chiudere". Marcello Tonolo al piano, Giko Pavan al basso, Valerio Abeni alla batteria. Un pezzetto di memoria è salvo.